Mariagrazia Carraroli: Trittico. Florence
Art Edizioni. Firenze. 2016. Pgg. 48. € 12,00
Libro
prezioso, elegante, fine, suggestivo, da collezione, per copertina,
impaginazione, risvolti, quarta…, che, con il suo prodromico ammicco, ci
prepara ad una avventura di fattive intonazioni, di impatti poetico-sonori che
tanto dice dello spirito romantico di compositori e poeti, pittori e
romanzieri, amanti e traditi, illusi e
delusi, in fuga, alla Chatterton, verso mondi inesistenti, verso mete mai
appaganti, di un periodo in cui l’uomo è vissuto come cellula vagante, come
instabile navigatore, come surrogato di tormento e inquietudine, saudade e
melanconia; come emblema di azzardi verso un oltre che va incontro ad una
fragilità spersa nelle maglie di un irraggiungibile infinito. Sta qui la
perspicace rielaborazione di un’Artista che fa di una lettura classico-musicale
un melologo; un mix interessante e agguantante fra parola e sentimento; fra
sentimento e dolci illusioni: amorosi sensi che si provano ascoltando brani
umanamente suasivi e vibranti come quelli del Trittico che Mariagrazia si
accinge a farci ascoltare e più che altro a farci vivere tramite le vite
convulse dei tre compositori presi in esame: Schubert, Schumann, Čajkovskij. La
Scrittrice ha fatto suo questo patrimonio culturale e artistico attraverso ascolti
e meditazioni, riflessioni e pensamenti, emozioni e vertigini d’altitudine; si
è impossessata di tale patrimonio, ne ha fatto memoria, immagine, per tradurre
il tutto in corpi verbali tesi all’abbraccio di tanta materia. È così che nasce
l’atto creativo: non è sufficiente la scussa realtà né tanto meno l’innocua
trascrizione; è estremamente necessario che gli atti immaginifico-figurativi
covino dentro un’anima disposta a
macerarli, a intingerli della propria substantia, per trasferirli,
polposi, ex abundantia cordis, alla pagina bianca. Quello che avviene in questa
opera, plurale e polimorfica, condotta e guidata da un’azione creativa audace e
spontanea. Non è da tutti affrontare un decorso complesso e pluridisciplinare
come questo. E Mariagrazia lo fa con piglio autorevole, senza mai cadere in
epigonismi o melanconiche deviazioni, o
pleonastici stilemi, mantenendo il flusso in un letto dagli argini robusti;
consegnando il tutto ad una versificazione nutrita di sangue e di ossigeno, dove la varietà metrica, di
misure ampie (settenari, endecasillabi…)
ed altre rattenute (binari, ternari…), dà segno vivo di uno spartito in pieno
movimento: Winterreise, Pianoforte,
Viandante, Città, Feste, Canto Padre,
Madre, Donna, Incompiuta, Morte, Winterreise: tante suggestioni
schubertiane che segnano momenti emozionali, vicini al sentire della stessa
Poetessa, tanto sono vivi: “Sarà l’appannarsi della stagione/ pronta a
concedersi all’autunno/ sarà il silenzio dell’usignolo/ in questo giorno
stanco/…./ la nostra anima?”, dove l’impiego di rifermenti panici dà sostanza e
concretezza ad un lirismo di ampio respiro. Altrettanto trascinante l’inquietudine
erotica, altamente simbolica oltre il senso, della Schumann: voce fuori campo, Clara… “Sì, volle morire, Robert/…./ Per essere
insieme nella Luce”, in un trionfo di invenzioni scaturite dalla immaginazione
produttiva della Carraroli; da una peripezia analitico-psicologica sul tempo e
la vita; su la vita e i dolori; sui dolori e l’amore: “E la fatica?” “L’abbiamo
portata sulle spalle/ nei giorni/…/ dei disagi nei dolori./ Sulle spalle c’è la
vita/ ma la vita senza amore/ perde vita/ e amara pesa /senza amore la fatica…”.
