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martedì 13 aprile 2021

PAOLO BASSANI: "POESIE"

Una sinfonia, una pluralità di sentimenti, di occasioni la silloge di Paolo Bassani. Tutto è implementato da un animo che ama la poesia, il verso pronto a reificare mondi che hanno giocato un ruolo determinante nella vita del poeta. La sua  è una poesia che si ascolta e che si vede; pathos e logos si amalgamano a dare come risultato   emozioni di gioia e di amore; di vita e di memorie. Dai Casoni:Dalla pineta ombrosa,/

teneri di verde/i prati/salgono ai Casoni,…”; ai Castagni: “A voi ritorno, amici miei castagni,/in questo afoso giorno dell'estate./La nostalgia d'un tempo mi sospinge/alla magica terra dell'infanzia…”; DAL VINO DELLE CINQUE TERRE: “C’è tutto il sole/di Liguria/in questo vino,/la trasparenza/dell’aria sconfinata/e l’asciutta forza/della pietra….”; da ALLA MAMMA: “Dammi/il tuo sorriso,/mamma,/splendido raggio/d'un giorno sereno…”; fino all’ultimo  canto di JOBHEL, una preghiera di luce e di speranza che raggiunge livelli alti di lirismo in cui in cui il poeta ci dona il meglio di se stesso: “Il suono di jobhel/ancora annuncia/l'avvento del tuo tempo,/ Signore./ Riposi la terra/ e i suoi frutti doni/ad ogni uomo,/adesso che Tu proclami al mondo/ancora la tua liberazione/nell'anno del riscatto./Torna tra noi, Signore!/Chinati sulle nostre miserie/con la pietà/del buon Samaritano:/lava/cura/risana le ferite,/da' luce ai nostri occhi/e speranza al cuore/ nell'indulgenza del perdono./Signore, indica la via/a questo disorientato/pellegrino del Duemila/che s'arresta al bivio/e ancora non sa decidersi:/guida il suo passo/sulla via di Emmaus/e accompagna il suo cammino…”

Una silloge plurale, polisemica, dove il poeta parla dell’uomo, di tutte le sue debolezze, di ogni suo tentativo di perseguire il Cielo, partendo dalle piccole cose, dalle aporie del quotidiano che con la sua poesia si fanno esplosioni  di cuore e di armonie

 Nazario Pardini

 

 

 

                        Due parole al lettore

Perché questa raccolta di poesie? Come è nata e, soprattutto, il perché dell’inconsueto titolo “Dalla a alla j”. Questa nuova raccolta intende fare una panoramica della mia poesia. Le composizioni presentate sono tratte dal mio archivio informatico in ordine alfabetico (ecco spiegato il titolo del libro) e spaziano in un arco di tempo molto ampio: si può dire dall’inizio del mio percorso poetico (vedi “Inquietudine”) alla più recente (“Fortunato...”). Diverse sono già state pubblicate, altre sono ancora inedite. Tra quelle pubblicate alcune sono state premiate in concorsi nazionali.

   Come presentazione, ho voluto riprendere alcuni cenni critici dedicati alla mia poesia da un caro amico, il prof. Giuseppe Sciarrone da Messina, una delle voci poetiche più limpide del recente passato. Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Sciarrone (nel 1978), quando fu premiato in un concorso di poesia di cui io ero membro di giuria. Da allora, tra noi si è stabilita e consolidata negli anni una profonda amicizia, testimoniata dal costante rapporto epistolare intercorso (custodisco religiosamente tutte le sue lettere dal 1978 al 2000, anno della sua scomparsa). I suoi scritti sono vere e proprie pagine di altissimo valore letterario, da cui ho appreso molto. Sì, Sciarrone è divenuto virtualmente il mio maestro e la sua amicizia è stata per me il più bel premio.

 

Prefazione di Giuseppe Sciarrone

 

   Sono gocce di luce che sgorgano da un’anima innamorata e malinconica, anelante alla bontà, alla pietà, alla calda sincera comunicazione umana, ma, al tempo stesso, pudica e dignitosa nella forza della concentrazione emotiva anche quando s’inoltra in un terreno dove è facile scivolare nel languido sentimentalismo.

   Sono gocce di luce che s’intridono dell’azzurro del cielo e del mare, del verde respiro delle selve, del romito richiamo di campane lontane, del profumo antico di un passato che sale dalla memoria come l’eco di un singhiozzo a stento trattenuto.

   Sono gocce di luce che scendono lentamente nel cuore del lettore, lo coinvolgono, lo conquidono, lo dispongono, in modo affabilmente suasivo, alla bontà e all’amore.

Mai come in questi versi si avverte l’amara presa di coscienza della rapina del tempo e dell’inesorabile caducità della vita. Il suo battito veloce è trepidante scandito dal cuore. Però è difficile sottrarsi all’impressione della sua, per così dire, circolarità. Sentiamo un tempo che si sprofonda nel passato fino ad annullarsi per riemergere poi nel presente con un invito alla speranza.

   Un tempo che ha una sua gravitazione concentrica perché il brivido conturbante del suo allontanarsi non si perde lungo la tangente nelle “sconfinate pianure dell’anima”, ma ritorna nel nostro esistere ed operare, specie nelle poesie che affrontano temi di scottante attualità.

   Il linguaggio di queste liriche è assolutamente schivo di lenocini letterari, di funambolismo verbali e di vortici metaforici. Ammirevole è la semplicità sempre controllata e calibrata come quella di pochi rari poeti capaci di trasferire con immediatezza nei loro versi il canto dell’anima.

La parola lenta, cadenzata, assorta, ed intensamente evocativa scende diritta al cuore e suscita mille sensazioni dimenticate come la musica del mare quando è calmo nelle ore del tramonto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AI CASONI

 

Dalla pineta ombrosa,

teneri di verde

i prati

salgono ai Casoni,

verso crinali aperti

ai monti di Liguria

e di Toscana.

Dal Coppigliolo

al Civolaro,

nascono fragili nubi

e si disfanno

nell'azzurro terso;

scendono freschi silenzi

nell'estate chiara,

rotti solo, di tanto in tanto,

dal suono di campani

di greggi al pascolo

e di mucche

e di cavalli bradi

stagliati nel cielo.

Una bianca croce,

un piccolo santuario

di pietra,

una baita degli Alpini,

la fattoria

al limitar dei prati

segnano l'antica civiltà

della natura.

Ormai lontani

sono i rumori,

le vie convulse,

le ciminiere cupe:

adesso, in questa pace,

è facile sognare.

Così, ampio si fa il respiro,

e nel profumo

di montagna

serena l'anima rinasce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AI CASTAGNI

 

A voi ritorno, amici miei castagni,

in questo afoso giorno dell'estate.

La nostalgia d'un tempo mi sospinge

alla magica terra dell'infanzia.

 

Allora voi placaste la mia fame.

S'aprivano le ricce come scrigni:

generose e lucenti le castagne

furono il nostro pane quotidiano.

 

Non ho più fame, ma solo sete adesso.

Con le foglie preparerò il bicchiere,

ché l'acqua pura dell'antica fonte

possa spegnermi in cuore quest'arsura.

 

Ho tanta sete d'alba e di rugiada.

Voi solo ormai serbate di quegli anni

liete stagioni e giorni spensierati,

dolcezza di profumi e di memorie.

 

Datemi ancora un poco di quel tempo!

E quando stanco poserò il mio passo,

non cercherò ombra cupa di cipressi

 ma il vostro fresco, tenero di verde.

                                                   

                 

 

 

 

 

                                              

 

 

 

 

 

 

 

AL COMPUTER

 

Io, uomo dell’altro secolo,

per te sentivo un’avversione innata:

quel tuo linguaggio strano

alimentava il pregiudizio.

Poi, un giorno, entrasti in casa.

A poco a poco (e con fatica)

ho cercato di capirti.

Ora non sei più estraneo:

mi sei diventato amico.

Docile segui i miei disegni,

dai accoglienza ai pensieri,

alla parola elegante forma,

e se talvolta m’accade

di cadere in qualche svista

discreto m’avverti e dai consiglio.

Di giorno in giorno

la tua memoria s’è arricchita

e adesso è un patrimonio vero

prezioso che tu devi custodire.

Ma anche tu, come l’uomo,

sei incerta fragile creatura

ignara del futuro e del destino.

Anche tu un giorno

potresti smarrire la memoria

e tornare al nulla.

Non ti suoni allora offesa la parola

se adesso si fa invito

a salvare i pensieri anche sulla carta.

 

 

 

AL FOCOLARE

Non mi spaventa

l’inverno

se acceso

è il focolare.

 

“Olivo benedetto

brucia verde e secco”

...e quando crepita

la fiamma

mi sento in compagnia.

 

Al suo tepore

il capo mio abbandono,

al suo profumo

s’adagiano i pensieri…

E non ricordo più.

     AL VINO DELLE CINQUE TERRE

C’è tutto il sole

di Liguria

in questo vino,

la trasparenza

dell’aria sconfinata

e l’asciutta forza

della pietra.

C’è la vita paziente

solitaria

dura:

fatica strenua

e amore inesausto

di millenni.

C’è la nobiltà dei tralci

e della terra

nell’abbraccio

mitico

d’un rito;

c’è la gloria

in questo vino antico

celebrato

dal canto

dei poeti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA CASALINGA

 

Silenziosa

instancabile

custodisci

 

Saggia

governi

 

Sposa

madre

maestra

 

Donna sulle donne

erede d'antichi doni

tu sei la più gentile

delle divinità.

