Francesco De Caria legge
“Cenci di
affanni “ di Lino D’Amico
Abbiamo più volte riscontrato, nell’ultima
produzione di Lino D’Amico, ricorrente la presenza del paesaggio, reale e
mentale insieme, o, meglio, l’uno metafora dell’altro, del bosco oscuro e labirintico,
nel quale, al momento della riflessione sul senso dell’esistere, al momento di
iniziare a tirar le somme e di individuare la via di uscita verso la luce, ci
si perde sempre di più.
Profumi e suoni rimandano all’esistenza vissuta,
che evocano antichi momenti d’intensa vitalità;
tuttavia hanno perduto calore e intensità, ridotti a voci misteriose,
che fanno trasalire, ma sono pur sempre pure voci che rimandano a immagini
della memoria, in una dimensione che ha perduto consistenza fisica. Eppure hanno
una grande forza d’urto nella dimensione memoriale psicologica: di fragorosi silenzi si parla infatti nel componimento in un potente
ossimoro. A ben considerare, tutto ciò
cui si allude nei versi di Cenci d’affanni non ha – o non ha più-
spessore fisico : …. mormorio…
notti….ansie … visioni… miraggio .. parole mute (altro ossimoro basato su
una profonda contraddizione dal punto di vista logico)… ombre, realtà apparente della stessa inconsistenza del sogno (tra le braccia di Morfeo). Volendo ricostruire un itinerario spirituale
– o psicologico – dell’Autore, nell’ultima produzione poetica possiamo
osservare un progressivo procedimento di scorporo,
nel significato letterale del termine di perdita di corporeità, di
fisicità; le cose si disperdono nell’oblio,
il vissuto, le emozioni represse nel silenzio e quindi mai interamente
espresse, son divenuti eterno presente nella dimensione memoriale, senza
connotazione cronologica, visione come un lampo, un evanido arcobaleno, tanto
bello a contemplarlo quanto inconsistente perché fatto di impalpabile
luce.
Francesco De Caria Aprile 2021
Cenci
di affanni
Nel mormorio di
notti insonni,
oniriche immagini distillano ansie,
pantomime di sfocate visioni,
impalpabili ceneri del tempo
disperse nell’illusione di un miraggio .
Attese di parole mute
rammendano cenci di affanni,
angoli ciechi di fragorosi silenzi,
crepuscoli che svaniscono incolori
al di là di attimi pervasi di assenze.
Ombre tenaci frantumano le ore,
voci, forse inconsce della mente,
frullano,
vacue, ai confini della nostalgia
che distorce ogni realtà apparente,
ostaggio tra le braccia di Morfeo.
Sono forse voci perse nell’oblio,
luoghi ignoti, senza tempo,
bagliore di lampi, arcobaleni,
silenzi di emozioni represse,
verità, smarrite tra quelle ombre?
We shall not cease from
exploration
and the end of all our
exploring
will be to arrive where we
started
and know the place for the
first time
throught the unknoun.
Thomas Stearns Eliot
“Noi non cesseremo l’esplorazione
e la fine di tutto il nostro esplorare
sarà arrivare là donde partimmo
e conoscere il luogo per la prima volta
attraverso l’ignoto.”
Thomas Stearns Eliot
Ringrazio il Prof De Caria per l'attenzione concessa ai miei versi e saluto il mio mentore Nazario per avermi ancora una volta concesso approdo al nostro Scoglio.
RispondiEliminaLino D'Amico
Il professor De Caria asserisce il vero definendo sempre più incorporee le liriche dell'amico Lino. In effetti i versi postati hanno l'impalpabilità dell'ineffabile. Questa tendenza era presente nella sua produzione precedente allo stato latente, ora è divenuta un'evidente esigenza dell'anima. La cifra stilistica è sorprendente. Scorporandosi il lirismo acquisisce nuovo slancio creativo e più musicalità. Complimenti vivissimi al critico, che ancora una volta mostra le sue superbe capacità interpretative e al Poeta, che stimo sempre di più. Abbraccio Lino e saluto affettuosamente il Professor De Caria.
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