venerdì 15 settembre 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "TERRE D'ACQUA" DI DONATELLA NARDIN

Terre d’acqua

D’oro e di luce ti bagnerei lo sguardo,
improvvida luce del nostro primo
sentire, terra madre sbocciata dai polsi
di un piccolo nulla che in sé appalesa
tutti gli eventi.
Nuda, gloriosa, vortica l’acqua
delle nostre radici sull’orlo vivo
del tempo se al collo indossa
la vivacità di una corte di foglie
e di uccelli
dall’acqua raccolgo il mio volto
sfiorando l’asfalto, sfida i limiti
dell’emotività l’imperativo
a svettare e chissà cosa si cela al di là,
cosa riluce nel grumo violetto
di piume e cementi, quale solitudine
accesa alle palpebre chiuse.

E’ con questa poesia eponima, incipitaria, che possiamo immergersi, fin da subito, in un animo tutto proteso alla scoperta di se stesso; di un legame terra-acqua che fa di questo poema il leimotiv, il filo rosso, la simbiotica fusione fra spazi ontologici e ondulazioni native.  È da qui che inizia il cammino, l’avventura, il viaggio, il nostos di una poetessa tutta intenta a varcare un mare per bisogno di scoprire una verità, pur sapendo, Ella stessa, che è quel mare la sua verità, che è quella terra il porto di arrivo di un viaggio di sapore odissaico. Si sa che è proprio dell’uomo aspirare a superare quei vincoli che lo legano agli spazi ristretti, dacché, per natura, ha bisogno di aria, di cieli senza limiti, di orizzonti che vadano al di là dei suoi intendimenti. Ma si sa anche che tutti siamo in cerca di un’Itaca che abbiamo persa, pur vicina, in qualche misura, e che, prima o poi, torna per bussarci alla porta per vivere, magari, più intensamente dopo anni di sperdimenti e sottrazioni. È nelle corde umane. Ritrovare la luce, il fuoco che l’ha alimentata, che ha idealizzato la sua terrenità, il suo piccolo tratto lambito dal mare, significa dare ossigeno e sangue alla poesia, dacché ognuno di noi si porta dietro il sapore della propria caducità e la forza delle proprie radici; e questa è la terra della Nostra: “Cavallino Treporti è una lingua di terra incuneata tra il mare Adriatico e la laguna nord veneziana, uno spazio fisico dunque, ma anche il luogo dell’anima e del pensiero, una materia intima, emozionale atta a definire una precisa identità e una specifica appartenenza” (dalla presentazione dell’Autrice), qui il respiro dei suoi angoli, qui le penombre del mistero, qui la luce dei suoi giorni; qui l’alimento delle sue memorie, qui gli scogli da cui avrebbe voluto spesso partire, ma per ritornare nuova; con l’animo e la mente intrisi dei tramonti e delle albe della sua antica e rinnovata memoria. Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. (Pavese, La luna e i falò). “…Ritorno con nell’anima lo sguardo/di una fanciulla intenta al corredo/che giocava spensierata a palla/sorridendo con le ancelle. Torno a sera/zeppo di vita,/ arricchito di genti di mari e di città/che colmarono in parte le mie voglie./ E questa è la mia sera:/ è un’ora che lascia/ all’incoscienza del mattino/la ricchezza del ritorno…”. (Nazario Pardini: La ricchezza della sera, da Le simulazioni dell’azzurro)
Ed è ogni angolo del suo mondo a farsi epigrammatico travaglio esistenziale, territorio di chiarori e penombre che l’ha veduta crescere. Ecco che la poesia si frantuma e si ricompone in un gioco di assemblements che dia per risultato gli stati d’animo di una vita concretizzati in quegli anfratti.  Ogni angolo sedimentato nell’anima parla di storie vissute, di vicende tristi o gioiose, di avvenimenti che mai scadranno, dacché avranno vita con la luminosità di un poema che li contiene.
Ed eccolo il navigatore che ha scorto  dalle onde non sempre tranquille del mare il faro che illumina gli scogli del porto:

D’oro e di luce ti bagnerei lo sguardo,
improvvida luce del nostro primo
sentire, terra madre sbocciata dai polsi
di un piccolo nulla che in sé appalesa
tutti gli eventi.