 

ALLA COMETA

 

Dimmi,

sei tu la cometa che a Natale

appendevo ai miei sogni di bambino?

Avevi una gran chioma allora

ma questa notte in cielo

tra mille e mille stelle

fatico a ritrovarti.

Lo so che vieni da lontano

e nel cammino di millenni

s'è forse perduto

un po' del tuo splendore.

Eppure tu conosci a memoria

galassie e nebulose

ove non giunge sguardo umano,

e inviolati segreti

ancora custodisci.

Vai e puntuale torni nei secoli

come il nascere e il morire

di stagioni.

Non c'è in te presagio infausto

comodo alibi per l'uomo

che addebita alle stelle

l'ombra del suo male.

Non sei tu forse un palpito di luce

nel perfetto disegno del creato?

E la luce non è da sempre

simbolo di vita?

Perché allora taluno ancor s'ostina

a farti profeta di sventura?

Io so che tu non porti male alcuno

oltre quello che l'uomo

cagiona di sua mano.

Tu sei soltanto un astro pellegrino

docile alle regole del cielo.

Semmai, nel ricordo sereno dell'attesa,

per me rimani

l'immutata cometa di stagnola

sul mio lontano presepe dell'infanzia.

 

                                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA FORMICA

 

Tu, sempre

prima della classe!

Esempio da imitare.

Prendi

tutto quel che trovi

   e porti via.

Tu, non canti

perché non sai cantare,

non doni

perché non sai donare.

Da un giudice di parte

hai fatto condannare

la cicala in canto

   come vagabonda.

In un mondo

dove tutti prendono

chi dona

è guardato con sospetto:

insano seguace dell’assurdo

o, peggio, subdolo avversario

che tende a sovvertire

le regole del gioco.

 

                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA MAGRA

 

Mio fiume,

bello tu sei ancora

di giovinezza a primavera:

specchi nell'acque chiare

boschi di castagni,

pini e pioppi sulle rive,

antichi paesi e castelli

sopra colline tenere d'olivi.

 

Mio fiume,

buono tu sei ancora:

disseti greggi e terre,

città e villaggi;

concedi ore serene.

Io pure, seduto sulle ghiare,

m'incanto alla tua voce

come nei remoti tempi

quando donne inginocchiate,

accomunate in canto,

battevano i panni sulla pietra.

 

Mio fiume,

socchiusi gli occhi

al tuo splendore,

strascico regale

che lento va

solenne al mare,

in te ritrovo il sogno

d'un mondo ancora salvo;

una sopita gioia

dischiusa nel respiro,

e nella luce del mattino

l'intatto amore

per questo mio paese.

  ALLA MAMMA

 

Dammi

il tuo sorriso,

mamma,

splendido raggio

d'un giorno sereno.

 

La tua voce

armoniosa

fammi sentire,

il canto più bello

di tutto il creato.

 

La tua mano

porgimi

e non avrò paura.

 

Io,

con tutto l'amore

ti dono

il mio piccolo cuore

di bimbo.

 

                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

ALLA MIA PATRIA

 

La mia patria è qui

in questa terra

aperta sulla valle

nel verde di pini

   d'olivi

      e di castagni;

qui dove a giugno

immense macchie di ginestre

s'accendono di sole

e lontani profumi

il vento leggero

   del meriggio

      esala;

qui dove ancora

il cuculo scandisce

e alterna il suo richiamo

a lunghe pause di silenzi.

La mia patria è qui

tra questa gente antica

ormai sempre più rada

semplice nei gesti

e nobile nel cuore

   gente indomita

      tenace

alla terra legata

   e alla parola:

umile gente

   dignitosa.

La mia patria è qui

dove libertà e legge

 non hanno bisogno di custodi

perché sono parte dell'uomo

   della terra;

qui dove le case

non hanno cancelli

reti o muri intorno

ma l'uscio sempre aperto;

dove il nascere

   il vivere

      il morire d'ognuno

è per tutti

   un grande evento.

 

                                                                

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA MIA TERRA

 

Amo questa mia terra aspra e ferrigna,

ove l'olivo il sasso dilavato

adombra, e di piano in piano la vigna

grada giù verso il mare ricamato

dalla brezza, che fremiti leggeri,

profumati di sale e d'erba secca,

innalza dolcemente nei sentieri,

tra muretti di sasso e terre cinte.

Amo i pini pascenti sui crinali

aperti allo scirocco e al maestrale,

i solitari e placidi casali

scoloriti dal sole e dal salmastro,

il fico curvo e la palma gigante

ad ombreggiar la tavola disposti,

l'agave e l'eucalipto biondeggiante

aggrappati alla terra sull'abisso.

Amo questo mio mare scintillante

nei tiepidi meriggi dell'inverno,

e nelle sere il cielo rutilante

ancora messaggero di speranza:

speranza che s'arresti il braccio all'empio

che già, con mascherati intendimenti,

tanto ferì la terra e fece scempio

di cieli puliti e di mari limpidi;

speranza ch'io, sì anch'io, possa trovare

in questa terra di sole, di pietre

e di silenzi, innanzi a questo mare,

e per sempre, rifugio ai miei pensieri.

 

                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA QUERCIA

 

Ancora mi susciti

profumo di banchi

e tenerezza di memorie.

Freschi scorrono i versi,

limpide acque

dell'antico rivo

ove eterno si specchia

il volto del Poeta.

Tu sei l'albero

che m'accendesti in cuore

la prima pietà:

pietà per la tua morte,

per la capinera

   orfana di nido;

pietà divenuta amore.

Sì, la poesia ti ha fatto amare.

E, tu,

   amare mi hai fatto la poesia.

 

              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                   

 

 

 

ALLA REGINA DEI GATTI

 

Forse non conoscevano

   il tuo nome,

eppure con miagolii festosi

   puntuali

ti chiamavano ogni giorno,

e quando apparivi

di corsa ti venivano incontro

   intorno

      come a una regina.

Per te

era quell'esprimersi d'affetti

un raggio tiepido di sole

che dissolve silenzi di brina

caduti nella notte

   sopra il cuore.

Nessun uomo mostrò mai

tanta gioia di vederti,

nessuno

   il dolore di non vederti più.

Niuno s'accorge

quando muore un fiore

   o una farfalla.

Chissà...forse soltanto il fiore

   rimpiange

la farfalla che più non viene

e, la farfalla,

il fiore che non ritrova più.

 

                                    

 

 

 

 

 

ALLA SORGENTE DELLA LUCE

             (A Rino Ferrari)

 

Siamo tornati oggi

in un giorno di festa

su questi colli ridenti

aperti sulla Magra.

Siamo tornati come allora

   per restare insieme.

Ancora il passo

s’addentrerà nel verde

e l’anima leggera s’innalzerà

in nome dell’amicizia vera

che vive oltre le stagioni.

Ancora la tua voce,

il tuo sorriso ci saranno accanto,

la dignità della tua vita

maestra di vera nobiltà.

“Tutto l’esistere è un cammino,

   l’uomo un marciatore

-così ci disse un giorno Dionisio,

il nostro amato frate cappuccino-

l’essenziale è giungere alla meta”.

E tu, con lui sei giunto

alla sorgente della luce.

 

                                 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLA VITA CHE NASCE

 

S'apre alla vita

tenero il germoglio,

respira l'azzurro;

s'inebria di luce

e di rugiada.

3 ottobre: giorno d'autunno?

No, oggi è primavera.

 

                          

 

 

 

 

 

 

 

ALL'OLIVO

 

Non cerco

alberi solenni

che non lasciano

filtrare il sole,

ma alla tua ombra lieve,

umile olivo,

lieto mi adagio

e finalmente quieto.

Seguo la tua vita

ricurva e saggia

vestita d'anni

e di licheni,

i tuoi rami:

braccia protese e mani

nell'offerta al cielo

di minute stelle

tenere d'argento.

Benedetto sei, mio olivo,

tu che perenne

all'autunno sopravvivi

e nell'inverno

concedi doni;

tu che proclami

il bene della pace

e, di olio purissimo,

mistico ravvivi

la fiamma di Francesco,

e ogni giorno segni

la fronte della vita

che nasce

   e che rinasce.

 

 

 

ALL'ONDA RADIO

 

Mistero

e fascino t'avvolge

onda invisibile

   silente.

Fulmineo impulso

   come luce

oltre vallate e fiumi

montagne e mari,

oltre nuvole e confini

   libera t'espandi.

Vinci deserti

e oppressioni di silenzi,

notte e giorno

agli antipodi

   congiungi.

Eco profonda del pensiero

in spazi eterei

incontro all'infinito

   t'abbandoni.

Colmata ogni distanza,

simile a un palpito di stella,

vivo

   fai sentire l'universo

e l'uomo

   parte della stessa storia.

 

                

 

 

 

 

 

 

 

AUGURI A NATALE

 

Buon Natale a tutti, ad ognuno:

alla città, ai paesi,

ai bambini, agli anziani,

a chi nella serenità raccolta

adagia il suo desiderio di pace

e a chi, anche oggi, è costretto al lavoro.

Buon Natale a chi è nell'ombra,

piegato dal dolore

e avvilito dalla solitudine:

non suoni come vuota parola,

sia, invece, l'augurio d'una speranza.

