RIFLESSIONE
Or che s'allunga in solitaria quiet[e
e] tramonta, il sole stende silenziose
ombre sui passi d'allora, e la sete
prende del tempo andato e delle cose
amate d'una volta, e rende inquiete
queste ore mie, davanti. E le tue rose
sfioriscono distanti, e quelle mete
credute sono inganni; idee corrose
dagli anni, e poi perdute. Sono queste,
dunque, dei nostri sogni le future
dolcezze, le promesse, e i turbamenti
per cui cercammo l'amore? Clementi
furon gli dei, davvero: delle feste
credute ecco, soltanto le paure
rimangono e le dure
cure del giorno. Ebbene, sì, è la vit[a:
e] la morte, è sola verità infinita.
Maurizio Donte
Dagli evidenti richiami leopardiani emerge ancora una volta la maestria tecnicamente perfetta del classico verseggiatore ma anche il senso vero degli input di questa composizione di profondo sentire.
RispondiEliminaEdda Conte.