Per finire con un poemetto su un altro grande della letteratura musicale di
ogni tempo, Čajkovskij, in cui si attua un impossibile equilibrio; un
insanabile conflitto (vissuto dall’artista) fra Pietro, forza e stabilità, e
Elia, fuoco, mobile irrequietezza: L’uomo,
Steppa, L’amore, Fiumi, La maschera, Taigà, La morte, Tundra, Lettera e a me
stesso: “Alla fine/ solo resta il cuore/ in desolata privazione/
d’orizzonte”.
La
poesia della Carraroli va snella, con misure apodittiche, e slanci verbali di
rara fattura; va con eufonica andatura affidata aduna semplicità maturata nel
tempo. Il suo scopo è quello di tradurre l’amore, e il senso della vita in
oggettivazioni verbali di corposa visività. Tutto è demandato ad un animo
sensibile, cólto, musicalmente affascinato e attratto da sinfonie e melodie che
vibrano nelle iuncturae significanti di una scrittura adusa al Bello; ad una
ricerca insaziabile di voci che risuonano e chiamano sulla strada del canto; di
voci che parlano la lingua dell’Autrice, la sua vocazione all’umano e all’ultra
in cui Ella si ritrova, scoprendo la natura della sua plurale vicenda. Tanti i
motivi ispirativi; tante le contrapposizioni esistenziali, i polemos dei
contrari, il pascaliano sfronto fra rien
e tout a significare la complessità del
testo: luce ed ombra, giorno e notte, sogno e realtà, realtà e mistero,
thanatos e eros, vita e morte: input emotivo-vicissitudinali che nella loro
simbiotica fusione danno luogo ad una storia dal sapore romantico. Mi trovo ad ammirare
quadri delacroisiani, a leggerne lo spirito vago e brumoso in cerca di libertà
impossibili. Mi trovo ad ammirare mari invernali spersi in orizzonti di nebbie
e marosi che tanto dicono di una navigazione in cerca di un faro per l’approdo. Ma qui gli
approdi sono improbabili; un nostos di perigli e trabucchi che rendono
difficile e complicata la traversata. D’altronde l’uomo romantico si azzarda in
mari di infinite misure; aspira al tutto pur cosciente della precarietà della
vita; pur cosciente di non poter gioire della luminosità di un’isola tanto
distante dalle sue intenzioni: si abbandona ad amori impossibili, ad abbracci
consolatori, ad affondi passionali che trovano la loro alcova fra le braccia
della morte. Tutto questo nel “POEMA” della Nostra; in una energica quanto mai
fluente andatura che avvince e convince. E d’altronde non è per niente
azzardato leggere nella sua rievocazione poetico-musicale quel malum viatae che ha intaccato le
vertigini esistenziali dell’uomo contemporaneo: da Baudelaire fino ai nostri
giorni. La stessa visione lirico-pucciniana dell’amore è molto vicina a
“l’ossimoro dell’esistenza, tra abissi e vette, inferno e cielo, dolore e
amore…” del Winterreise schubertiano, con le dovute distanze tecnico-strutturali
e contenutistiche. Sembra che sia la morte a stagliarsi, scheletrita e oscura,
sugli orizzonti della vita, come idea tanatica del nulla, anche se, al fin fine, è il sentimento
dell’amore a rendere la vita stessa unica, immortale nella sua sacralità: “La
musica è amore in cerca di una parola”. (Sidney Lanier, nella prefazione di
Giuseppe Baldassarre)
Nazario Pardini
Che dire di questa magistrale lettura... Da parte mia,di autrice il grazie è troppo poco per esprimere non solo la gratitudine, ma anche la gioia di essere colta in questo mio TRITTICO al massimo... di essere colta con rara penetrazione critica e fine sensibilità umana nella mia "vocazione all'umano e all'ultra " dentro ( e questo mi tocca in modo particolare... ) l'ossimoro dell'esistenza tra abissi e vette, inferno e cielo, dolore e amore..."
RispondiEliminaOssimoro dell'esistenza che è dei tre grandi interpretati in TRITTICO, ma che in fondo anche noi tutti più o meno sperimentiamo.
Rinnovando il mio grazie, l'ammirazione e la stima, saluto caramente,
Mariagrazia Carraroli