Buon Natale a te, che negli anni

hai perduto l'entusiasmo d'un tempo;

a te, che oltre l'albero e il vischio,

ricerchi il vero valore alla festa.

-Andiamo incontro alla solitudine;

aggiungiamo un piatto e una sedia;

lasciamo socchiuso l'uscio.

Nessuno sia solo a Natale!-

E tu, e noi, finalmente,

dalle note d'un canto di bimbi,

sentiremo nell'animo infusa

quella pace profonda d'un tempo;

nello splendido sguardo innocente,

troveremo riflessa la stella:

la luce dell'antico Natale.

Buon Natale a tutti, ad ognuno.

AUTODIDATTA

 

Questa sera

nel silenzio

il pensiero richiama

lontane veglie d'inverno

davanti alla lucerna:

un libro aperto

e il tuo desiderio adulto

d'imparare.

Ricordo

la tua lettura stentata

e la grafia incerta.

Quanto mi è cara

adesso

la tua voce lontana

e l'indurita mano,

ora che il vento ha disperso

la polvere del giorno

e frammenti di nuvole

ha dissolto

nel cielo consumato

della sera.

Per te,

non fu facile l'esistere,

né la libertà un dono

ma una conquista

pagata col sangue

e col sudore

giorno dopo giorno.

Per te, mio vecchio,

sento stringermi nel cuore

questa sera

pensieri d'amore e dolore;

per te che sei rimasto un simbolo:

la dignità

della mia antica gente contadina

che non ebbe maestri

ma che insegnò

   e ancora insegna

la più alta lezione della vita.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AUTUNNO

 

Illumini d'oro il bosco,

di fuoco la vigna,

di bianchi croci la collina.

 

Disperdi le voci nel vento

e già le prime brume innalzi

sulla serena luce.

 

Nella terra adagi

il seme della vita

e nel cuore riponi

la speranza del risveglio.

 

                             

 

 

BANDIERA BLU

 

Vorrei innalzarla

sul mio cuore

e a piedi nudi

camminare

in trasparenze d'acque

sulle ghiare

   come allora.

 

Vorrei sentire

il fresco fremito dell'onda,

pèndulo sommesso

di voci innocenti

e placidi pensieri,

per cogliere

frammenti di sole

   e di sereno.

 

Vorrei innalzarmi

col profumo del mare

sull'ale del vento

e intatta

la mia terra ritrovare

oltre l'orizzonte estremo.

 

                              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BOTTAGNA

 

Forse

   c'è ancora

      quel pesco...

forse continua a fiorire.

C'è ancora la strada

   che lega il villaggio

      i pioppi

         i platani

            i tigli

all'argine verde

   del Vara.

Immutati

   la chiesa

      il sagrato

          l'antica campana.

C'è ancora una festa

   di tempi lontani

      che lega la gente

         ai ricordi.

C'è ancora l'azzurro del cielo

   e del fiume,

la vigna sul poggio,

   la quieta campagna:

c'è ancora Bottagna. 

 

                                       

 

 

 

 

 

 

 

 

BRICIOLE

 

Seminava di briciole

il balcone

e il passero, puntuale,

tornava nel mattino

saltando qua e là

guardingo.

Poi col tempo

non ebbe più timore:

giungeva perfino al davanzale

sbirciando

all'interno della stanza.

Quel vecchio

non gli faceva più paura.

Così tra i due s'era creata

una segreta intesa,

uno scambiarsi di doni

   e d'attenzioni:

briciole di pane

in briciole di vita.

 

 

                                       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAMMINARE INSIEME

 

Varcata la soglia

del millennio

innanzi a te,

pellegrino del Duemila,

si apre

una nuova via.

Nessuno sa

il suo percorso

né dove giungerà.

Col tuo passo percorrila.

Non farla diventare

esasperata corsa

   e affanno

per distaccare gli altri.

Semmai -qualche volta-

aspetta chi è rimasto indietro.

Camminare insieme

per la stessa strada

verso la stessa meta:

questo l'augurio

e la certezza

d'una nuova età.

 

 

 

 

 

 

 

 

         

 

 

 

 CANADAIR

 

Dove corri

nube pellegrina?

Fermati.

Getta uno scroscio

sull'anima che brucia.

Risveglia

un fresco alito di vento

   e profumo di terra

su questa lunga estate

   di sole

      di polvere

               e di pinete in fiamme.

 

                                       

 

 

CARABINIERE

 

Simbolo

   e custode della legge.

Figlio della mia patria

   della mia gente

dalla città

   al paese più sperduto

alto ne porti onore

   e dignità.

Fedele nei secoli

di te anch'io mi fido.

 

         

 

 

 

 

CASSA INTEGRAZIONE

 

Pollice dritto

o pollice verso?

Anch’io questa sera

sono in attesa

davanti alla porta

d’un albergo

a cinque stelle.

Ancora un’attesa!

La mia vita

è fatta d’attese:

è la vita del povero.

E il povero

è sempre imputato

per la sua povertà.

Non importa ai giudici

se è innocente

   o colpevole

purché si rimetta

alla clemenza della Corte.

 

                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

CERCO IL TUO VOLTO

 

Cerco

il tuo volto sconosciuto

nel volto d'ogni uomo,

la tua voce

nel vento leggero

che semina sull'erba

i fiori dei ciliegi,

la tua mano sul mio capo

come carezza

   del sole

      a primavera.

 

Cerco

il tuo cuore

nel riflesso

   tremulo

      d'un borro,

i tuoi pensieri

oltre sussurri d'olivi

nell'azzurro.

 

Cerco

in questa terra un segno

che stagli nell'alba

il tuo profilo:

l'orma d'un passo

sulle riarse zolle

o l'intreccio

del salice sui tralci

d'una pergola cadente,

l'innesto d'un mandorlo fiorito

o un muro a secco

nel paziente mosaico

delle pietre.

 

Cerco

la tua anima:

la cerco nel fremito

lucente

   di rugiada

     sopra un fiore,

nell'incantato mondo

dei poeti.

 

                         

 

 

 

 

 

 

 

CERCO LA VITA

 

Qui

non ha fretta il tempo

né alcun senso

l'illusione d'essere.

Per tutti c'è un pigiama

-disadorna divisa del malato-

e gli esitanti pensieri

dell'attesa.

Incertezze e speranze

speranze e incertezze

richiamano

i lontani tempi della scuola

ora

che l'esisto d'altri esami

attendo.

Ancora promosso o respinto?

Ma allora

il respinto perdeva

soltanto un anno.

Cerca il cuore

-desolatamente solo-

di rompere

l'assedio dei pensieri.

Cerco una finestra

che lasci intravedere

un frammento di sereno,

una mano da stringere,

una parola amica.

Cerco la vita

e la forza

per lottare ancora.                                                         

CIMITERO DI PAESE

 

Pagine raccolte

di uno stesso libro,

foglie cadute

dallo stesso albero,

volti e nomi noti

di una medesima storia.

Mosaico:

incompleto,

ancora per poco.

 

        

 

 

 

 

 

 

 

            

CINQUE TERRE

 

Luminosa terra

   di Liguria

   aspra di rupi

   a picco sul mare

   e gentile di vigneti

   squadrati a scala

   pietra su pietra

   verso altezze serene;

solitaria

   selvaggia di lame

   e di garìghe fiorite

   esposte

   all'abbraccio dei venti;

ridente

   di borghi

   annidati a valle

   o innalzati al cielo

   tra rocce

   e marine trasparenti

   consumate dai millenni.

Cinque Terre

   nel tuo silenzio m'adagio

   per riscoprire

   il suono d'una voce

   nel canto antico

   d'un germoglio.

 

                        

 

 

 

 

 

 

CIVITAS SPEDIA

 

Quando il primo uomo,

lasciati i simulacri

-arcane stele di pietra-

e attraversato il fiume

   e le colline,

s'affacciò sul Golfo,

comprese d'essere giunto

alla terra attesa.

A poco a poco, in silenzio

nascesti, mia città.

Forse non vanti la gloria

di nobiltà passate,

d'eventi e di splendori

segnati dalla storia:

non puoi fregiarti

serenissima, superba,

dotta o eterna,

eppure per ogni figlio

   che ti lascia

tu rimani nostalgia d'un sogno

nell'ardente attesa del ritorno.

Tu sei, e resterai per sempre,

la terra sua promessa.

 

                                        

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COLOSSEUM

(Un volo in mongolfiera)

 

Dal mare

oggi

leggero il vento

la mia vela

a te sospinge

mitica terra

di pietre

   di sole

      e di silenzi.

E con il vento

l’anima s’eleva

oltre le vigne

verso irreali

   sconfinati approdi:

oltre paesi ridenti

   annidati

      tra le rocce e il mare

coste dirupate

   dimora di gabbiani

   e di sperduti fiori

oltre l’alta via dei monti

   aperta sui crinali.

Da serene altezze

a oriente

   lo sguardo si dischiude

s’allarga

   e dai monti giù dilaga

   tra il verde dei pini

      dei lecci

         degli olivi

tra palme

   pittospori

      eucalipti

incontro alla città

   a borghi antichi

      al mare ricamato

nell’incantato Golfo dei Poeti.

 

                           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COME IL LIBECCIO

 

Un orologio fermo

come il polso

che più non segna

i battiti del cuore;

una borsa

con il pane

e con il vino

portati da casa

come sempre;

un portafoglio vuoto:

povera custodia

per le foto

d'una donna

e d'un bambino,

d'uno sbiadito santino

con il Cristo Crocefisso.

