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Intervista/1 al
poeta filosofo Campegiani: “Ridimensioniamo l’ego”.
di Daniela Di Iorio
http://www.anaso.it/2018/06/20/intervista-1-a-franco-campegiani-ridimensioniamo-lego/
Il
saggio Ribaltamenti (D&M I saggi) dello scrittore, poeta e
critico d’arte Franco Campegiani, investito della laurea honoris causa
in Filosofia, ha già ottenuto numerosi riconoscimenti letterari, tra
cui il Primo Premio per “Mario Arpea” 2017, patrocinato dalla Società culturale
Dante Alighieri. L’intervista, della quale oggi pubblichiamo la prima parte,
vuole approfondire i temi trattati nel libro, per comprendere meglio qual è la
missione intellettuale di un’opera che ha già riscontrato grande successo
nel panorama intellettuale italiano.
Copertina Ribaltamenti
La
visione del mondo che emerge in Ribaltamenti sembra trarre origine innanzitutto
da una richiesta di ridimensionamento dell’ego in nome dell’alter ego, a favore
di una visione sovrarazionale e spirituale.
Possiamo partire dal sottotitolo del
testo, che suona così: “Democrazia dell’Arché e assolutismi della dea Ragione”.
La mia opera è, come dice il titolo, costellata di ribaltamenti, ma
probabilmente questo è il capovolgimento principe da cui discende a pioggia
tutta una serie di altri rovesciamenti di pensiero. La tradizione filosofica
assegna all’Umanesimo il ruolo di antagonista del divino, assecondando quella
stessa separazione fra i due poli che giunge, al contrario, alla querula
implorazione della divinità. “Aiutati che Dio t’aiuta”, dice un vecchio adagio,
volendo significare che l’uomo ha il divino con sé e non se ne dovrebbe
dimenticare. La leggenda di Prometeo è emblematica: il mitico eroe ruba il
fuoco agli dei per farne dono all’umanità, ma la sua ribellione non è contro il
divino, come potrebbe sembrare, bensì contro l’umano che cela a se stesso la
propria fiamma divina e non ricorda dov’è. All’atto di eclissarsi dietro
l’opera creata (come ogni buon padre che vuole fare del figlio il padrone di se
stesso), il Grande Artefice si è preoccupato di non abbandonarla al suo
destino. Così ha fornito ad ogni creatura coordinate idonee per aiutarla nel
suo cammino. Sto parlando di quello spirito custode che noi sempre trascuriamo
e addirittura scavalchiamo presumendo a volte di poterci rivolgere direttamente
a Dio. Quell’angelo è il divino compagno di viaggio di cui siamo stati dotati,
il fratello maggiore, il nostro alterego: un’entità trascendente legata a fil
doppio all’immanenza, al corpo fisico. Con esso noi possiamo e dobbiamo parlare
alla pari, in modo confidenziale, ascoltando i suoi messaggi e facendo valere
le nostre ragioni umane. Un’armonia di contrari, una dualità, una relazione con
noi stessi che dona buon senso e padronanza di sé. Una padronanza fondata sul
confronto interiore, sull’autocritica, sull’umiltà, giacché è soltanto
ridimensionando la presunzione dell’ego che può farsi spazio al divino,
all’alterego ultrafisico che ci vive dentro. Non con Dio direttamente l’uomo si
può confrontare, ma con l’angelo incaricato di fare le Sue veci.
Nel
primo capitolo, dedicato al rapporto tra corpo e anima, lei rammenta che la visione
animistica si fonda sulla presenza della divinità nel mondo. Poi si chiede:
“Che cosa rimane oggi della rivoluzione francescana che tornò a parlare della
spiritualità di ogni forma vivente? E della visione dantesca che individua la
sfera del divino navigando negli abissi dell’animo umano?“. Lei
sostiene che Umanesimo e Spiritualismo hanno provocato una scissione
all’interno dell’uomo, tra materia e spirito, e che “la persona
deve comprendere di essere un in-dividuo, un essere in-diviso appunto: materia
e spirito in simbiosi tra di loro. Se rinuncia all’allineamento – si legge
ancora -, la persona diventa la maschera di cui parlavano gli Etruschi, il
soggetto diviso da se stesso, tutto preso nell’orizzontalità dell’esistenza,
senza vera fede in sé e senza autenticità. L’animismo – conclude – è la
coappartenenza dell’anima e del corpo, dell’infinito e del finito,
dell’assoluto e del relativo”. Può spiegare meglio questi passaggi?
