martedì 16 marzo 2021

MARCO DEI FERRARI: "I VALORI DI UN PADRE..." D I NAZARIO PARDINI

I "VALORI" DI UN PADRE... ASSIOMI DI UN FIGLIO

("Babbo" di Nazario Pardini)


È una lirica nostalgica, ravvivata da memorie e timori che il Poeta distilla, verso dopo verso, a immergersi in un'atmosfera non solo virtuale e immaginifica, ma altresì concretamente vissuta.

Il padre (il "babbo") si trasforma in un cumulo di "visioni" marmoree che racchiudono corpo, volto, spirito, spazi e tempi, gesti, odori, episodi (il "morellino" fuggiasco...), giochi (...ci gettavi fino al cielo...).

"Visioni" ambivalenti di una presenza incerta per l'incontrovertibilità del "tempo" che alletta, consolida, distrugge senza offrire sicurezze nel "prima" e "dopo" esistenziale.

Come reagire?

Il Poeta si appella alla speranza per esorcizzare anche la morte che "destìna" la vita del padre, ne scandisce i momenti (in mezzo ai campi... tra le vigne... nell'età della stanchezza...) riflettendosi nei ricordi del figlio, ora sempre più vacui e oscuri dove si insinua la paura dell'azzeramento totale.

Il Poeta si aggrappa ormai, progressivamente, alla visita cimiteriale su una tomba priva, denudata, ridotta ad un aggrumo di macerie dove l'immagine di un sogno perde la sua qualità più completa e ontologicamente si ricerca nello spirito, nel soffio vitale, nell'avvìo della luce contro la disperazione del nulla eterno.

Si diceva della liricità nostalgica di Pardini: questi versi tormentati e tormentosi esprimono infatti il dolore di gioie perdute e, di una "guida" assoluta, nel lavoro paterno, nella tranquilla serenità di uno scenario campestre sincero, tetragono, vigile, previdente. Sintomatico è il "frascare" nella vigna..., sintomatica la fuga del cavallo che il babbo rincorre senza tregua sfidando ogni rigore stagionale... spiragli di "apparenze" immaginifiche che elevano la figura e il ruolo paterno sino al cielo...

Ma il terrore dell'oblio persiste costantemente in questo cristallo poetico di Nazario e ne connota schema costruttivo e scenari interiorizzati che tenderebbero a liberarsi dalla morsa marmorea di un sigillo senza futuro con l'aiuto prezioso, come già detto, della speranza nel sogno di un tempo mai perduto.

Peraltro la speranza non è sufficiente all' insinuo psicologico di Pardini; la perdita del padre è una tragedia di tale dimensionalità da minacciare l'utilità del "valore" che la figura paterna stessa rappresenta per il figlio, la famiglia, il territorio, la "Natura" tutta gravitante a contorno.

L'esistenza stessa rischia l'annullamento nel dubbio tra "reale" e "virtuale", nella nebbiosità del pensiero che il "cimitero" non conforta come dovrebbe ed anzi confonde facilmente con il passare degli anni fino all' impossibilità di continuare il percorso (non abbiamo più tempo... tutto è finito... si avvicina la fine...).

L'amarezza sembra prevalere in un momento lirico di triste riflessione sui "valori" affranti di una "presenza" incommensurabile che il Poeta non intende peraltro abbandonare ricollegandosi generazionalmente ad un eccezionale richiamo oltre ogni limite (... le memorie di te... con me...).

E il paradosso di una "risalita" imprevista prende concretezza: il "non scritto" tra i versi è percepibile sempre più nell'ascesa lirica dei "valori" che contribuiscono alla "presenza" dominate del genitore.

Campi, terra e vigne, camino (di una casa vicina) agevolano la prova dell'inversione psicologico-lirica del Poeta: la memoria diventa attiva per unire e non dissipare; il lavoro perpetua la volontà di costruire e non distruggere; il "ruolo" paterno si riconferma al di là dei brandelli di un marmo "sfocato"; la speranza non è più utopistica ma realizzabile nello "Spirito" della gioia prescindendo dalla tirannia del tempo e del destino; la lirica di Pardini perde la mestizia diffusa per ribaltare dettagli, scenari, stati d'animo, volontà celesti e terrene.

L'Essere Superiore diventa onnipresente a sublimare ogni intensità emozionale tradotta in "verso": rinasce un Poeta elevatosi "ottimista" nella "conversione interiore" di un'intera discendenza.

Sui "versi" pardiniani è inutile ogni ulteriore analisi: si commentano da soli, in quella "presenza" filiale che onora assiomaticamente altre "presenze" originate dalla Terra al Cielo.

 Marco dei Ferrari

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