Bisogna stare lontani, se non fisicamente, anche per un po’ spiritualmente, per apprezzare i ritorni. Da questi l’epicità di un lirismo di epifanica rinascita. E la Poetessa si accorge, aprendo una finestra, di quanto sia estesa nella sua piccolezza, di quanto sia eterna nella sua futilità, quella terra. L’animo vola e svola. Esce dal corpo e frulla sugli angoli più nascosti di quel mondo. Se ne impossessa, li spreme, ne sugge le sostanze più segrete, per portarle con sé al suo rientro, dopo la sua fuga.  E il corpo vibra, la parola sente il bisogno di dire quello che il dentro detta. Tutto è colmo delle nuove sensazioni, è pieno di  salmastri nostrani, di urli di uccelli marini, di voci sussurrate ai silenzi, di battigie a una riva insaziabile di suoni; si va al di là dei colori e dei movimenti, si va al di là dei volti e degli spazi in questa foga di coniugare il sentire alla coscienza di esistere; ai misteri del contingente:

e chissà cosa si cela al di là,
cosa riluce nel grumo violetto .

La parola scorre limpida, serena, a volte concitata, altre riposata, a volte rapita, altre confusa, di fronte ad un mondo che l’ha vista balbettare, e che la vede ora matura, gonfia di substantia  da trasferire in epigrammatiche soluzioni; in versi di grande sonorità eufonica e di urgente resa poematica. Così si esprime nella presentazione la Poetessa: “…Qui un coro di voci diverse, attraversate talvolta da ombre, innervano e sostanziano il sentire facendo emergere ciò che sta celato nelle cose e negli istanti.
Sono le tante voci del mare, delle sue spiagge che, nella frenesia dell’estate, accolgono circa sei milioni di presenze turistiche. Sono i sussurri e i respiri più lenti della laguna con le sue valli e le sue barene incontaminate, di qualche borgo antico, ancora depositario dell’autentico, dei centri abitati e delle compagne intorno, adusi d’inverno ad affidarsi a una luce bassa, interstiziale, capace di tenere insieme ciò che resiste e ciò che potrebbe cedere in ogni momento…”. Sono i misteri della vita, delle cose che ci chiamano, di quelle che ci portiamo dietro, e che sono guida del nostro esser-ci.  Sono dentro queste cose le dolci illusioni, gli amorosi sensi, il focus del viaggio; e sono oltre esse gli orizzonti a cui aspiriamo spesso indecifrati e indecifrabili per il fatto che siamo umani, destinati  al dubbio di fronte alle questioni del vivere, cagione della inquietudine-buon terriccio per la resa del canto. Il fatto sta comunque che noi viviamo loro accanto ed è proprio questa vicinanza a formare il retaggio delle nostre radici che inspiegabilmente ci vogliono a casa. Mistero dei misteri. Quattro i sottotitoli dell’opera: Radici, Cieli di voli e di assenze, Nutrimenti, Le parole per dirsi, che in un climax di fattiva generosità esplorativa, scavano, perlustrano, scoprono, e appuntano momenti di una storia dai risvolti intimamente profondi:

Considera di questo luogo isolato
la macchia viva del cielo:
un talento mite ma autorevole
inonda i campi e le case
di cose buone, lucenti.

