Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
IL MARE DELL’ESISTENZA NELL’OPERA DI
NAZARIO PARDINI Di Maria Rizzi
Da Folium miscellanea di Scienze Umane a
cura dell’Accademia in Europa di Studi Superiori
L’ultima Opera del Poeta,
saggista, critico Nazario Pardini “Dagli scaffali della biblioteca”, edita da
Guido Miano – Milano, vede un Poeta lanciato sul mare dell’esistenza e della
storia a vele spiegate. Egli salpa dal molo dei ricordi, infinitamente caro al
suo cuore, e visita le isole della memoria, i luoghi e le persone che rappresentano
il pozzo dal quale attingiamo linfa vitale fino alla fine dei giorni. Il
passato, benché talvolta, si tenda a negarlo, incarna la meridiana dei nostri
desideri, e non può mai dirsi morto, forse non è mai neanche passato. Nella
lirica “Miei cari” esordisce con toni accorati: “Cari miei cari, ho scritto
tutto e a tutti, vi ho portato con me in riva al mare, là dove spesso
pescavamo i sogni, sulle prode loquaci delle nostre fatiche, sui colli, nei
posti che da vivi percorremmo insaziabili”. E asserisce il vero. I suoi amori
li ha cantati ogni giorno, talvolta la loro assenza l’ha indotto a sentirsi
vuoto, come campana senza vento, ma la mente e l’anima sono rimaste fanciulle
anche grazie a quella malinconica nostalgia. Il suo cuore ha continuato a correre,
come un tempo facevano i suoi piedi, sull’erba fragrante, sulla rena calda, tra
i campi di grano e le canne fruscianti, ed è riuscito a portare in sé la
continuità della vita, a non perdere ‘il talento di invecchiare senza diventare
adulto’- “La canzone dei vecchi amanti” di Jacques Brel -. Il veliero continua
il suo viaggio e io scorgo il Poeta a prua, teso a salutare gli affetti per
inoltrarsi in un altro mare, eterno miracolo degli uomini che hanno reso grande
la terra, specchio di un mondo antico, eppure ogni giorno vivo, tempio della
cultura che non conosce lacrime d’addio. Il Poeta getta l’ancora in un’Isola,
forse Lèucade, ritratto fedele del sentiero in cui naviga da sempre e, in
un’atmosfera che evoca i poemi danteschi, o come asserisce il prefatore del
testo Marco Zelioli, le rimembranze leopardiane e foscoliane, si riunisce con
molti dei pilastri dell’arte e della produzione letteraria. In piena campagna
l’Autore ha la prima apparizione, il pittore russo Chagall, ‘che ontologico
dipinge con incanto/il gruppo delle femmine’,ovvero delle sue donne tese ad
ardere e bruciare, e si ritrova poi, seduto accanto a Catullo, Manzoni,
Leopardi, grazie all’incantesimo nel quale: “Il tempo si è fermato, si è
stancato, di misurare il mondo; si è accasciato.” Quale meraviglia saltare
fuori dalla dimensione cronologica dello scorrere dei secoli e, come in
un’opera del maestro Salvador Dalì, consentire a ognuno di portare in sé il
miracolo del proprio divenire e di vivere nel presente! Non poteva esistere
titolo più adatto per quest’ennesimo lavoro del Poeta di quello che nel libro è
riferito alla sezione centrale del testo, e rappresenta il fulcro del nuovo e
inesausto Pardini. Dagli scaffali della biblioteca si materializzano gli uomini
e le donne che hanno fatto la storia della letteratura. Nella sinfonia
assordante degli endecasillabi del Nostro sembra di ascoltare Manzoni che
recita il passo più rappresentativo dei Promessi Sposi, ‘L’addio ai monti’,
Giacomo Leopardi che celebra ‘con voce roca e un po’ malata’ la sua Silvia e
Catullo che si scioglie in amore per la sua Lesbia. In qualità di lettrice di
un simile Carme mi sono sentita 20 trascinare nella ‘fiorita di canti e di