Altro non resta

tra lamiere rose

di ruggine

e di sangue,

su questa nave

venuta da lontano

e sospinta

dal vento ignoto

del destino.

Altro non resta:

ora che il silenzio

è sceso sui moli

e deserta

s'è fatta la sera...

Ma nel mio cuore,

con l'urlo del libeccio

che di spuma

flagella la scogliera

e le palme

e i pini

   tormenta

      e piega,

s'abbatte ancora

   il disperato grido

      del tuo addio.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COME UNA STELLA

 

Mi sei apparsa in sogno questa notte.

Venivi innanzi sorridente

tra i fiori del giardino nella luce.

Piena di vita era la tua voce,

la tua figura vera.

Incredulo

   confuso

      ti guardavo.

Ma non sei stata una visione,

nostalgia di chi non si rassegna:

hai preso la mia mano,

l'hai stretta nella tua!

Poi

come una stella all'alba sei svanita.

Eppure

non sei passata come un sogno:

anche se adesso non ti vedo

io so che esisti ancora!

M'aiuta

il tuo immutato amore alla speranza.

Sì,

quando la sera avrà riposto il giorno

dietro le montagne,

tu, come un astro,

m'apparirai di nuovo

per sempre

   oltre le fragili

      nuvole del tempo.

 

                                                                                         

 

COMMIATO

 

Nella piazza

tornavano con l'eco

le parole

riflesse dalle pietre:

bisbigli sul sagrato

tra la gente

che non ha trovato posto

nella chiesa.

Sono rimasto fuori

anch'io:

tra foglie ingiallite

e il grigio

d'una sera d'autunno,

in silenzio

a guardare una città lontana

quasi svanita nel vuoto.

Immobile

   e triste

ho atteso il canto dei morti.

Ma, d'un tratto,

tu mi sei venuto incontro

sorridente,

ancora parlando

di questa terra di Liguria

e della gente tua

e dell'inesausto impegno

di vita

   e di speranza.

Così hai voluto

restare fedele

anche nell'ultimo saluto.

Confuso,

senza più parole,

ti ho risposto allora

con l'addio commosso

   d'un applauso.

 

                    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CON TE ALLA MADONNA IN GAGGIO

 

Ho ancora viva negli occhi

l'immagine del treno:

quel breve viaggio tanto atteso

nel sole lontano dell'infanzia.

Oltre il fiume al santuario antico

salivamo pellegrini

tra verde d'acacie e di castagni.

Io so perché più forte adesso,

o Madre, si fa la nostalgia,

il desiderio di tornare.

nel giorno limpido d'agosto.

Ho sete di quell'acqua fresca

che spegneva la mia arsura.

Prendimi per mano ancora,

cantami l'antica storia...

di quelle lacrime di neve.

Ancora nel profumo di fiori,

d'incenso e cera

la Madonna col Bambino

dà pace al cuore.

E quando si fa sera,

se il mio passo è stanco

tu, o Madre,

figlia della Madonna in Gaggio,

prendimi ancora in braccio,

in braccio come allora.

 

 

 

 

 

 

                                  

CUCCIOLI

 

Bambini e cuccioli

   s'inseguono

      in giardino.

Grida gioconde

e festosi abbai

   corrono nel vento

      e si perdono

         tra i pini.

I cuccioli o i bambini?

Non so

   chi si diverte

      di più.

 

 

 

            

DALLE GROTTE DI TOIRANO

 

La vita

e la pietra

a smisurato

confronto

nell'universo.

 

Un'impronta...

e il primo uomo,

stalagmite

nascente,

già sognava

le stelle.

 

            

DAVANTI A UNA XILOGRAFIA DI EMILIO MANTELLI

 

Sull'ingiallito foglio, impresso in nero,

il venditore di tacchini appare

avvolto entro quel suo mantello austero:

pensieroso...seduto ad aspettare...

 

Con quanta fedeltà cogliesti vivo

l'aspetto più sincero della gente,

dei poveri, del mondo tuo nativo:

quieto ma, spesso, pure sofferente.

 

Con cuore palpitante, caldo, umano,

ti legasti per sempre alla tua terra.

Con l'esperta, nervosa agile mano,

 

insuperato fosti ad intagliar.

Nell'arte, che al mortal perpetua il giorno,

l'anima tua sensibile traspar.

 

  

 

 

 

 

 

 

 

DAVANTI AL PRESEPE

 

Non dimora regale

d'oro e di seta

ha scelto il Signore,

ma un giaciglio di paglia;

non l'aquila

non il leone

non il drago

ha eletto

come suo emblema,

ma l'agnello;

non lo scettro

non il sigillo

non la spada

ha voluto

come annuncio della sua venuta,

ma un segno del cielo:

una stella.

E la sua luce

fu sopra la terra

perché ogni uomo

uscisse dalle tenebre.

Davanti

   al mio presepe

      di gesso

questa sera m'inchino,

come i pastori

innanzi alla grotta.

Ma io, che porto al Signore?

Le mie mani sono vuote...

e il mio cuore

ha soltanto parole:

le foglie della mia nullità.

Non l'aquila

non il leone

non il drago...

ma neppure le foglie

come emblema

insegua il mio cuore.

 

                               

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DESIDERIO

 

Tu, che nella città tumultuosa

hai costruito il tuo regno

e fors'anche la tua prigione,

quando il peso dell'aria t'opprime

e l'affanno si fa più gravoso,

improvviso il pensiero usciti

a desideri di quiete

e a lontane speranze

d'una terra rimasta incorrotta.

E già sogni liberi spazi

di verde e d'azzurro,

ove il sole non è malato

e l'acque sono pure:

ove la tua voce

non più soffocata

da rumori tirannici,

finalmente libera,

corre, s'allarga, s'espande,

sfumando leggero il sonito

in profumati silenzi.

 

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIETRO IL CANCELLO

 

Dietro il cancello

volti gravi

di uomini in tuta.

Occhi tristi

che sognano un paese

ove il lavoro

non sia un regalo

ma un diritto.

 

Voci amare

di chi nulla può

contro disegni

e logiche fredde.

 

Mani consumate

incapaci di implorare

elemosine.

Anime ferite...

rosse di rabbia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

DIETRO L'ALBERO DI PIETRA

 

Fiorito è il pittosporo

vicino all'albero di pietra,

e nell'aria finalmente chiara

di questa tarda primavera

l'intenso suo profumo espande.

Ma tu non lo potrai sentire.

Il tuo nome, lì appeso

come in croce

sul palo freddo della morte,

è venuto a portare

l'ultimo saluto:

l'addio alla tua gente.

 

Senza clamori,

in punta di piedi,

col silenzio dignitoso

del tuo stile,

docile sei passato

sulla via rupestre

che porta all'orizzonte.

Ormai più non ti distinguo

ove s'annulla ogni distacco

fra terra ed infinito;

più non odo la voce tua

nel sordo rumore di conchiglia.

 

Ora si apre il vuoto

innanzi all'albero di pietra;

eterno d'ombre e di tristezza.

Cadono i giorni

uno dopo l'altro.

S'aggiunge nome a nome.

Torna ogni volta

l'insoluto perché.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                            

DIGNITA'

 

Tu, senza colpa,

nascondesti

le ferite del cuore

come colpe.

Segreto fu il tuo pianto

represso il lamento.

Per te il dolore

era inviolabile

sacrario dell'anima.

Così nessuno s'accorse

nel tuo silenzio

della tua dignità.

All'indifferenza

non hai voluto lasciare

neppure un rimorso.

 

  

DONNE AL LAVORO

 

In ginocchio, curve,

come in una via crucis,

con le mani raggrinzite dal freddo,

setacciano l'erba dei campi;

ad una ad una, raccolgono le olive:

stanno sgranando veloci

gli acini d'un infinito rosario.

 

         

 

 

 

 

DOPO LA PIOGGIA ANTICA

 

Il secchio colmo

sotto la grondaia

 

il rivo gorgogliante

nella strada

 

il profumo della terra

   e del bosco.

 

Nel botro il sereno.

Nel cuore

una freschezza antica.

 

         

 

 

 

DOVE VAI, SIGNORE?

 

Dove vai, Signore?

Forse nei ghetti

di baracche squallidi,

oltre cancelli chiusi

su bimbi e vecchi soli,

dietro barriere

di vetri bianchi

e muraglie dalle tristi grate?

Dove vai, Signore?

Forse nella strada

ove è inaridita l'erba

sotto passi d'inutili attese,

chino sotto il sole infocato

o l'algore tagliente,

tra rumori inumani,

fumo che nasconde il cielo,

colline arse di ceneri,

prati divenuti deserto,

fiumi rantolanti di bava

   e case cinte di filo spinato?

Dove vai, Signore?

-A raccogliere sangue

e lacrime innocenti-

Per chi non ti conobbe

   o T'ha dimenticato,

per me, uomo di sole parole,

nella via dolorosa torni,

forse a morire ancora.

 

 

 

 

                            

DOV'ERAVATE, AMICI?

 

Dov'eravate, amici,

quella tarda sera

di vigilia?

Seduti a tavole imbandite

innanzi a donne

lucenti d'oro

e preziose bottiglie

poste in vasi d'argento?

 

Dov'eravate, amici?

A far baldoria

in qualche veglia,

tra musiche assordanti

e impazzite luci?