Umano
e divino stanno l’uno nell’altro, ma l’umanesimo da un lato e lo spiritualismo
dall’altro scindono i due poli con grave danno per l’equilibrio della
personalità. Tradizionalmente, quando si parla di archetipi, si pensa alle
astratte idee platoniche, modelli ideali delle cose sensibili, oppure alle
immagini primordiali dell’inconscio, secondo la psicoanalisi junghiana. A mio
parere, invece, essi non sono altro che gli spiriti custodi di cui parlano
molte religioni e di cui anche Socrate dà testimonianza parlando del daimon e
del conosci te stesso: un’intelligenza invisibile aderente al corpo fisico, in
una convergenza di sensi e d’anima, di sangue e spiritualità: Razionale e
Sovrarazionale, Ego ed Alterego (da non confondere con Superego) abbracciati
tra di loro. L’animismo delle culture native (indebitamente identificato con il
feticismo che colpisce tutte le culture, ivi comprese quelle altamente
tecnologizzate) sono attraversate da questo sentimento del numinoso e del
sacro, che nelle religioni storiche viene successivamente cancellato in onore
di una divisione artificiale tra naturale e sovrannaturale. I popoli nativi
(beninteso, anche nei tempi storici si può essere nativi e conservare la
propria autenticità) sono consapevoli del laboratorio intelligente che aderisce
agli esseri viventi restando separato da essi nel proprio autonomo e
incorruttibile mistero. Gli indiani Naskapi, una tribù del Labrador analizzata
nel ’68 (in L’uomo e i suoi simboli) da Marie-Louise von Franz, psicologa
junghiana, ben conoscevano questo nume tutelare, questo compagno intimo
denominato Mista’peo. Nulla c’entra il Panteismo che identifica il divino col
mondo, un divino tutto immanente, perché questa è una visione duale
dell’esistenza: trascendenza e immanenza tra di loro distinte e collegate. Dopo
il Medioevo, l’alba dell’Umanesimo fu salutata dal ritorno di quel medesimo
senso del numinoso e del sacro: da un lato l’esperienza francescana che
coglieva il divino nel mondo; dall’altro la visione dantesca che inseguiva il
divino navigando nei mari dell’umano. Di lì a poco, Umanesimo e Spiritualismo
torneranno ad attestarsi su posizioni antagonistiche, squarciando l’unità e
l’armonia dell’essere umano. Il quale è spiritualmente un
in-dividuo, un’entità non-divisibile nella sua natura duale, e non la persona
(maschera per gli Etruschi) priva di autenticità e reclusa nel solo piano
orizzontale dell’esistere.
Se
si tenesse conto della distinzione tra fede e religione, secondo lei verrebbe
meno quella che è considerata la causa prima delle guerre di religione?
E’
stato il teologo Karl Barth a distinguere tra fede e religione, tra culto delle
apparenze e credo interiore. Non che le due cose siano inconciliabili, ma per
poterle armonizzare occorre avere netta la distinzione tra assoluto e relativo.
Ben vengano tutte le ritualità e tutte le simbologie, se la loro tensione è
verso quell’unico Dio che pulsa nel cuore di ognuno. Se l’uomo puntasse verso
questo suo inafferrabile e non chimerico cuore, inevitabilmente cercherebbe di
migliorare se stesso, imboccando il cammino verso un’autentica convivenza
religiosa ed umana. Non è necessaria l’integrazione. Si possono gradire le
simbologie dell’altro restando legati alle proprie tradizioni. Se si potesse
credere che un identico riferimento spirituale possa venire tranquillamente
espresso da una molteplicità di differenti simbologie, le ragioni dei conflitti
religiosi svanirebbero e verrebbero meno le triviali contrapposizioni. Dio non
è una bandiera, per cui non c’è bisogno di professarsi cattolici o protestanti,
e neppure atei o credenti, laici o religiosi. L’ideologia è fatua e fuorviante.