Già nella prima sezione sembra appiccicarsi addosso alla Poetessa una luce che inonda i campi e le case. È la luce dei riflessi del cuore e della  vita, è la luce che da sempre ha accompagnato Donatella per farsi sempre più possente, sempre più splendente sulle cose raccolte in lei fin dalla sua nascita: Il mare, così silenzioso, così contrito, Le molte voci, Il Faro di Punta Sabbioni, I due campanili, Il Faro di Cavallino, Forte Vecchio, Barene, La pineta… un excursus puntuale; un ritratto geografico e panoramico dell'anima; di tutto ciò che si erge con luminosità accecante per “noi figli di un acquoreo disegno all’infinito.”. Ed è di questo infinito che si ciba la Nostra, la sua intenzione poetica, di un volo verso l’alto per trasferire tutto ciò che si è fatto immagine nella purezza dei cieli; dacché tutto ciò che Ella ammira non è altro che un ritorno di giochi che, dopo aver attraversato il campo dell’inconscio, è tornato agli occhi come cosa nuova, sacra, da tenere vicina come questione di aria da respirare.  “non sono troppe le parole da dire, basta quel tuo esserci accanto”. E dove niente può essere notte, può essere buio, può essere nulla e dove persino la sera “la lucida sera/sì, è una trepida sera l’incantata/verticalità di un’attesa.”. E nell’ipotetica assenza che sarà del troppo dolore? “Turbata bellezza, quasi da morirne,/che ne sarà del troppo dolore?/ Fremente nell’ala, che ne sarà/ del fitto mistero che ci abbrividisce?/ Forse mai lo sapremo./…/ Diffonde il fuoco della mancanza/ la grazia crudele di un indocile/ pigolio.”.  Ed è un amore incalzante, eterno, infinito, avvincente, a farsi mistero, a farsi domanda incalzante, questione quasi escatologica. Ma i nutrimenti? L’alimento?: l’estate lenta, sere di paese, una nuvola, il vanto del fiore, la campagna, foglie, poesia… un mélange di cospirazioni; un groppo che prende la gola e che chiede spazio per farsi poesia. Sì, per farsi canto ma per tale combinazione occorre il mezzo più umanamente disumano: la parola. Quella per dirsi. Il valore aggiunto nella silloge della Nardin. La grammatica del poièin richiede ben altro, non è di certo sufficiente lo spazio della tradizionale morfosintassi. Bisogna volare, andare al di là dell’etimo, con invenzioni iperboliche, con costruzioni di sintestetica significanza, con iuncturae di personale fattura. Questo è il non semplice intervento di una Poetessa che dagli abbrivi emotivi, dalle vertigini di panica intrusione, dalle scosse di una elettricità a 200 W. riesce a ricavare un poema tanto vicino alla laguna di ognuno di noi.

“Si scioglie agosto nell’arcano marino,
precipitando dilegua, ma prima
di andare nello stupore incendia
le minuscole ignavie degli occhi.”


“Acqua, sorgente fertile, perfetta
di questo canto imperfetto che
all’anima giovando, doma l’arsura
e alle soglie del nostro segreto
- per fame o per amore -
per mano ci conduce.”

Nazario Pardini 

  

RACCOLTA POETICA “ TERRE D’ACQUA “ DI DONATELLA NARDIN


Nota dell’autrice

Questa raccolta poetica è ispirata in larga misura e dedicata a Cavallino Treporti, il paese dove sono nata e vivo e a Venezia, la città che, affacciandomi a una delle finestre di casa, mi entra negli occhi.
Cavallino Treporti è una lingua di terra incuneata tra il mare Adriatico e la laguna nord veneziana, uno spazio fisico dunque, ma anche il luogo dell’anima e del pensiero, una materia intima, emozionale atta a definire una precisa identità e una specifica appartenenza.
Qui un coro di voci diverse, attraversate talvolta da ombre, innervano e sostanziano il sentire facendo emergere ciò che sta celato nelle cose e negli istanti.
Sono le tante voci del mare, delle sue spiagge che, nella frenesia dell’estate, accolgono circa sei milioni di presenze turistiche. Sono i sussurri e i respiri più lenti della laguna con le sue valli e le sue barene incontaminate, di qualche borgo antico, ancora depositario dell’autentico, dei centri abitati e delle compagne intorno, adusi d’inverno ad affidarsi a una luce bassa, interstiziale, capace di tenere insieme ciò che resiste e ciò che potrebbe cedere in ogni momento.
Ma il corpo vibrante, l’elemento vivo che nella contingenza delle trame e degli eventi, negli incontri e negli addii, nutre e potenzia l’immaginario è l’acqua, il principio primo, la sostanza simbolica, lustrale sempre pronta, in un’osmosi continua tra uomo e natura, ad incardinarci alla sua impalpabile essenza così come ai suoi frammenti pittorici sorti dalla semplicità di un’intuizione, da una pronuncia melodiosa o da qualcosa di oscuro, d’indicibile.
A tutto ciò il mio omaggio sincero, il mio attaccamento, la mia modesta restituzione in poesia.




