Emanuele Aloisi, collaboratore di Lèucade |
Dopo una prima lettura della lirica ho da subito pensato a San Tommaso, l’apostolo pignolo, pieno di dubbi e di interrogativi, desideroso di comprendere ogni cosa, e di toccare il Verbo, e la sua carne con le mani.
Anche il poeta manifesta lo stesso desiderio, il desiderio di una vita, nella continua ricerca di un “corpo vero”, in cui il Verbo si incarni, e deve farlo necessariamente, nel rispetto della vita, quella dell’uomo e del credente, che ha dedicato l’esistenza nel cammino all’obbedienza. Sembra non volersi accontentare dei silenzi, degli alfabeti senza lettere, o delle “lettere senza alfabeto”: analfabeta dimora di un cielo e di galassie. L’uomo vuole vedere un’alfa, con gli occhi di un bambino vuole vedere lettere vestirsi della carne di un altro bimbo, di un altro uomo, un vecchio o chissà chi. Il poeta non si accontenta di immaginarlo in ciò che fuori non ha carne
assottigliato nel buio delle notti senza pareti
o nel muoversi delle foglie scalciate dal soffio lieve
nella pigra luce del mattino
o vederti ammutolito in fredde statue colorate
dandone continua conferma con l’iterazione del proprio desiderio “ma io volevo incontrarti”.
L’uomo non si accontenta di percepirlo nell’anima, e nonostante ne avverta il logorio del corpo, nella sensuale allegoria del mare
ma Tu mi dicevi nel sonno con parole di luna
che mi eri già dentro
nel respiro latteo della mia carne
agitandoti nei fondali della mia anima
fra quelle reti colme di dubbi e di stupori
o arrampicato fra le alte rocce dei miei pensieri
Sembrerebbe vano l’affanno della ricerca umana, nella riflessione avversativa “Ma tu”, come un rimprovero alla mancanza di un riscontro, alla richiesta di un contatto e di un dialogo. È inascoltata la preghiera, forse, anche quando è poesia: perché l’uomo che prega è un poeta, e sa rendere comune la preghiera, l’appartenenza a un nuovo “regno recintato”, a “nuove parole e altri silenzi/ fecondi e scintillanti/ fra le stelle oltre le stelle”.
Ed ecco la poesia venire incontro ai poeti, così come la preghiera venire incontro agli uomini: i Silenzi non sono mai sepolcri di un Verbo e di una carne, semmai gli scrigni di ombre e di luci da criptare, labirinti da attraversare per raggiungere la meta della verità. Ed ecco la ragione per la quale l’IO poetico, moltiplicandosi, diventa collettivo oggetto di colui che non “ci ” perde d’occhio.
Il poeta, da uomo religioso, fa compiere, a se stesso e agli altri, un percorso di metànoia attraverso l’alfabeto delle lettere, paragonabile al cammino di San Paolo sulla via di Damasco. Paolo era pur sempre un ateo, un persecutore trasformatosi in salvatore, e solo dopo aver criptato una nuova voce, la sua radiosa luce. Il poeta sembra invece riavvicinarsi alla stessa meta lungo un cammino di redenzione, di riscoperta, e nonostante il Silenzio, la delusione per l’apparente infruttuosa ricerca, alla fine contraddetta: “ti ho trovato in tutti questi anni”
in quelle parole spinte dal fondo dell’anima
o nelle parole abbracciate alle preghiere
o in tutte quelle di predicatori
ora timorose
ora rassicuranti
nelle preghiere rimaste incollate dai fiati
sui muri di chiese abbandonate
o adagiato in quell’alfabeto misterioso
fra pagine di memoria antica
il mistero dell’alfabeto si è dipanato, avvicinandosi all’omega, al senso stesso della fede, che va al di là di un fatto storico di sofferenza, di morte e crocefissione; poiché la fede è soprattutto credere: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. E il poeta ne rinnova il senso, nella visione di una nuova carne, di un’altra carne, e nel dolore profondo, quando la carne ci è vicina, compresa quella di una madre. Il poeta rinnova il vero senso della fede nel credere che questa carne sia risorta, lontana nei cieli, ma sempre vicina.