 

Dov'eravate, amici?

A seguire fiaccolate

su campi innevati

di paesi famosi?

 

Dov'eravate, amici?

A fare spari festosi

e squarci nella notte

con razzi

e frizzanti fuochi?

 

Eravate alla Chiappa

nella casa degli anziani

che non hanno più casa,

a dividere con loro

un panettone,

una bottiglia

e il vostro cuore buono di poeti.

 

San Silvestro,

tra tanto rumore inutile

c'è ancora qualcosa...

qualcuno che ama...

   che crede...

   che spera...

 

Nasce da loro

l'augurio più bello

per l'anno che viene.

 

         

 

 

 

 

 

 

E DI LUCE...

(a don Giuseppe Storti)

 

Non ho da offrirti

il delicato pensiero

   d'un ricordo

come la tua gente antica

   di Vezzano,

eppure

   la tua immagine

-da semplici racconti-

è fiorita nel mio cuore

come una leggenda.

In questa terra

   di sole

      d'olivi e vigne,

di borghi silenziosi

   d'aspre vie lastricate

e di terrazze aperte

   a spazi sconfinati,

ancora non s'è spenta

l'eco del tuo passo;

ancora la tua vita

   profuma di bontà.

Di luce

   si nutre il girasole

e di luce

   fa dono a tutti

      come il sole.

 

 

 

 

 

                          

E I GRILLI CANTERANNO ANCORA

 

Ancora ti rivedo

lassù nella tua vigna

solitario

   chino sugli acini dorati

      dei filari

incantato

   acceso d'amore.

Ti rivedo

ora alzare i pampini

dai grappoli lucenti

con la carezza lieve

d'un ragazzo,

ora con le cesoie in mano

o mentre sfili

di cintura il vinco

per fissare i tralci,

ora con la macchina del verderame

sulle spalle

nell'ansito di passi

salire la collina,

ora volgere lo sguardo impensierito

al cielo livido di nembi.

Ti rivedo come allora

in questa sera di settembre;

nel profilo d'ombra

inciso

dal tenue fuoco

dell'ultimo chiarore.

Ti prego! non svanire con il giorno.

Rimani con noi

in questa notte di vigilia.

Sulla tua vigna

presto sorgerà la luna

e i grilli canteranno ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                       

E SPERO ANCH'IO

 

Anch'io -sai-

correvo sui prati

contro il vento

per fare innalzare

il mio fragile aquilone;

anch'io m'arrampicavo sugli alberi

e sul muro tagliente

per strappare alla mimosa

una sua chioma d'oro.

Non corro più adesso,

né mi arrampico sui muri.

Eppure attendo

che rifiorisca la mimosa

e che s'innalzi ancora

un candido aquilone.

Spera la terra ancora nella vita.

E spero anch'io

finché vedrò fiorire una mimosa

e volare un aquilone.

 

                               

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E TU SARAI ANCORA

 

Quando le ombre

della sera

saranno scese

sui tuoi passi

non tutto

andrà disperso.

 

In altri cuori

pulserà il tuo sangue

e un petalo

dell'anima tua

intatto

profumerà d'aurora.

 

Con nuovi occhi

vedrai l'azzurro fremito

della primavera

e nel suo canto

riscoprirai

giorni innocenti.

 

In altre membra

sentirai

al tiepido sole

l'abbraccio della vita

e per incanto

oltre il buio

tu sarai ancora.

 

Nelle mani

logore del tempo

troverai sbocciato

un fiore:

il dono del tuo sangue.                 

ECLISSI

 

Sole che a poco a poco

perde il suo splendore,

cielo senza nubi

diventato opaco,

mezzogiorno

e quasi si fa sera...

Arcano senso di paura

riesuma secoli e millenni.

 

Eppure altro non è

se non innocua striscia d'ombra

che rapida si posa e passa

sul volto della terra.

Ah, se la notte

fosse così breve!

e potesse la vita

con pari rapidità

spezzare le catene

del buio che l'opprime.

 

                            

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ED ECCO LA STELLA

 

Rigida, tacita notte

lo sguardo alzerò

a immensi silenzi

e dell'antica stella

invocherò il cammino.

 

Per tratturi e piani andrò

con le genti d'ogni paese.

Sarchierò l'anima

e dalla terra rinata

prenderà linfa il sarmento

della nuova stagione.

 

Ed ecco la stessa poserà

con ali di bianca colomba,

sul giorno che regge i secoli,

il suo canto di pace;

nel cuore acceso di sole

la grande speranza.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

EPILOGO

 

Allora non compresi

quel tuo accresciuto timore

   dell'attesa;

l'incertezza che segnava

ormai il tuo giorno:

-Non arriverò a Natale- dicevi

e l'incubo di trovarti un giorno

   immobile, recluso,

larva del tuo io,

inutile affanno dei tuoi cari.

Non compresi allora

la segreta preghiera

   del tuo cuore

ché quando fosse giunta l'ora

la falce

   pietosa

      recidesse rapida lo stelo.

Pensavo al tramonto

come all'ora quieta

che scende al mio paese

tra gli olivi e le vigne della costa,

al profumo dell'erba tagliata

nella luce di fuoco

che tinge le nubi di speranza.

Pensavo che la candela

si rassegnasse al suo finire

quasi paga della sua intera vita;

che il fiore

   sereno

    reclinasse a sera

la sua corolla stanca;

che la foglia

   dolcemente

      si lasciasse andare

al vento del destino.

Ma oggi scopro

che più la radice rimane senza terra

più s'abbarbica alla roccia.

Nello specchio degli anni

il mio volto

   sempre più

     somiglia al tuo.

 

                                    

 

 

 

 

 

 

 

EQUINOZIO DI MARZO

 

Ora

che l'incanto della fiaba

a poco a poco si dirada

e il mondo si contorna

di strade e di pareti

-ora

che s'apre la tua mente

e più forte

il cuore batte d'impazienza-

ora

voglio parlarti

come si parla a un uomo.

Prima di te

ho percorso la tua strada

e, credimi, più facile non era.

Anch'io

ho conosciuto a primavera

timori e desideri

impeti e speranze.

Anch'io

ho innalzato voli

incontro ai sogni del mattino.

Sì, certo, la vita

-rincorrersi d'attese-

è spesso gravida d'affanni:

alterno gioco

di nubi e di sereno;

a volte più di nubi che sereno.

Ma tu ricorda sempre

che oltre l'ammasso grigio

delle nubi

esiste il sole.

Nessuna oscurità

   resiste

      alla potenza della luce;

nessuna terra

   alla forza d'un germoglio.

 

                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

             

ETERNITA'

 

Nell'eco solenne

di questi canti immutati

e immutabili

 

nelle note possenti

dell'organo

   fremiti d'antiche volte

   e di vetrate

 

nella luce

di mille candele

innanzi

alla Madonna del Buon Consiglio

 

le voci

dei miei cari risorgono.

 

Così adesso si colma

il vuoto del tempo:

passato e presente

non hanno più confini

nell'eternità.

 

              

 

 

 

 

 

 

 

 

              

FAMIGLIA

 

Radice profonda

dell'albero più alto

   più verde.

Pietra essenziale

   della casa.

Gioia d'essere insieme

per dividere ogni cosa:

donare e ricevere

ricevere e donare.

Uniti,

il giorno di sole

appare più splendente

e la nebbia meno grigia.

Il freddo meno freddo

quando la mano

stringendo l'altra mano

trova

il calore tenero

   del cuore.

Famiglia:

comunione oltre il tempo

e il vincolo del sangue.

Ed ogni sacrificio

   ha un senso.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

FERRAGOSTO IMMOBILE

(omaggio a Montale)

 

Adagiarsi nell'aia

d'un antico casale;

 

seduto per terra,

col capo appoggiato ad un sacco,

ascoltare nei caldi silenzi,

tutto d'intorno

nella campagna deserta,

frinir di cicale;

 

respirare profumo di rustico

e di terra assolata;

 

lasciare i pensieri

vagare nel cielo,

incontro a cumuli bianchi

venuti da monti lontani;

 

aspettare, nella calma d'estate,

il brontolìo sperduto d'un tuono.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FESTA AI CAVANON

 

Panche e tavoli di legno

sullo spiazzo erboso

all'ombra dei castagni.

Nell'aria fresca

il bosco porta

   i suoi profumi,

il fuoco

   antichi sapori di cucina.

Riscoprono le voci

serenità lontane

e il piacere di stare insieme.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINCHE’

 

Finché vedrò

   sbocciare un fiore

finché vedrò

   volare una farfalla

finché vedrò splendere

   il sorriso d’un bambino

io continuerò a sperare.

 

                          

 

 

 

 

 

 

 

 

FOGLIE

 

Hanno fatto

mucchi di foglie

secche

e acceso fuochi.

 

Nel vento

   dell’autunno

le fiamme crepitano

e un tenue fumo

s’innalza nell’aria

e si disperde.

 

Lontano

   è il rancido mondo

dei motori.

 

In un fuoco

di foglie secche

ho ritrovato

il vecchio cuore

della mia città.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FORTUNATO

 

Fortunato chi ha un lavoro

che dà speranza al suo futuro:

   un lavoro stabile

      sicuro.

Fortunato chi non deve

lasciare la sua terra,

andare lontano

pellegrino come profugo

   in cerca di pietà.