TERRE D’ACQUA


                     “ L’acqua è la forza che ti tempra,
                        nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi. “
                        da Falsetto di Eugenio Montale


DAL TESTO


PRIMA SEZIONE: RADICI


Terre d’acqua

D’oro e di luce ti bagnerei lo sguardo,
improvvida luce del nostro primo
sentire, terra madre sbocciata dai polsi
di un piccolo nulla che in sé appalesa
tutti gli eventi.
Nuda, gloriosa, vortica l’acqua
delle nostre radici sull’orlo vivo
del tempo se al collo indossa
la vivacità di una corte di foglie
e di uccelli
dall’acqua raccolgo il mio volto
sfiorando l’asfalto, sfida i limiti
dell’emotività l’imperativo
a svettare e chissà cosa si cela al di là,
cosa riluce nel grumo violetto
di piume e cementi, quale solitudine
accesa alle palpebre chiuse.

II

Il resto è pace, un senso, un’idea
nel fondo intatto d’isole bastanti
a se stesse.
Il resto è quiete guizzata in gola
da una fulgida luna di rotondi silenzi
prima che nel dispendio di sé
l’acqua per una via ai più segreta
 - dal granato del sangue al rosso
rubino della carne - sia solo
una febbre di nebbie, di un dire
già detto il lieve rimpianto
o quel sostare felice, se siamo
già altro, nel fitto cangiante
di verdissimo verde, stupefatto
presente che ci allinda
e c’illanguidisce.


Tutta luce

Considera di questo luogo isolato
la macchia viva del cielo:
un talento mite ma autorevole
inonda i campi e le case
di cose buone, lucenti.

Nel liquido riflesso raggiunge
il suo limite il fiore - si modella
la grazia sulle imperfezioni - .
Considera l’esemplarità della storia:
qui, vicino all’amore,
anche prima di essere pensato
è tutta luce il respiro desiderante
della mia terra
creatura.
                
E poi il mare

E poi il mare.
Così silenzioso, così contrito
nel calice muto del petto
come se al mondo più nulla
esistesse.
E poi l’onda notturna, così stretta,
vibrata, come un lampo
d’imbiancate memorie sul piazzale
assonnato.
Accoglie la notte e le sue moltitudini
grate lo smeraldo splendente,
indistinto qua e là fino a graffiare
la bocca, ogni volta di più
esposti noi nell’urgenza dell’essere
o nel mancarsi pacato 
noi figli di un acquoreo disegno
all’infinito.


(...)
         
SECONDA SEZIONE: CIELI DI VOLI E DI ASSENZE

Cieli di voli e di assenze

Cieli di voli e di assenze come
pellegrinaggi costanti, infiniti.
Offre le sue labbra al canto
un pettirosso, con repentina premura
danza le nuvole in coro,
fino a farsi soffio leggero le ruota
all’indietro ma più di tutto s’incora
perché nell’unità più non lo segue
l’ombra celestina del mare.
Turbata bellezza, quasi da morirne,
che ne sarà del troppo dolore?
Fremente nell’ala, che ne sarà
del fitto mistero che ci abbrividisce?
Forse mai lo sapremo.

Diffonde il fuoco della mancanza
la grazia crudele di un indocile
pigolio.

Haiku

Micio smagrito
            sbriciola il blu del cielo
                             una gattara    
                        
Il cielo sopra Venezia

Oh sì, ogni giorno di più c’invera
il cielo sopra Venezia e c’è sempre
una parte di noi che nell’ineluttabile
suo s’immerge per farsi vertigine
vasta e silente.
Come l’amore paziente, confidente
cerca per lui un fuoco di primavera
una qualsiasi forma, fosse pure
la ventosa malinconia di un dolce
tracollo nel diventare a sera
un tutt’uno con il mare, fosse pure
il desiderio profondo di stelle
o di noi la nostalgia che nell’universo
delle umane cose lo renda possibile
e ne alimenti l’impenetrabilità.


Al parco

I

Gioca l’azzurro sopra i tetti di aprile,
lacerando la pelle del visibile
nell’aria disegna le sue micro-
narrazioni.
Placidi di primo sole - né vivi
né morti solo in attesa - stanno seduti
immobili sulla panchina
le due vecchie figure tornate quasi
bambine.

Intensa, donativa, precede l’armonia
la sintonia?

