sabato 6 marzo 2021

PREFAZIONE A "ALBE DI MARE" DI CARMEN MOSCARIELLO

 

LA POESIA E’ QUALCOSA DI OSCURO CHE FA LUMINOSA LA VITA

 

 

“Le antiche rotte dell’ Ahaggar”

Di Carmen Moscariello

ll cielo che porta sole e terra e luna e stelle, è fiero di portarle. Come lui, il cielo, sii tu fiero di portare la tua vita[1]

 

I canto

 

Mi persi a Fez, era  incantevole,

 le sue mura sfumavano nella sabbia

del deserto. I vicoli della medina erano

 così stretti, a volte, maleodoranti, non c’era

 anima viva, eppure mi sentivo fissata da molti

 occhi di donne e uomini; occhi bramosi,

 curiosi della straniera: “Si è persa!”.

 Erano le voci del silenzio

anche di quelle che provenivano

dalle porte acidule e scure

 di sospiri, anche di quelle che accompagnavano

a fiotti i ricchi emiri, le tante giovani mogli,

non parlavano mai,  avevano occhi pungenti

 e le mani e le dita colorate da preziosi

 tatuaggi, sembravano carte geografiche,

 fatte per territori inesplorati. Quando

i vicoli la portavano su una torre più alta

 poteva vedere i cammelli al tramonto

 (inimmaginabili per bellezza e mistero

 i tramonti rossi-arancio del deserto), i cammelli

erano anch’essi statue di sabbia si muovevano

 appena, impercepibile il loro dondolarsi,

solo le code rompevano il vento.

La rosa dei venti soffiava dai mille

vicoli che aprivano e chiudevano attese.

 

II canto

Qui nessuno si insinuerà al tuo seguito!

I tuoi passi stessi hanno cancellato il sentiero

Dietro di te, e sopra il tuo sentiero sta scritto: Impossibile!

(F. Nietzche)

 

L’unico suono era il suo passo leggero: un fiato

 caldo che cresceva nel polline dell’ ululato.

Impressionante è il silenzio, nessuna parola

 era più chiara. Né il segno di una lampada,

 solo  ombre striscianti di un fruscio senza passi,

onde sottili che confondevano la notte,

 nel rumore senza foglie, c’era un vento

tagliente che parlava ad alta voce, prepotente

 sfidava il mistero delle ombre. La gioia,

mansueta della mezzanotte; la profezia

delle mura bellissime che circondano

 la medina e le porte alte che  non avevano

 permesso l’entrata ai  molti  dubbi.

Non tremeranno  al freddo della notte

le gocce di cuore che si innalzavano alle stelle,

avvolte nel mantello della sua anima.

Le piazze piccole si aprivano e si chiudevano,

 quasi a stringerla tra le braccia. Il sole

era da molto tramontato e la visitatrice era estranea,

diversa, bella, aveva un velo con garbate

sfumature di verde, ricamato di perle e zaffiri,

l’avvolgeva tutta; sporgeva solo

 il suo piede nudo e delicato. Durante

 il giorno, quegli occhi nascosti sotto

 tende informi glieli guardavano vogliosi.

Iniziò ad avere paura, sembrava

 che gli spazi tra le mura della città,

fossero penetrabili e facili da esplorare,

 tutt’altro, la città era un labirinto

 di viuzze sempre uguali che si arroventavano

su se stesse. I suoi vestiti leggeri, quasi

trasparenti, erano attraversati dai raggi

 di luce che da secoli si fissavano

sulle mura antiche, che avevano

respirato passioni e guerre. Si trovò finalmente

 davanti all’Università di Fez, forse

 la più antica del mondo arabo, tirò

dritto e, finalmente, a un giovane

che le veniva incontro gli chiese

 in francese come arrivare al Rida

 de La Cheminé Bleue Fas, in prossimità

 della Porta di Bab, luogo dove

si trovava il suo albergo. La medina

fortificata, ormai avvolta da ombre

 dense, non lasciava leggersi in nessuna

sua parte, il grigio giallo delle costruzioni

 era diventato nero, brillavano ogni

 tanto delle piastrelle verdi e blu. Alzò

alfine gli occhi verso il cielo

e le stelle le apparvero così vicine

e lucenti, come mai le aveva viste,

era per lei un capogiro, un sogno di levità

di non appartenenza, se non a quel cielo

 d’anfiteatro, verso i monti dell’Ahaggar,

 albeggiò nell’arcolaio dell’ ampio mantello

del Tahat, mentre le pietre la invitavano

 a percorrere i sentieri sconosciuti.

A rimanere con lui per sempre.

L’ anima ha strane meteore che veloci

 attraversano i cieli, brulicano nelle pieghe

 più scure dei molti soli della sua vita,

altri pensieri, lontano i ricordi….  (Versi tratti dall’operaLe antiche rotte dell’ Ahaggar ” di Carmen Moscariello, opera in pubblicazione).

Iniziare dalla voce plurale e intima, densa e raccolta della poesia di Carmen Moscariello significa rendersi conto della grandezza di questa antologia che raccoglie tra le sue pagine autori di grande valenza quali Terrone, Ianuale, Brogi… Non sto qui a riportare le molte poesie dei poeti prescelti, ma sono sufficienti i nomi e alcuni versi esplicativi a dare un senso a questo importante volume.  