Emanuele Aloisi
TI VOLEVO INCONTRARE
Ti ho sempre cercato
fin da quando avevo i pantaloncini
corti
volevo incontrarti per guardarti
negli occhi
e senza dire parole
travasarti la mia anima
Non mi bastava immaginarti
assottigliato nel buio delle notti
senza pareti
o nel muoversi delle foglie
scalciate dal soffio lieve
nella
pigra luce del mattino
o vederti ammutolito in fredde
statue colorate
Desideravo incontrarti come la
notte il giorno
ma Tu mi dicevi nel sonno con
parole di luna
che mi eri già dentro
nel respiro latteo della mia carne
agitandoti nei fondali della mia
anima
fra quelle reti colme di dubbi e di
stupori
o arrampicato fra le alte rocce dei
miei pensieri
Ma io volevo incontrarti
vederti in un corpo vero
di bambino come me
e non percepirti
nei cieli oltre i cieli dei cieli
lontano dalle mie mani
dai miei occhi
nascosto dentro sconfinati silenzi
o in qualche costola del
giorno
Ma Tu
preferisci la lontananza al
contatto
il silenzio al dialogo
anzi di silenzi ti adorni e ti
vesti di galassie
e con parole senza alfabeto esprimi
luci e ombre da criptare
Hai recintato il Tuo regno
con nuove parole e altri silenzi
fecondi e scintillanti
fra le stelle oltre le stelle
pur continuando a non perderci
d’occhio
Mi sono nutrito/incanutito
del Tuo giogo
nella Tua obbedienza ho aperto il
mio cammino
salvandomi dal vuoto e dal nulla
ma non dal nulla e dal vuoto
di chi va appresso alla fretta al
rossetto al danaro al potere ….
Ma perché hai scelto il silenzio
come tua dimora
e come fa il silenzio ad
accoglierti e poi rivelarti?
Ti ho sempre cercato
per vederti in un corpo vero
di bambino come me
o di anziano o chissà chi
Ti ho trovato in tutti questi anni
in quelle parole spinte dal fondo
dell’anima
o nelle parole abbracciate alle
preghiere
o in tutte quelle di
predicatori
ora timorose
ora rassicuranti
nelle preghiere rimaste incollate
dai fiati
sui muri di chiese abbandonate
o adagiato in quell’alfabeto
misterioso
fra pagine di memoria antica
Fin da quando avevo le ginocchia
piene di croste
Ti
ho cercato
e di bambino e di figlio che ero
son diventato anch’io padre
continuando a trovarti
solo e sempre
negli sguardi di malati che cercano
un fiore
nelle cappelle adornate di fiori e
lumini
nella geografia di volti di gente
umile
Ma io Ti volevo incontrare
vedere in un corpo vero
in un corpo tutto tuo
di donna di uomo di gay
e non nelle parole di mia madre
mentre si preparava a morire
nelle canzoncine imparate per la
Prima Comunione
nelle preghiere venute fuori dal
cuore di santi
mentre Tu dai tuoi cieli
continui a starmi lontano
e a non lasciarmi
mai
solo.
Giovanni Dino
Molinella
(Bo) 26 12 2017 ore 08,38
Poesia di grande valore, dal significato immenso e profondo, dai contenuti umani e religiosi elevatissimi. Versi in cui il poeta è prima di tutto uomo, con la semplicità dei suoi dubbi, del suo desiderio legittimo di vedere, toccare con mano ciò che è Mistero e Preghiera. Come giustamente evidenzia Emanuele Aloisi nella sua splendida e dettagliata recensione, il poeta ricorda l'incredulità di san Tommaso, tipica dell'essere umano. Un dubbio insito nell'animo che tende a cercare la carne e non la freddezza di una statua a cui rivolgersi, qualcuno "vero" in cui identificarsi e riconoscersi. Dubbi che sinceramente mi hanno da sempre condizionata personalmente, quando si ragiona con la mente e non con il cuore. Grazie ad entrambi per aver condiviso questi pensieri meravigliosamente veri. Franca Donà
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