ricordi’ e ho vissuto la sensazione di essere senza peso, priva di ogni
pensiero, rigenerata. Verso dopo verso il Poeta incontra nel proprio studio
Charles Baudelaire, alle prese con ‘Nebbie e piogge’, Platone, Dante e i suoi
gironi infernali… Uno dopo l’altro, vengono destati da Nazario Pardini, che
sfogliando i libri attua un processo di animismo, talvolta indispettendoli. Si
ritrova a discorrere con il vate D’annunzio, che ‘esce grintoso’ dalle pagine
de ‘Il piacere’, con Umberto Saba, ansioso di unire alle altre la sua voce; con
Cesare Pavese esperto nel ‘Mestiere di vivere’; con Cardarelli, Caproni, Dino
Campana, ‘il matto di Marradi’, marchiato dai preconcetti della società, alle
prese ancora e sempre con il suo travagliato amore per la sensibilissima
poetessa Sibilla Aleramo. Agli altri si uniscono i poeti romaneschi: Salustri
(Trilussa) e Nazario Pardini non disdegna di rileggere le fiabe per coglierne
gli aspetti celati. Prova a rivedere ‘Cappuccetto Rosso dalla parte del lupo’,
e non ho potuto fare a meno di rammentare un libro nel quale si narrava la
storia di Tosca attraverso lo sguardo del barone Scarpìa. Un canto polifonico,
che seduce e rende l’esatta misura del Poeta, che cavalca la metrica con
maestria, conoscenza e arguzia, rendendola sovrana della modernità. Prima di
salpare con il suo veliero il Cantore abbandona gli scaffali e si concede
l’abbandono al proprio personale sogno. E’ il Suo turno. Il Poeta, parla in
terza persona di se stesso, crea un ideale distacco per reggere l’urto
dell’amore, di quell’amore nel quale sa svuotarsi per riempire il mondo. La
navigazione nell’azzurro di questo sentimento inizia con una lirica che ha
fatto tremare le anime di troppi. “ …….. …. …… Ti prego, avvisami quando passi
da queste parti, io sono qui pronto a pescarti. E magari anche a tuffarmi nel
fiume per affogare con la tua bocca nel cuore”. Da “Con la rete da pesca” E
prosegue con Delia, la Delia che potrebbe essere Beatrice, Silvia, Sibilla,
Saffo, l’archetipo nel quale ogni donna vorrebbe incarnarsi per sapere che un
autentico, vibrante, appassionato Poeta scrive di lei: “Ed io ti amo, / ti amo
di un amore che sa correre / più dei tuoi passi allegri sulla spiaggia”- Da
“Non è più il tempo” La saudade e l’afflato divino si mescolano nelle Dieci
poesie d’amore della terza sezione, che chiudono l’avventura del nostro Artista
e 21 consentono di approdare sulla riva del ‘sempre’ ancora storditi,
prigionieri di una bolla di luce, custodi di un sogno da difendere gelosamente.
E convinti che sia raro, dopo aver terminato la lettura di un testo, poter
asserire, con linguaggio caro al Nostro, ‘che il naufragar ci è stato dolce in
questo mare”…
Nazario mio, colgo l'occasione della tua pubblicazione per ringraziare la rivista Il FOLIVM e la carissima Eugenia Serafini. Scrivere di te, lo sai bene, è un'onore altissimo oltre che una gioia smisurata. Ti stringo al cuore ed estendo la stretta a Eugenia.
RispondiEliminaCarissima Maria,
RispondiEliminala tua lettura fatta coi fiocchi mi ha veramente emozionato. C'è il sale di ogni condimento, l'amore per la letteratura, c'è la sapienza della scrittrice ed il cuore dell'amica. Cosa posso dire, se non che grazieeeeee! Non mi vengono altre parole, e la bocca è chiusa in preda al silenzio che mi tiene schiavo dei tuoi immensi tocchi esegetici.
nazario
Cosa dici mai! Mi commuovi... nel senso effettivo del termine. Io ti considero il Maestro e non merito tanto. Sei un dono di Dio!
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