Se è vero che “la poesia è qualcosa di oscuro che fa luminosa la vita (Pasolini)”, che è “un viaggio nell’ignoto (Majakovskij)” e che “non è poesia se non racchiude un segreto (Ungaretti)”, in questa  crestomazia si dà la riprova di tale assunto. Albe di mare, il titolo, e titolo più azzeccato non si poteva trovare. Il mare, la lontananza, la vita, la solitudine, l’irrequieteza, il desiderio del viaggio, della fuga, del nostos, dell’odeporico senso dello spazio. Il mare i suoi tramonti, i suoi orizzonti, le sue albe, le profondità; che cosa di più poetico si poteva scegliere per un titolo. C’è l’uomo, la vita, il suo esistere, il misterioso senso dell’esser-ci, il tempo che fugge, il ricordo dei giorni che hanno lasciato tracce del nostro approdo a terra, dei nostri affetti: Eri la mia sera/madre/nel concerto dell’anima,/celeste beltà/nello scrigno dello spirito…/ Eri la mia ragione/La grazia dei colori/nei giorni felici;/profumata orchidea/ nell’essenza/di fragili incanti/che ancor custodisco/nel cuore/ e nella solennità/ della vita/ tra sentimenti e ricordi…/Eri quella luna/che abbracciavo nel sogno,/quando sui miei passi/diventavi stella…/Ma… ora che non sei più/solo lampi/nella notte fonda!” (Ianuale: Madre), delle nostre malinconie, dell’amore: “…La paura mi pervade./Perché dannato amore,/ancora mi lasci/nel verde prato a guardare/ gli alberi fioriti/senza farmi inebriare/dal tuo profumo?/Forse sei un cuore fantasma/con le ali dipinte di Paradiso.” (Terrone: Solo è l’amore). Ma il mare prevede un faro, una luce che tenda a rompere le tenebre che ci sovrastano. Sta qui quel simbolismo iconico che con le sue immagini reifica l’aspirazione al cammino. Tutti navighiamo in uno spazio illimitato e impenetrabile in attesa di  una luce che segni il passo della nostra indagine terrena. Ma il faro può solo illuminare una parte minima, il resto è tenebra, buio più nero; sì, ci sono le stelle a farci da guida in questa difficile  navigazione, ma la bruma e le nubi le possono spegnere per complicarci il cammino. Per lasciare il nostro esistere in braccio ad un destino foriero di dubbi.   Una antologia che copre ogni spazio della vicenda umana: “Tutti inebriati dall'amore il 14 febbraio./Quanto desiderio d'amore per coloro/ che amano l'amore./ È una festa gentile un rituale infinito,/ che rinnova la vita,/ la volontà della vita che ha scadenza spontanea./ Un bacio di cioccolato una bottiglia stappata è una scia di letizia per tutta la vita/ la gioia infinita per quel "si"/ consacrato che rinnova il destino dell'uomo/ della donna creature di tanto creato” (Lilly Brogi: Dies irae), memorie, sogni, melanconia, illusione, delusione, saudade, gioia… Insomma un viaggio in mare aperto in cui non è difficile incontrare scogli e secche dove arenarci o sfasciare un’imbarcazione diretta verso l’isola della quietudine, della realizzazione dei nostri sogni. Si può anche continuare il viaggio in acque ostili dopo l’impatto; farlo su un asse scampato, sprovvisto di bussola e di ausilii per la navigazione, ma chi dice che la fantasia con tutto il suo potere non possa aiutarci a raggiungere il porto dell’isola, il tanto ambito ancoraggio. Tutto è compreso in questo magma esistenziale, in questa confessione ontologica ed epigrammatica del vivere. E il poeta, nella poesia dice tutto di sé, del suo stato emotivo,  dei suoi segmenti esistenziali, delle sue ambizioni sociali, e dei mondi diversi verso cui tende. Dato che l’uomo è dotato di multiforme ingegno, di polisemica inventiva, di proteiformi slanci emotivi. Sta qui, in questa misteriosa quanto meno paradossale invenzione umana, la vertigine di sensi e di emozioni, il ruolo del poeta-uomo. Ed è proprio del suo essere creare situazioni che rimpiazzino le carenze e le sottrazioni della vita. Forse sta proprio  nell’amore, nel rifugiarsi in questo tanto esplosivo sentimento,   il salvataggio di un’esistenza destinata al dubbio, agli interrogativi senza risposte. E Carmen Moscariello, curatrice dell’opera, scrittrice versatile e eclettica, con la sua sensibilità scritturale, e la sua esperienza in campo (molte le pubblicazioni dell’artista a livello poetico, narrativo, esegetico…), è riuscita ad assembrare  poeti di diversa valenza contenutistico-formale  in un ensemble compatto e storico, come testimonianza di una tappa culturale della  letteratura contemporanea. Tutti gli autori compresi in questa antologia, sono validi da un punto di vista formale e di ricerca: ora tradizionali per allunghi di metaforici sguardi o di coinvolgimenti sinestetici, ora moderni, innovatori per positura prosastica, e correlativo oggettivo di stampo eliotiano. Abbiamo qui una cospicua varietà di scrittori, un panorama vasto e articolato sulle molteplici tendenze stilistiche, sui diversi contenuti ispirativi da soddisfare i più esigenti palati in materia. Per gli autori che compongono la crestomazia sono riportate alcune esemplari poesie che concretizzano la collocazione letteraria; che ne denotino il quadro intellettivo-emotivo, gli  stratagemmi stilistici, le tendenze letterarie; insomma tutto ciò che occorre per una classificazione poetica.

Un’antologia valida, curata con gusto estetico, con euritmico senso del verseggiare, con valida autonomia critica che si pone sul mercato editoriale come opera polivalente per studi e ricerche. Anche per studi monografici di valenza universitaria.                           

 Nazario Pardini



[1] Antico proverbio tuareg.

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