Guido
Zavanone: L’essere e l’ombra. Edizioni
dei Giustiniani. Genova. 2018
L’essere
e l’ombra
Quando morirò ci saluteremo
da vecchi amici: “Lieto dirò
del viaggio fatto insieme”.
Ma chi era l’essere
chi era l’ombra
non lo sappiamo
Questa
è la poesia, a pag 24, che dà il titolo all’opera. Una pièce che con tutto il
suo eponimo substrato, con tutto il suo filosofico smarrimento ora leopardiano
e ora montaliano, ci introduce in quello che è il corso meditativo della
plaquette: L’essere e l’ombra. Ma chi
è l’essere e chi l’ombra? L’essere come un involucro precario destinato a
sparire, l’ombra è ciò che noi siamo in questo mondo di materialità. Ma l’ombra
esiste solo se c’è la luce, si potrebbe obiettare. E se c’è luce c’è anche il sole, o Chi per esso ha nutrito l’intorno
di luminosità. Ma per Zavanone l’essere è materia, è tutto ciò che noi vediamo
e viviamo, un percorso vitale destinato a le
rien et le néant, quel nulla che ci affianca dalla culla fino alla fine, per
dirla col Leopardi. Noi siamo destinati a passare una sola volta da questo
meraviglioso palcoscenico su cui recitiamo; e la rappresentazione non si
ripete, è unica: colline fiorite, mari di azzurro vestiti, infiniti orizzonti
simbolici, autunni velati di morte, primavere di giovanili butti, estati
esplose in amori... ci avvincono coi loro ammalianti colori. Una realtà che noi
siamo destinati a vivere un giorno, un’ora, un sospiro, quel tanto che dura la
vita. D’altronde dire che tutto è un inganno non è giusto, anche se il cielo si
riveste di un azzurro che non esiste. Forse la natura ci vuole distrarre con le
sue bellezze dal pensiero di un destino irrevocabile, considerando che la vita
non è altro che un tempo prestatoci dalla morte. Allora come tante ombre siamo
destinati a eclissarsi non appena il sole ha compiuto il suo tragitto. Ma c’è
la luna, mi si potrebbe rispondere; anche la luna con la sua flebile luce
genera ombre. Pur sempre ombre impercettibili, invisibili, tentativi di resistere
ad una natura che ci vuole spenti. Quindi tanti gli argomenti di rilevanza
escatologica a nutrire il dipanarsi della narrazione: essere, tempo, vita,
morte, materia, spirito, nulla, sogno, immagine, amore; dicotomico contrasto
fra ciò che è e ciò che non è; fra l’apparenza e la realtà; fra l’ordine e il
disordine; fra la luce e la notte; fra la caducità del terreno e l’universalità
del cosmo... insomma un polemos degli opposti eracliteo che genera l’esistere.
D’altronde noi spariamo, ma con il nostro passaggio, abbiamo contribuito bene o
male al perpetrarsi di quello che è il
corso dell’universo. A qualcosa sarà valsa la nostra venuta. Per il poeta niente
di tutto questo: fine di una rappresentazione; è già tanto se una volta abbiamo
potuto godere dei benefici del creato: Minimalismo? Esistenzialismo? Poesia civile’? Politica? Materialismo
naturalistico? Misticismo spiritualistico? Lirica? Antilirica? Classicismo?
Modernismo? Post-modernismo? Niente di ciò
nella poetica tormentata del Nostro; o per essere più obiettivi venature
di lirismo, di spleenetismo, di poesia politico-civile, ce ne sono. Ma possiamo
di sicuro affermare che il Poeta vive al
di fuori di ogni condizionamento; le mode gli passano daccanto senza sfiorarlo;
va per la sua strada, unica, incontaminata, con una voce che si alza al cielo;
con un grido umano, fortemente umano, ora dolce, ora meditativo, ora inasprito,
ora accalorato, indicando gli umani come polvere nella terra che irride
l’immagine presuntuosa di Dio:
(...)
Mente
l’uomo
che
leva orgoglioso
lo
sguardo alle stelle
e
dice lui solo io
è
polvere nella terra che irride
questa
immagine
presuntuosa
di
Dio.
Nazario
Pardini
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