II

Il fossile di una poltrona color
ciclamino fa bella mostra di sé
accanto ad un’altalena
che dondola il tempo.
Malinconia di luminosità sospese:
prefigura i giorni dell’ansia
la luce del congedo.
Per farsi coraggio bisognerà
accarezzare le mani paffute
del bimbo appena sceso dall’altalena,
piccole mani fattive
da cui accorato ancora trapela
un po’di creato.

(...)


TERZA SEZIONE: NUTRIMENTI

La magnolia

Di un solo fiore all’anno si fregia
la mia magnolia indolente - è così
fioca la rinnovata intenzione,
tanto fioca che trema -.
In solitaria forma gocciola luce
sull’estate quell’unico fiore,
di grazia avvinto, prima di lasciarsi
cadere nel fiume in piena
del dissimile, ad ogni annunciato
chiarore ogni giorno di più giura
eterna fratellanza.
Signum ingenuitatis: basta un piccolo
slancio, un’emozione appena
nel così com’è delle umili cose,
per rendere più fiducioso
il mondo.

Haiku

I grilli a sera
        un'eccedenza di vita
                         oltre il silenzio.

L’estate nei nidi

Sonnecchia l’estate nei nidi,
nel più compiuto bramare, in palpiti,
in piume attende una luce capace
di dare forma ai tratti smarriti
dietro l’opale di fuoco.

Come se molto di noi si presentasse
all’alba indifeso, ci soffia in bocca
al risveglio un caldo rigoglio e tutto
al vivo - linfe, foglie, maschere
scheggiate di noi invase
da un’inspiegabile gratitudine -
sembra riacquistare senso
e vivacità.

Beach on fire*

Si scioglie agosto nell’arcano marino,
precipitando dilegua, ma prima
di andare nello stupore incendia
le minuscole ignavie degli occhi.

E’ una festa di luci ad arrotolare
il mare attorno ai colori e quanto
l’ardire nell’artificio dei fuochi
fluttuanti lungo i tredici chilometri
dell’arenile; effusi, protesi
allagano il cielo i bianchi ancestrali
congiunti ai labirintici rosa, fluttuando
dardeggiano su orme e presenze
ammutolite con il naso all’insù i blu
vitali e taglienti addossati ai drammatici
viola e quale incessante vortichio,
quanta inermità disposta a proclamare
la gioia, quante ombre incapaci
di staccarsi da ciò che non è più
come nei sogni risvegliati dai fuochi
morenti sull’acqua quando nell’eco
di cose andate, ma luminose ancora,
senza passi si cammina.

*Spettacolo pirotecnico iscritto nel Guinness
  dei primati come il più esteso al mondo e che
  richiama ogni anno a Cavallino Treporti circa
  250.000 persone.


Foglie

Sussurrano sole le foglioline
dischiuse, fremendo d'oro
abbacinate assecondano
l'appena nato dei prati.
E' forse amore ciò che nell'effimero
trova il suo compimento?
Disarma l'abbaglio la lacrima blu
dell'ultima foglia volata via
con il cielo d'autunno accartocciato
sul viso, come la rosa attorta
alla pelle flessuosa a fare corpo
con noi per rinvigorire nell'incolto
dei rami l'oscura crepa del mondo.
Trema la bocca corolla nel dire
il tempo che muore, docile cede
riponendo il sorriso perché solo
gli uccelli del bosco sanno la verità
dell'inverno che viene dal lieve
soffrire delle foglie.

La campagna

Un intreccio di sensi tra fissità
e mutamento.
La campagna si ritrae, nel fremere
di zolla, e già fuori da noi, in poche
righe oppone i torpori dell’inverno
ai gialli elettrici dell’autunno.
Nessuno le vede ma si danno
splendide gemme e bambole di spighe
appena sotto dicembre - è un bacio
breve ma profondo quello apprestato
dall’immaginazione -.
La campagna monda, trascende,
nel tempo che dice e nega in foga
di comunione concettualizza il verde,
si perde l’io nell’irta sostanza
del mutamento 
e allora, come la campagna, esserci
nell’essere semplicemente.


Biancolatte una vela

Biancolatte fende una vela
il logorio sommesso del giorno.
Non so il ritorno.
Non so se mai.
Se nei luoghi dell’inemendabile
si scioglierà in perdono
il dolore della perdita cupa.
C’è una residua gentilezza
nel livore ma nel bosco
bianchissimo dell’altrove
si è ridotto a brandelli
pure il sole.