Fortunato chi vede

dischiudere il germoglio

del seme gettato

   e fiorire  

      il sogno dell’attesa;

chi nel lavoro sente realizzata

la sua dignità di uomo

   e finalmente libero

può farsi una famiglia,

avere una casa,

giungere all’autunno

con la giovinezza in cuore.

 

                   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIOVEDI' DELL'ASCENSIONE

 

Era gran festa

un tempo:

come Natale

e Pasqua.

Diceva mia madre:

"Neppure le rondini

oggi vanno in cerca,

né le api

di fiore in fiore.

Si fermano le nubi

e il rosignolo tace.

Benedetto

è questo giorno

di silenzi

e di preghiere".

Ancora vedo

il santuario antico

nascosto tra i castagni,

e nel sagrato erboso

i pellegrini

venuti da lontano.

Ancora sento,

nello stormir di fronde,

un semplice

suono di campana

perdersi nell'aria

splendida d'azzurro

e tenera d'incensi.

Era il giovedì

dell'Ascensione:

un giorno di festa

che non esiste più.

 

                

  GIOVINEZZA IMMORTALE

 

Federica,

non ti conobbi,

eppure ti conosco:

negli occhi lucidi

di tutto un popolo

ho visto specchiarsi

la tua immagine,

Grazia radiosa del mattino

entro mille cristalli

di rugiada.

Federica,

non ti conobbi,

eppure ti conosco:

tra la mimosa delicata

e i bianchi ciliegi in fiore

di questa ridente primavera,

io ti vedo leggiadra

sfiorare la terra,

come un alito di vento;

e nella luce che sorge

t'innalzi, giovinezza immortale.

 

                       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I MIEI ALBERI

 

Cari alberi, amici dell'infanzia,

con un fraterno abbraccio

tutti insieme vorrei stringervi.

 

Tu, olivo, ricurvo e saggio

vestito d'anni e di licheni

sacro a civiltà di popoli

e caro al cuore della pace.

 

Tu, castagno, che generoso

ti spogliasti d'ogni avere

per farti pane consacrato

e placare la mia fame.

 

Tu, pino,

che profumasti

d'incenso e canti il mio Natale

e ancor anelito m'infondi

di quella serenità lontana.

 

O alberi miei cari!

sempre vi chiamerò per nome

come fratelli uniti

nell'armonia della famiglia;

oggi che l'uomo scorda

spesso i suoi natali

e per un pugno di nulla

tradisce valori eterni:

perfino l'amicizia.

 

Mai, mai s'è udito

che un albero tradisse!

Mai, che fosse d'offesa al cielo

   e di dolore all'uomo.

 

                        

.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I NUOVI PADRONI

 

Devo gratitudine ai numeri,

perché essi mi danno

di che vivere;

però non posso dire d'amarli.

Non li amo

perché sono essi

i nuovi padroni:

aridi, freddi,

rigidi, inflessibili;

non sanno la fatica,

né la sofferenza,

né la pietà:

non hanno cuore;

forse sono potenti per questo.

Numeri, ancora numeri,

sempre numeri.

I grattacieli

sono fatti di numeri,

le autostrade sono fatte di numeri,

il successo

è fatto di numeri,

il potere

è fatto di numeri.

Sono entrati prepotenti,

con l'albagia del comando,

a dettar legge,

a giudicare:

assolvono, condannano;

sovente spogliano l'uomo

del suo nome:

lo fanno numero anch'esso

sperduto tra tanti;

così chi è piccolo

si sente più piccolo;

chi povero, più povero;

chi solo, più solo.

"Eppure tu ci devi..."

Mi rinfacciano i numeri

la mia povertà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                           

IL BAMBINO AMMALATO

 

Non era in attesa

per corrermi incontro.

 

Rosso di febbre,

sopito,

fatica un sorriso.

Vuota è la casa stasera.

Più vuoto il mio cuore.

 

         

 

 

 

 

 

IL BASTONE DEL VECCHIO

 

Nella povera casa, or così grande,

delicati ricordi rinverdisce

giovinezza lontana.

Sono immagini morbide di volti,

freschi suoni di voci tanto care

che raccontano gli attimi più belli

di semplici storie:

quiete storie nel cuore custodite

con mistico amore,

come l'unico vincolo al passato:

testimoni d'una vita che fu.

Gli anni pesano e più la solitudine;

s'appoggia stanco il vecchio al suo bastone

fatto di ricordi.

IL CIMITERO DI CARLO

 

E' un fazzoletto di terra

tra campi ancora lavorati

e coste lucenti di ginestre

aperte alle creste dei monti

   il cimitero di Carlo.

Ha un cancello antico

che s'apre senza chiavi

   e non conosce orari.

Non ha alberi cupi

ma un tenero roseto,

una pianta di mimosa

e l'erba verde d'un prato.

Ha sempre un fiore

   su ogni tomba

e come custode un pettirosso

   il cimitero di Carlo.

Qui i morti si conoscono tutti

   e non sono dissepolti

      dopo dieci anni:

la loro dimora è eterna

   come la pace

      delle mie cime apuane.

 

                    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                         

IL DONO DEL SANGUE

 

Benedetto è l'olio,

che nuovo splendore dona

alla fiamma vacillante

della lucerna;

e tale è la pioggia,

fresca e generosa,

che rinvigorisce la linfa

nello stelo implorante

sull'arida terra;

eppure, come pallide stelle,

annullate dal giorno,

svaniscono al cospetto del sangue;

di quello che, soffio, di vita,

ridona forza al palpito

e al volto emaciato

il sorriso della speranza.

Fu, ed è, il dono del sangue,

almo sigillo d'amore;

luce vivida e possente

che squarcia le nubi

e fende la nebbia;

è un segno che unisce

oltre ogni frontiera.

 

                     

 

 

 

 

 

 

 

 

IL DONO DI PADRE DIONISIO

 

Ho ritrovato nella mente

la tua immagine lontana:

fresca

   delicata

come il cuore d'un bambino.

Commosso

   oggi ti rivedo come allora

davanti al cancello

in quel freddo giorno

di novembre:

gli occhi vivi

   la lunga barba bianca;

chino

   avvolto

nel tuo mantello

di povero frate pellegrino

tenevi tra le mani

la cassetta delle offerte.

I tuoi bimbi erano innanzi

ad ogni tuo pensiero;

ma per ogni bimbo

avevi

   un sorriso

      una carezza

         un dono.

E dono

   per tutti

      è stata la tua vita.

 

 

 

                     

             

IL DONO

 

Non ti posso donare

il cuore, fratello,

perché troppo

è malato

e dolente di ferite.

Ma gli occhi sì!

Sono intatti

   lucenti

      dilavati:

il pianto li ha purificati.

A te li offro

come il più prezioso dono

che rompe le tenebre

e di luce

la vita inonda

e di speranza.

Gioisci, fratello,

nel sole

e nell'azzurro;

e io sarò con te

felice.

Non temere!

Dove io vado

non sarò cieco:

nel tuo nome

nuove pupille avrò.

 

 

 

 

               

 

 

              

IL FIORE DELL'ADDIO

 

Ogni compagno

ha portato un fiore

sul tornio fermo

divenuto altare.

 

Un fischio grave

sui volti scava

la tristezza:

così diversa, umana,

rauca di pianto

la sirena chiama

al ricordo.

 

Ogni voce tace

e ogni rumore:

tutto giace

nel freddo silenzio.

 

Solo il battito

del cuore odo

e la preghiera

nata dal dolore.

 

Ancòra...

un altro uomo

è caduto sul lavoro.

 

                                

 

 

 

 

 

IL GABBIANO DI PORTOVENERE

 

Il tuo grido

nella risacca adagi,

candido gabbiano,

e nell'aria incerta

ali spiegate innalzi

al sorriso della luce.

 

Scolpito sulla pietra,

nelle solitudini

di chiare scogliere

al vento confidi

una tenera storia d'amore.

 

         

 

IL GIALLO DEI LIMONI

 

Ora che hai disbrogliato

il filo della verità

e l’antico male si è dissolto

nell’infinito azzurro senza venti,

torni come allora

alle tue assolate vacanze

   dell’infanzia.

Qui il mare

   il sole

      i fiori

         le pietre

hanno innalzato il tuo santuario.

Esala l’anima l’antico profumo

e nel silenzio

si fa immortale la tua voce.

Ma basta un cenno giallo di limoni

   per ricondurmi a te.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL GIORNO DEL DOLORE

 

Sono passati gli anni;

 il tempo ha sepolto

nell'oblio tante glorie

e tante sofferenze nella pace;

ma non quel giorno, oh madre!

Di tanto in tanto,

si fa strada con forza:

torna a doler come una ferita

che non vuol rimarginare.

Rivedo il tuo sguardo immobile:

vuoto d'ogni pensiero.

Venne la Morte; entrò senza bussare,

d'un tratto, fredda e fuggitiva;

neppure un attimo volle concedere,

per una parola, un segno d'addio!

Così, più greve fu l'angoscia

e il vuoto più vuoto.

Ero bimbo allora;

venne il dolore,

e di colpo fui uomo.

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL GIRASOLE

 

Alla tua luce

mi volgo

come il girasole:

seguo nel cielo

il tuo cammino

e da Te

sugge linfa di vita

la corolla del mio cuore.

Ero nell'ombra ancora

e già sentivo

il tuo palpito d'amore.