Dio va messo semplicemente in pratica, non nominato invano.
Anche
la fisica quantistica, la psicologia quantica, e la neurobiologia aprono
scenari inconsueti nella relazione intima che intercorre tra materia e spirito.
Il
doppio ultrafisico di cui sto parlando può trovare probabilmente conferma nella
stessa natura ondulatoria e particellare dell’atomo. L’atomo ha infatti una
struttura duale: materia e antimateria in un solo respiro. Il mio amico medium
Mario Silvestrini parla dell’antimateria come del tradizionale spirito custode.
Egli ha scritto: “Ciò che l’antimateria può insegnare è la possibilità di
rinnovarsi continuamente in energia, imparando a rinascere a nuova vita ogni
momento”. Qualche tempo fa ho letto e pubblicamente presentato un libro
intitolato Psicologia quantica, edito da Armando e scritto da uno psicologo
controcorrente, il Professor Francesco Facchini, nel quale viene individuato un
ordine metapsichico ed extrarazionale dell’intelligenza, partendo dagli
orizzonti della materia grigia umana. L’orizzonte di studi del Professore è
eminentemente scientifico e nel testo vengono citati personaggi autorevoli
della fisica, quali David Bohm, Wolfgang Pauli, Ervin Laszlo. C’è una vasta
letteratura sull’argomento e posso qui citare studiosi e neurobiologi quali Eccles
e Pribram che in merito azzardano tesi assai singolari. Per non parlare del
notissimo Fritjof Capra, con il suo Tao della fisica, pubblicato in Italia da
Adelphi. Chi afferma che queste ricerche siano inaccessibili alla speculazione
scientifica solo perché tradizionalmente appannaggio dell’indagine spirituale,
mostra a mio parere dei pregiudizi, giacché se tra spirito e materia esistono
legami, allora devono esserci livelli sconosciuti della fisica in grado di
farci intravedere qualcosa dei processi spirituali. Noi siamo abituati a
credere che il pensiero stia tutto racchiuso nella scatola cranica, ma la
macchina pensante è molto più complessa e potrebbe includere la scatola cranica
nel suo interno, anziché esserne inclusa.
Ho letto l’opera di F. Campegiani -Ribaltamenti-e sono contenta del successo che ha ricevuto e continua a ricevere, anche grazie ai suoi generosi interventi chiarificatori e di approfondimento, la chiarezza dell’analisi e la linearità dell’ esposizione: è un lavoro concettualmente denso, filosoficamente molto intrigante, anche per il metodo di indagine, che affronta la complessità, ossia “un rovesciamento dello sguardo, da un'angolazione esteriore e superficiale, conflittuale, ad una prospettiva interiore profonda, dove universalità e particolarità si fondono in un solo respiro.” A rebours. Come dire: una rivoluzione dialettica.
RispondiEliminaColpisce l’originalità della tesi, l’affrontare le problematiche dai “confini” del nostro incerto sapere.
Il pensiero pensante, non la fredda razionalità della relazione- cui siamo acriticamente abituati- è l’interesse dello studioso: la meta è la ricerca “dell’ alter ego ultrafisico”: originale definizione che non si confonde con l’alter ego di nascita psicoanalitica, che rifiuta il razionalismo che si sovrappose storicamente alla cultura mitico-sapienziale tentando di cancellarla, dimenticarla.
Vale la pena di rileggere con lui il racconto edenico, le culture arcaiche, il tema del mito, l’opera di Omero e di Dante.
Straordinaria la capacità della Ferraris di calarsi nel vivo del mio - e non soltanto del mio - pensiero, riuscendo a rendere limpida ogni acqua con le sue proficue immersioni. Una frase, in questa sua nota, mi colpisce particolarmente, spingendomi verso ulteriori considerazioni: "affrontare le problematiche dai confini del nostro incerto sapere". Richiama alla mente il programma socratico, a me particolarmente caro: quel "saper di non sapere" in tutto simile al "non saper di sapere" che troviamo nel gioco del "perché" dei fanciulli e del pensiero prelogico (mitico-sapienziale, appunto) in generale.
RispondiEliminaFranco Campegiani