Haiku

Barche e naufragi
           implora un riparo
                          l’umana pietà.


QUARTA SEZIONE: LE PAROLE PER DIRSI

Voci

Il buio non è ancora finito, mi dici,
ma la fioritura degli ori notturni
è stata generosa.

Hai i capelli bagnati, le labbra dischiuse
al dono di piccoli baci materni
senza rossetto.

In piedi di fronte al letto, tu che sai
vivere d’alba anche sul far della notte,
impareggiabile sorvegli i sogni

e le paure di tutti.
Ricama il tuo sguardo brezze gentili
alle mani rugose e a quelle belle, pacate.

Hanno lo stesso bisogno di cure,
mi dici, tutti i percorsi d’amore:
le stelle sognanti nella notte esiliata

il vacuo, l’incongruo, le meretrici
accorate lungo le mie strade
fiammate e quel guaire di un cucciolo
vulnerabile e solo nell’abbandono.
Di grazia imbevuta, averla davanti
e riconoscerla l’acquorea voce
della mia terra felice.

II

Ecco:
è d’oro nel chiuso di casa la voce
di madre allagata, dispiega

la levigata parola a fatica
con occhi molli e salati s’infila

per sempre nei figli orizzonte,
immacolata barcolla al varco nudo

di stella la sua mano argentata
di rughe, d’eternità e di silenzi

e poi ci saluta sbiancando nell’oltre
un lungo dolcissimo addio.


La notte

Resta così la notte,
senza un vero perché.
Resta un silenzio d’ombre
che portano in bocca
la scabra bellezza di ciò
che non ha parole
per dirsi, le rare volte
un’affezione, una complicità
senza fine.

Haiku

Il campo brullo
           apre gli occhi un bocciolo
                           non sa il suo tempo.

Beltà dei geli

Beltà dei geli e delle invernali figure:
a passi brinati, leggeri si muove
il pomeriggio invernale
verso tramonti sempre più corti
punteggiati da un’insanabile
inanità.
Pungenti torpori in un idillio di nevi:
ci si versa del vino in ruvidi
bicchieri da osteria per trovare
nell’evidenza del tremore
un po’ di calore.
Scivola sulle labbra screpolate
del vento un profumo intenso,
quasi ostinato di viole
in lode muta vi è rimasta incisa
la memoria assolata del fiore.

(...)

Curriculum bio-bibliografico di Donatella Nardin

Sono nata e risiedo a Cavallino Treporti-Venezia. Dopo gli studi classici ha lavorato nel settore turistico con incarichi anche dirigenziali. Appassionata da sempre di lettura e scrittura, soprattutto poetica, solo da qualche anno ho iniziato a partecipare a vari Concorsi Letterari con risultati alquanto gratificanti. Ho ricevuto infatti numerosi riconoscimenti, un centinaio, nelle varie graduatorie concorsuali. Nel 2014, quale premio editoriale di un Concorso, ho pubblicato la mia prima silloge poetica “In attesa di cielo” Ed. Il Fiorino (Premio Giovanni Gronchi, Premio Cinqueterre Golfo dei Poeti, Premio Rivalto-Roberto Magni, Premio Leandro Polverini). Nel 2015 è stata data alle stampe la mia seconda raccolta di testi lirici  “Le ragioni dell’oro” Ed. Il Fiorino (Premio Giovanni Gronchi, Premio Città di Arona). Numerose mie poesie e alcuni racconti sono stati inseriti in varie antologie di Concorsi Letterari, in raccolte collettanee di Case Editrici come LietoColle e in alcune riviste dedicate come Poesia, Crocetti Ed.












2 commenti:

  1. Desidero significare la mia profonda gratitudine al Professor Pardini per aver generosamente ospitato la mia poesia in questo spazio. Un grazie grande per le sue puntuali osservazioni critiche, sostenute sempre
    da una notevole competenza capace di cogliere e disvelare anche ciò che sta oltre la parola.
    Grazie molte ancora.
    Donatella Nardin

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  2. Ma è la nota di chiusura al libro non una recensione questa.

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