Sei

la forza del germoglio,

l'aria che respiro...

profumo d'infinito;

sei

incendio di cieli a sera

nella speranza d'azzurro

   che s'apre

      all'indomani;

sei

l'alfa e l'omega,

   Signore del tempo

      e della vita.

Quando mi chiamerà

la terra

 non chiederò

la pietà d'alberi intristiti

e d'afflitti fiori,

ma soltanto il girasole

   che mi porti

      alla tua luce:

 

                              

IL LIBRO COSTRUITO

 

Lettera per lettera,

sillaba per sillaba,

parola per parola,

pagina per pagina:

è bello costruirsi un libro

con le proprie mani,

come farsi una casa

mattone su mattone.

Il libro costruito

un po’ ti fa scoprire

la gioia della maternità.

Sì, il tuo libro è vivo

e, anche se non ha il sigillo

di un casato signorile,

non si sente affatto orfano

   o figlio di nessuno.

Anzi, come e più d’un figlio vero,

ti rifonderà d’amore

    e mai ti scorderà.

A te si abbraccerà,

come un bambino

al collo della mamma,

perché sei tu l’autore

   che gli hai dato in dono

       un volto e l’anima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MURO DEL CUORE

 

Sono caduti i muri di pietra

ma resta il muro del cuore:

ogni giorno s’accresce

di vetri taglienti e filo spinato.

Subdola la sua voce

come il serpente del deserto

s’insinua, tenta, insidia:

“Io sono il muro della pietà

innalzato per nasconderti

   miserie e lamenti

che tu non puoi lenire;

per difendere la tua pace.

Perché vuoi angustiarti invano!

Da sempre così va il mondo.

Né tu lo potrai cambiare:

non puoi moltiplicare i pani

   placare le tempeste

      resuscitare i morti”.

Dio della potenza e della gloria!

Squarcia il grigio muro del cuore

   come il velo del tempio!

Ribalta il macigno del sepolcro!

perché sulle tenebre del vuoto

   trionfi il Tuo regno di luce. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                            

IL NASTRO RITROVATO

 

Ho ritrovato un vecchio nastro

questa sera:

un nastro audio

   perduto

nella remota piega dei ricordi:

gioiosa immagine sonora

   di voci

      di musiche

         e di canti;

moneta antica

   riemersa

nel solco abbrunito della terra;

strappata pagina di diario

naufragata nell’angolo più buio.

L’ho ritrovato ora

che disfo la valigia

e sfuggirmi ogni cosa sento

nelle ombre mute della sera.

E pure non s’arrende il cuore.

non vuole ammainare la sua vela;

vuole vivere…lottare ancora

   contro il vento;

scrostare la terra dal metallo;

stirare con le mani

   il foglio accartocciato;

spirare sulla polvere

   il fresco anelito di vita.

No, non voglio ascoltare

il canto malinconico dei grilli

questa sera;

né guardare

il tremulo chiarore delle stelle;

non voglio inseguire

voli notturni di farfalle insonni.

Voglio spalancare

l’uscio e le finestre!

ed alzare al massimo

il volume dello stereo!

Di luce voglio empire

   e di voci

      e di musiche

         e di canti

la desolata via del mio paese.

Senza fretta aspetterò sull’uscio.

Ad uno ad uno

gli amici torneranno.

Sì, tutti torneranno!

Faremo festa ancora:

una grande festa insieme

   e come allora

      innalzeremo

il tintinnante brindisi alla vita.

 

IL PANE DEL PERDONO

 

Uomo,

apri il tuo cuore alla pace.

Lo so,

non è facile abbattere

confini di secoli,

rancori di millenni;

colmare abissi di sospetti.

Non è facile

porgere l'altra guancia

a chi t'ha percosso,

innalzare l'olivo

   e fraterni canti

sulla terra ancora bagnata

di lacrime e di sangue.

Ma tu, uomo,

apri alla luce la tua mente

e il tuo cuore a pensieri di pace.

Raccogli il pane del perdono

   e dividilo

      perché ognuno ne abbia.

Non chiederti perché

devi essere tu primo a donarlo;

né come sarà possibile

   con un solo pane

      sfamare tanta gente.

 

                                            

 

 

 

 

 

                                

IL PAPPAGALLO SMARRITO

 

Un foglio di quaderno,

una scritta a pennarello,

un malinconico messaggio:

“E’ stato smarrito

un pappagallo:

grigio…con la coda rossa…”

Chissà dov’è finito,

forse sognando

l’incanto d’una terra

mai dimenticata,

il fremito d’un volo

libero nel cielo.

Inverso profugo,

ignaro del viaggio,

dell’insidia e del dolore,

solo nell’immensità

con le sue ali

di speranza.

 

                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PASTORE

 

Al tuo apparire

rivivono memorie

di secoli e millenni,

leggende e storie

di civiltà lontane.

Rinnovi il sapore

l'armonia

d'una vita legata

alla natura,

il desiderio

di fare un tuffo

in un mondo aperto

fresco di colori

e di silenzi.

Sul vecchio astuccio

dei pastelli

Giotto giovinetto

ricompare

mentre dipinge

l'agnello su una pietra.

Nel mio cuore

io affresco il pastore

e il magico tempo

dell'infanzia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                      

IL POTERE

 

Non t'illudere!

Passato il cancello

sarai dimenticato.

 

Non saranno valsi

piedistalli di marmo

né inchini servili

a farti sopravvivere.

Più in alto fosti

più solo sarai.

 

         

                 

 

 

IL SANGUE DI ABELE

 

Ditemi voi, Martiri di Vinca,

l’allucinato sguardo che non crede,

il grido atroce di chi cade,

il calore del sangue nelle mani,

il rantolo straziante dei morenti.

Ditemi, dell’odio acceso

negli occhi delle belve,

degli artigli feroci

     vili

         sull’inerme agnello.

Ditemi,

se il tempo debba velare la memoria,

se esiste una pietà

   che possa coprire tanta infamia

      nel più difficile perdono.

Ditemi,

ditemi ancora le speranze

di quel lontano venticinque aprile.

Ditemi, o Martiri,

se hanno preso forma i vostri sogni,

   se libertà e giustizia

      sono fiorite come nelle attese.

Ma i Martiri non parlano.

Parlano i loro nomi

scolpiti sulla pietra del Sacrario,

grido e monito perenne

perché la terra,

   il cielo e l’universo

mai più conoscano

   l’infamia della bestia.

Mai più, mai più in eterno.                                                                                              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL TEMPIO DELLA VITA

 

Il mio cuore di ragazzo avrebbe voluto

innalzarti un tempio, o Madre,

solenne di marmi e di parole scolpite

per gridare al vento,

al cielo, all'universo,

tutto il mio amore.

Ma ai poveri tocca soltanto

un metro di terra e una croce di legno.

Per loro anche la morte

è provvisoria come la vita.

Non hanno requie i poveri

neppure nell'ultima dimora.

Allora per te, o Madre,

ho innalzato nel mio cuore

il tempio eterno del ricordo,

più bello, più grande,

più sacro d'un santuario.

Qui perenne brilla

la fiamma del mio amore;

l'intreccio candido di rose

contorna di luce e di profumo

la grazia del tuo volto.

Qui non regna il velo gelido dei marmi

né il silenzio desolato della morte;

non trovano dimora crisantemi recisi,

opachi vasi e fiori di plastica,

parole annerite dallo smog.

Qui ancora pulsa l'anello della vita;

mi parla la tua voce,

m'allieta il tuo sorriso.

Ecco la tua casa, o Madre, la mia casa:

il nostro tempio della vita.

 

                                             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL VENTO DELL'ADDIO

 

Scesa è la sera

e la notte imminente

s'annuncia chiara

sui tuoi campi:

la luna piena brilla

e tremano le stelle,

cantano i grilli...

Ma un vento ignoto

agita gli olivi.

Sull'erba,

al pallido chiarore,

disperse

ritrovo le tue cose:

l'erpice e l'aratro,

la falce e il vecchio carro,

povere cose

consumate dal lavoro,

ancora segnate

di terra

   d'erbe

      e di sudore.

...E sibila sempre

senza posa il vento

e senza meta;

e dalla vecchia torre

lente rintoccano le ore.

Ma questa notte non ho sonno.

Non voglio dormire!

Voglio restare ancora

a farti compagnia.

Domani

   sarai portato via

nell'ultima dimora.

Come sarà triste

la tua terra sola

e vuoto il cuore!

Canta agli olivi,

oh vento, la tua pena questa notte!

la mia pena!

Dal volto chiuso tra le mani

rapisci

il mio dolore

e portalo lontano.

Non vedo più le stelle...

più non sento i grilli...

Sono rimasto solo...

solo, col sapore amaro

di queste lacrime d'addio.

 

                                       

IL VOLO DEL RITORNO

( A Helmut Rottner)

 

 Allora che

fiorita sarà

di sole la mimosa

   e la vigna

piangerà di gioia

al nuovo cielo,

   ed elicriso e timo

dalle rupi innanzi al mare

odore di terra

e di pietra

spargeranno

ai miti venti,

   io triste sarò

nel cuore.

 

   Non alzerò

lo sguardo

per cercare

il tuo ritorno,

   ma andrò

nei borghi quieti

incontro alla tua gente.

   Ai bimbi

e ai vecchi

chiederò di te.

   E già, come leggenda,

sorgerà il tuo ricordo

di rondine buona

venuta dal nord.

