martedì 9 marzo 2021

MARIA RIZZI LEGGE: "ULTIMI PENSIERI" DI LUCIANO POSTOGNA


Luciano Postogna

ULTIMI PENSIERI

Guido Miano Editore, 2020

 

Recensione di Maria Rizzi


La Silloge del Poeta triestino Luciano PostognaUltimi pensieri”, edita da Guido Miano Editore - Milano, e introdotta magistralmente da Nazario Pardini, ci trascina nei versi composti dall’Autore nel periodo da marzo a luglio del 2020, come egli stesso specifica nella dedica. Il professor Pardini nella prefazione asserisce che nel testo ‘la vita si fa poesia, come la poesia vita’ e non poteva trovare un’espressione più consona per quest’Opera che è specchio delle stagioni del cuore di ognuno di noi. La Raccolta è divisa in cinque parti (Poesie di marzo, di aprile, di maggio, di giugno, di luglio) e, nello srotolarsi dei mesi muta la cifra stilistica di Postogna, che lega marzo al metro classico, e va poi man mano modernizzandosi, dando la sensazione che trascorrano lassi di tempo ben più lunghi di un mese. Una scelta originale, che rivela in toto le potenzialità dell’Artista, il suo desiderio di veicolare la poesia attraverso mezzi espressivi diversi, forse concepiti in virtù del mese in oggetto, forse sentiti in un climax di cambiamento, di esigenza di modernizzazione. D’altronde il Nostro ha atteso il 2000 per dare alle stampe tutte le sue liriche, che erano numerose e di grande valore. Ha quindi avuto modo di sperimentare stili diversi, di dare voci sempre nuove ai suoi versi. La SillogeUltimi pensieri” lo coglie nel pieno della maturità artistica e vede la luce in un periodo particolare per la storia dell’umanità intera. Inizia la vicenda del Covid19 con le misure di confinamento e il Poeta leva il suo canto alla Natura e ai suoi elementi poetici, che seguono il proprio corso ignari del dolore dell’uomo.

 

“… sono lampi di vita senza data,

son brani di una vuota antologia,

angoli di strade senza lampioni,

boschi immensi di piante sconosciute,

confusi incubi delle notti insonni,

Nitide vedo invece le stelle

la mia malinconia, la mia ansietà,

la mia tristezza e tutte le mie paure.

Madido aspetto il sorgere del Sole…”

(da “Vedo nelle stelle”)

 

Endecasillabi perfetti per il senso di desolazione, di vuoto, di ansia, che nel marzo 2020 ha colto tutti gli esseri umani, dando la certezza, per dirla con Quasimodo, che “Ognuno sta solo sul cuor della terra”. Madre - natura in credito verso di noi, che abbiamo saputo offenderla, umiliarla, tradirla, non può condividere lo strazio, anzi nei due mesi di lockdown esplode in tutto il suo fulgore annunciando la primavera:

 

“Sei nei colori allegra oh Primavera,

 tiepidi i tuoi aliti il contado avvolge,

 gioisci natura al rinnovato evento.

 Le piante spoglie di stagion brumale

 or vanitose s’ammantano sciolte.

 Limpido il ciel si riversa di luce

 e di garrir redivivi si colma…”

(da “Ben tornata Primavera”)

 

Il linguaggio è aulico, forbito, in linea con l’adozione della metrica e con la tendenza leopardiana a usare un distinguo tra le parole e i termini che ‘presentano la nuda e circoscritta idea’. La parte della Silloge dedicata al mese di marzo sembra fuori dal tempo, in realtà è calata nel tempo lirico, che evoca i classici, che mette in luce le perle rare dell’italiano, cucite nel tessuto della memoria artistica. La bellezza poetica, d’altronde, rappresenta l’aspirazione a un’ideale di superiore armonia e Postogna non disattende la fedeltà a tale produzione di bellezza: “…Ritornerà in autunno la mia Musa / quando svelte ingialliscono le foglie / ed il clamor della stagione calda / s’ammorza nel piovigginar silente…” (da “Sole rosso”). La seconda parte del testo dedicata al mese di Aprile ci rivela un Poeta meno legato al classicismo. Il salto emozionale che ne deriva è intenso. Si ha l’impressione di trovarsi in una Silloge nuova, in realtà si scopre un Autore libero come le stelle che deviano dall’orbita per solcare il firmamento. Nelle liriche si nota l’abbandono del metro e la tendenza ad abolire, talvolta, gli articoli, com’era solito fare Primo Levi, convinto che le parole incidessero come coltelli, avessero il peso della coscienza:

 

“Deserto di cristallo:

adamantine luci che balenano

su orizzonti infiniti

che il sole inconsciamente crea…”.

(da “Deserto”)

 

Proprio pensando al torinese di origine ebraica che ha vissuto la più grande tragedia umana del Novecento, ovvero il nazismo e il campo di concentramento, mi sono calata nei versi che chiudono questa sezione dell’Opera:

 

“La mia anima è sul Carso

 e nei profondi abissi,

 tra le Pale e il Civetta,

 Adamello e Marmolada.

 Dove gli uomini si immergono,

 esplorano,

 scalano,

 sciano.

 

Anch’io ero un uomo.