 

   In fresche visioni

di paesi

di fanciulli

e d'uomini e di barche,

di mare splendido

e d'aspre terre,

ancora

   ti sentirò

      vicino.

 

Allora salirò

l'erto sentiero

che porta

tra i cipressi,

odorosi di sale,

alla tua casa

aperta al mare

e al cielo:

   al tuo nido bianco

ove, posate l'ale,

tu attendi paziente

il volo del ritorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMMAGINI DISSOLTE

 

Di tanto in tanto,

senza ragioni torno

e furtivo cerco

le immagini dissolte.

Nell'ombra della sera

spio la via deserta

nella ricerca vana;

soltanto i muri rugosi

delle vecchie case in fila

serbano qualche segno:

una scritta incerta,

un nome listato in nero:

"lo conosco, lo conoscevo..."

Indugia l'anima mia

e l'ignoto fremito

lo sguardo piega

alla finestra antica;

ma impenetrabile

è diventato il vetro.

Ed io penso. "Chissà...

forse un giorno busserò".

Torno di tanto in tanto,

ma la vecchia Chiappa,

la mia Chiappa

non esiste più.

 

 

 

 

 

         

IN MORTE DI UN FRATELLO NON CREDENTE

 

Tu solo, oh Signore,

leggi i pensieri

e conosci

i segreti del cuore.

 

Tu solo

sai chi ti cerca

o ti nega,

chi t'accoglie

o respinge.

 

Tu solo

vedi oltre il muro

delle parole.

Ricordi?

Dicesti

che dal frutto

la pianta si riconosce:

se il frutto è buono

l'albero è buono.

 

Sia così per quest''uomo:

i suoi occhi forse

non t'hanno veduto,

ma il suo cuore,

senza saperlo,

s'è fatto

   guidare

      da Te.

 

              

IN MORTE DI UNA RACCOGLITRICE

 

La tua raccolta è finita.

Sei caduta sul campo

sotto la spietata croce

d'un sole implacabile.

Non hai trovato

la pietà del buon Samaritano

né l'aiuto del Cireneo.

L'età del Cristo avevi

   e in cuore

l'angoscia del Calvario;

forse più,

al pensiero dei bimbi che lasci.

La tua morte

-olocausto dell'altra Italia-

non interessa ai media,

soltanto due righe:

notizia stentata, stonata,

da rimuovere in fretta

per non turbare

questo tempo frizzante

di spiagge festanti

e di luci psichedeliche:

questa passerella di vacanze

per reginette in concorso.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                    

   INQUIETUDINE

 

Nella notte tranquilla, quando il cielo,

tremolante di stelle e senza cirri,

avvolge la campagna col suo velo

di silenzi profondi e di sospiri,

 

quando ultimi si spengono i pensieri

e la vita nel sonno s’abbandona,

quando i sogni discendono i sentieri

irreali dell’inconscio a far corona

 

con le gioie e coi timori addormentati,

quando del giorno nulla più rimane

e pur gli affanni sembrano placati,

almeno fino al prossimo dimane,

 

un fascino sublime aleggia intorno,

ma un inquieto pensare prepotente,

sconosciuto nell’animo del giorno,

mi turba il cuor e m’agita la mente.

 

Io vo’ cercando verso il cosmo ignoto,

tra le pallide stelle silenziose

sparse nell’infinito spazio vôto,

tra i mondi e le galassie nebulose,

 

una risposta a quest’uman cammino:

al bene, al male, all’uomo, alla sua sorte.

Quant’è caduco e oscuro il mio destino:

dietro la vita è l’ombra della morte.

 

Ma tu, oh infinito, tu che sei immortale

e non conosci le miserie umane,

tu che sei puro ed incorrotto al male,

quest’ansie mie ti sembreranno vane.

 

Oh infinito, parola senza senso,

nascosto nel buio ignoto del mistero,

io ti cerco, ma più m’affanno e penso,

più s’oscura e si perde il mio pensiero.

 

Una cosa capisco: quant’è grande

e immenso di potenza e perfezione

Colui che fece tanto e che s’espande

sopra i mondi, la vita e la ragione.

INTRECCIO

 

Ragazzo,

davanti agli occhi spenti

di tuo padre, 

al suo volto

immobile per sempre,

ora t'investe

tutto lo sgomento

di chi si perde nel buio

d'una notte senza stelle.

Soltanto ora

rimpiangi la dolcezza

del passato:

mattini di festa

e suoni di campane,

prati verdi

e voli d'aquiloni.

Soltanto ora

scopri la grandezza

   del suo amore

intessuto di rinunce

   e di silenzi;

ora soltanto

ritrovi la sua voce

nell'eco eterna

del tempo senza attese.

Attonito

cerchi nel suo volto

ancora un attimo di vita

e parole d'amore mai dette

senti pesare nel tuo cuore;

vorresti gridarle a tutto il mondo;

ora che tuo padre

è lì immobile nella sua urna

   di silenzio,

come un santo

   che stringe tra le dita

i grani d'un rosario...

L'hanno vestito

con l'abito di festa...

ma tu ancora lo rivedi

con la sua tuta azzurra

macchiata di grasso

   e di sudore.

Nell'angolo più buio

si scioglie adesso la tua pena;

cala fredda come nebbia

sui tuoi capelli lunghi,

sul tuo volto di ragazzo ormai adulto:

il dolore fa crescere in fretta;

apre un vuoto profondo nel cuore;

desta un bisogno assoluto d'amore.

Dolore e amore

amore e dolore:

immutabile intreccio della vita.

 

                      

 

 

 

 

 

 

 

    

 

 

            

JOANNES

 

Io lo ricordo

     come il tempo della giovinezza.

La terra ebbe un sussulto,

     la Chiesa un nuovo fremito di vita.

Lo Spirito di Dio s’è fatto voce,

     fraterno abbraccio;

con la sapienza del cuore

ha cercato ciò che unisce nell’amore,

distinto l’errante dall’errore,

     scrollato la polvere imperiale

dal trono di Pietro.

     La casa ha spalancato la sua porta

e l’uomo della vigna

     è andato incontro agli invitati.

Ancora ci conforta

     la sua testimonianza:

dà vita alla speranza

     e ottimismo al cuore.

Venne Giovanni:

     padre, fratello, maestro,

testimone del Signore

     in vita e nell’ora della morte.

 

                                 

  

    

   

 

 

 

        

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

JOBHEL

 

Il suono di jobhel

ancora annuncia

l'avvento del tuo tempo,

Signore.

Riposi la terra

e i suoi frutti doni

ad ogni uomo,

adesso che Tu proclami al mondo

ancora la tua liberazione

nell'anno del riscatto.

Torna tra noi, Signore!

Chinati sulle nostre miserie

con la pietà

del buon Samaritano:

lava

   cura

      risana le ferite,

da' luce ai nostri occhi

e speranza al cuore

nell'indulgenza del perdono.

Signore, indica la via

a questo disorientato

pellegrino del Duemila

che s'arresta al bivio

e ancora non sa decidersi:

guida il suo passo

sulla via di Emmaus

e accompagna il suo cammino,

perché egli non ceda alla fatica

e allo sconforto del dubbio

se nella sua ricerca

non vede ancora

la gloria del tuo Cielo.

Guidalo, Signore,

perché non si perda nel deserto

e quando si fa sera

giunga alla tua tenda:

a Te che proteggi il pellegrino

e sai placare la sua arsura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                               

                

 



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  1. Davvero stimolante la lettura di questa Silloge di Paolo Bassani, introdotta dal nostro immenso Maestro Nazario e, per volontà dello stesso Autore, dal prefatore Giuseppe Sciarrone, che in modo eccellente definisce le liriche 'gocce di luce che scendono lentamente nel cuore del lettore' e precisa quanto il Poeta ami evitare i tecnicismi, i virtualismi lessicali. In effetti in questa pagina ci si trova di fronte a una calda, musicale rappresentazione di storie di vita quotidiana inserite in un paesaggio che è protagonista assoluto di quest'esistenza e con il quale l'uomo realizza - e dovrei dire ripristina - l'empatia che gli consente di aderire al miracolo del creato. Versi raffinati, densi di pathos, volti, quando è possibile, alla sottrazione, non alla sovrabbondanza, che insegnano la grande difficoltà insita nell'essere fruibile. Eh già, perchè un'autorevole schiera di artisti e di critici tende a negare il valore della semplicità, che è cosa ben lontana dal semplicismo. La poesia, e la grande Letteratura lo mette in evidenza, deve poter arrivare a tutti. Non occorre interpretarla, ma leggerla e avvertire la sua luce che inonda le stanze del cuore. Bassano possiede il dono di essere padrone dell'arte poetica, di comporre rispettando i canoni di essa, di essere ispirato e di veicolare messaggi superbi... basta leggere l'ultima lirica che lancia l'intero suo dittato artistico in verticalità. Un Poeta che racconta la campagna, le persone che incontra o che ama e che eccelle in spiritualità, dimostrando quanto colui che crede nel senso più intimo e profondo del termine, può dare al lirismo i connotati della Rivelazione. La suggestione ricavata dalla lettura di Paolo Bassani è stata così intensa, che avrei voluto conoscerlo di persona per dirgli la mia ammirazione. Oggi è difficile incontrarsi, ma su Leucade avvengono conoscenze simili a miracoli. Il merito è del nostro Condottiero che ringrazio con infinito affetto, così come ringrazio il prefatore e il Poeta, ai quali rivolgo un affettuoso saluto.

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