Ora m’inebrio di ricordi”

(da “Anch’io ero un uomo”)

 

Il distico finale e il titolo confermano la similitudine con Levi, autore dello splendido diario di Aushwitz “Se questo è un uomo”. Il nostro Poeta dà alla propria anima il volto del Carso, un altopiano storicamente importante per noi italiani, ed elenca le cime delle Dolomiti e ‘gli abissi’, ossia le cavità a pozzo conosciute dagli abitanti del Carso come ‘foibe’, le grotte passate alla storia come sbrigative fosse comuni nel 1943, dopo il crollo del regime fascista in un Olocausto molto meno conosciuto di quello dei sei milioni e mezzo di ebrei. Un artista nato a Trieste è parte pulsante di questa storia, la porta incisa sulla pelle e la attraversa con versi che sanno fermarsi sul limitare del dire, ma consentono ai lettori di immaginare… Le poesie di Maggio esordiscono con la levità del sonetto, composto nello stile forbito, ma palesano la ricerca di nuove dimensioni espressive. Luciano Postogna si potrebbe definire un equilibrista dei versi, in bilico tra il passato, il presente e il futuro. Mi sono chiesta se il suo mutare come le nubi in primavera, fosse dovuto alla ricerca di un’identità di Poeta, ma l’Autore mi ha risposto prima che terminassi di esprimere il quesito. La Poesia possiede il dono, che la rende madre di ogni Arte, di comunicare con il lettore, anche con coloro che non scrivono in versi. Postogna mi ha rivelato che non ha mai avuto bisogno di cercare un’identità, in quanto la parola è facile da pronunciare, ma in essa ci può stare il mondo intero, e per costruirla può essere necessaria un’intera vita. Il Poeta non ha avuto fretta, si è adeguato alle esigenze interiori, alle storie che fronteggiava, al paese della memoria. La Natura è stata la costante di questa superba avventura, ha letto se stesso ‘nelle tenebre notturne’, negli ‘aromi forti di lamponi e fragole’, ‘nelle lucenti foglie sempreverdi’.

 

“Giornata di pioggia,

nel quieto nido irrompi

del passero muto

sull’albero inerte.

Cimitero dismesso

su colline di pietra.

 

Il mio tempo è passato

e il cinguettio sordo

lo porta lassù all’infinito”

(da “Pioggia”)

 

Commovente il legame con le radici del nostro Poeta, celebra Trieste in molte liriche e spesso le descrizioni naturali sono legate alle zone carsiche. Le liriche del mese di Giugno lo testimoniano, con allusioni ai ‘boschi carsici’, al regno dei ‘calcari’, ‘alle lande desolate’… Mi ha trafitta un breve testo di questa sezione, dove il Poeta procede per sottrazione aumentando, come spesso accade, il pathos dei versi.

 

“Uomo!

Dacché ti fu data l’anima

La crudeltà s’effuse.

 

Tremò così la terra

ed iniziò il futuro”

(da “Uomo”)

 

Con questi versi intinti nel sangue il Nostro non fa che confermare che l’uomo porta il triste vessillo della ferocia. Si rivela la creatura più pericolosa per la sopravvivenza del pianeta, in quanto è l’unico animale dotato di parola e raziocinio, ed è il solo ad avere nozione del bene e del male. Tutte le storie dell’umanità, compresa l’attuale pandemia, insegnano che i mali della terra sono frutto dei nostri errori. Alle liriche legate alla natura si coniugano quelle di impegno civile, in parte lo è anche “Uomo”, ma lo sono in modo più specifico “Penne Nere”, dedicata agli Alpini e “Dopo Guerra”, apparenti quadri lirici affrescati di saudade, in realtà testimonianze di tempo sofferto, trascorso “…tra nonni e parenti pietosi / per trovar giacigli e riposi…”. L’impegno civile, d’altronde, credo sia l’esigenza di dar voce alla coscienza di fronte a tutte le situazioni di disagio sociale, di sofferenza, di divisione. La parte di Luglio è esaltazione della natura in fiore e al tempo stesso, silenzioso, ennesimo atto di dolore per i mali inferti ai miracoli del Creato tramite la lirica - fabula “La morte di un pino”.

 

“Dinanzi a me quel pino,

 sotto il faro prominente,

 ormai morente,

 dagli afidi colpito,

 giace tra l’erba esalando

 fiati di resina intrisi.

 

 Baciato dal vento

 si china sul mare

 ma l’olezzo non sente

 e con gli occhi annebbiati

 a malapena vede

 il suo ultimo tramonto”

 

Una Silloge quella di Luciano Postogna di musica che stordisce e verità che lasciano solchi nella mente e nel cuore. Le note consentono di danzare, ma il ritmo è interrotto dalle improvvise fitte di dolore. La verità può far male e può indurre a non sentirsi salvi né liberi. Io ho letto l’ultima poesia sentendomi simile a un afide e ho chiesto scusa al mio Dio.


Maria Rizzi


 Luciano Postogna è nato nel 1942 a Trieste, dove a tutt’oggi risiede. I suoi primi versi risalgono alla fine degli anni ‘50 quando, ancora studente, componeva per i giornaletti studenteschi. Le prime raccolte di poesie sono datate anni ‘70 e rimaste nel cassetto per quasi trent’anni: alla stregua di un diario intimo che memorizza i sentimenti e i ricordi del poeta. Solo nel 2000, infatti, Postogna comincia a divulgare e pubblicare le sue poesie, sia giovanili sia quelle scritte fino ai giorni nostri. Nel 2000 esce la sua prima silloge, intitolata Pensieri nudi, seguita da Ali d’Arcangelo (2000), Raggi rossi al tramonto (2001), Anatomia del vento (2002), Oltre ogni orizzonte (2003), L’ombra dell’anima (2006), Antologia (2020), Ultimi pensieri (2020).

 

 

Luciano Postogna, ULTIMI PENSIERI, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp.88, isbn. 978-88-31497-37-4.

 

 

 

 

 

 

 

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