Il tema della memoria in M. Youcernar(1903- 1987):
Souvenirs,
archivi, introspezioni.
“..la
nostra memoria allontana o avvicina i fatti, in altri casi li arricchisce o li
impoverisce, e li trasforma per farli rivivere. La memoria non è una raccolta
di documenti depositati in buon ordine al fondo di chissà quale me stesso; essa
vive e cambia; avvicina i pezzi di legno spenti per farne di nuovo scaturire la
fiamma.” (M.Y. Quoi? L’éternité)
L’ultima
opera di M. Youcernar è una trilogia dal titolo
Il labirinto del mondo, composto da Souvenirs pieux, in italiano Care
memorie, Archivi del Nord, e Quoi? L'eternité.
Qualche
attenzione al vocabolario scelto nel titolo ci spinge a capire meglio
l’operazione che la scrittrice va elaborando e dipanando per noi: per esempio
il primo titolo ci conduce alla parola “souvenirs”, non memorie, come è stato
tradotto. I souvenirs in genere sono cose, oggetti che ci riconducono a
qualcosa, a situazioni entrate stabilmente nella nostra memoria. Quelli della
Y. sono pieux, pii, oggetti di culto, direi reliquie cui intende far riferimento, mentre il secondo
fa perno su “archivi”, gli strumenti necessari alla storia, che alimentano il
desiderio di informarsi, documentarsi, sapere, chiarire. Il terzo pone l’interrogativo alla parola
“eternità” e ci svela la chiave entro cui muovere la nostra attenzione, il tempo.
Il tempo prima della sua nascita, prima di Fernande, la madre, morta di parto,
quello di Michel, il padre, più facilmente indagabile, l’eternità, l’io, il
grande mistero, il labirinto entro cui si perde il nostro io senza saper
rispondere definitivamente alla domanda principe: chi sono io ?
Il
titolo complessivo del trittico, Il labirinto del mondo, dà le
coordinate geografiche- labirintiche- in
cui spazia la letteratura della Yourcenar, le stesse entro cui si è spostata la
scrittrice nella sua vita di “nomade”: il mondo intero, sentito appunto come un labirinto.
Il
filo si dipana dai suoi affetti familiari, non una rievocazione sentimentale,
bensì un’indagine sul tempo oltre che sulla storia personale dei protagonisti.
“Ho
tentato di evocare una coppia della Belle Epoque, mio padre e mia madre, …una
coppia dignitosa e abbastanza disunita formata da un gran borghese e da una
solida borghese del secondo Impero, e infine quell’uomo eternamente ribelle
alle convenzioni che fu mio padre, (e) una bambina che fra il 1903 e il 1912 impara
a vivere su una collina della Fiandra francese…” ci dice nel secondo volume del
trittico.
Marguerite
Yourcenar è nata a Bruxelles da padre francese e madre belga, e fin dal nome
che ha scelto come pseudonimo ha voluto
‘sradicarsi’ dalla famiglia in cui era nata, anagrammando il suo patronimico
(Crayencour) per renderlo irriconoscibile.
La sua vita è un elenco straordinario di
spostamenti. Fino a otto anni cresce
nella tenuta
della
nonna materna a Mont-Noir, nel comune di Saint-Jans-Cappel, nel nord della
Francia,
alternando
soggiorni invernali nel sud della Francia, a Lilla, a Bruxelles, a Parigi, in
Olanda.
Nel
1912 segue il padre a Parigi, dove si fermerà cinque anni, trascorrendone uno a
Londra dove
impara
anche l’inglese e il latino. Dal 1917 vive a Nizza, dove consegue un
baccalauréat in latino e greco; dal 1922 cominciano i viaggi in Italia, in
Svizzera, in Germania.
Dopo
la morte del padre (1929) viaggia: in
Belgio, Olanda e in Europa centrale, Vienna, Belgrado e compie un viaggio lungo
il Danubio. Nel 1934 iniziano i suoi lunghi soggiorni in Grecia, sul Mar Nero,
a Costantinopoli. Nel 1937 si sposta tra Londra, Parigi e gli Stati Uniti, dove
ritornerà nel 1939 per un soggiorno che doveva durare pochi mesi e che invece,
a causa della guerra, si protrarrà per undici anni. Acquista una casetta a
Mount Desert, nel Maine (dove morirà) e non smetterà di viaggiare, sia negli
Stati Uniti che in Europa e in Egitto, fino alla soglia degli ottant’anni.
La
memoria e il tempo: il tema privilegiato. Care memorie (1974), dedicato
alla madre e ai suoi parenti, inizia con queste parole: «L’essere che chiamo
‘io’ venne al mondo un certo lunedì 8 giugno 1903, verso le otto del mattino, a
Bruxelles; nasceva da un francese [...] e da una belga [...]». uno sforzo di
impersonalità: l’uso della terza persona, più avanti il ricorso ai nomi propri
(Michel e Fernande) per indicare padre e madre, producono un’insolita forma di
coinvolgimento del lettore.
«Questi
fatti [...] in sé stessi non significano nulla, ma [...] tuttavia, per ciascuno
di noi, conducono più lontano della nostra storia individuale [...] ci
determinano tutti». E chiarisce:
“ La
vita passata è una foglia secca, screpolata, crivellata da buchi, lacerata e
sfrangiata, che, vista in controluce, presenta soltanto lo scheletro delle sue
nervature sottili e friabili.”
Continua
la faticosa ricostruzione della genealogia nella terza sezione, dove
l’obiettivo si sposta sul padre della nonna, i nonni Arthur e Mathilde (“ sono
dei privilegiati che ignorano di esserlo: non si sognano neppure di rallegrarsi
per una situazione agiata che ritengono dovuta e nella quale si trovano per
volontà di Dio…”) e su due suoi nipoti, cugini della nonna, Octave e Fernand
Pirmez (Rémo): scrittore ottocentesco un po’appartato il primo, filosofo
ribelle e morto suicida il secondo.
“ C’è
voluto molto tempo, confesso, perché m’interessassi al pallido <zio
Octave>…Non poté assistere alla brillante fioritura della poesia belga, che
aveva timidamente preparato, ma dubitiamo che il suo classicismo e il suo
romanticismo un po’ sorpassati avrebbero apprezzato quei simbolisti…..L’ardente
Rémo ha anche lui le sue manie e i suoi
pregiudizi d’epoca…, attanagliato dal dilemma postogli dalla bontà dell’uomo,
nella quale credeva, e dall’imperfezione delle società umane… Octave e Rémo
aspirano a un mondo di semplicità eroica e di energia virile diverso
dall’ambiente borghese in cui sono cresciuti…”
Il
libro, apertosi con la domanda, in esergo, «Qual era il tuo volto prima che tuo
padre e tua madre si incontrassero?» si conclude con la risposta a quella
domanda iniziale: «Il mio volto comincia a disegnarsi sullo schermo del tempo».
Il
secondo volume della trilogia, Archivi del Nord (1977) è dedicato alla “stirpe paterna”.
Ricostruisce dalla Notte dei tempi (così s’intitola il
primo capitolo) la genealogia paterna e giunge «restringendo man mano il campo
visivo, ma precisando e delineando più nettamente le personalità umane, fino
alla Lilla del XIX secolo [...] e infine a quell’uomo eternamente ribelle alle
convenzioni che fu mio padre…. ».
In esergo la celeberrima similitudine omerica:
«Come delle stirpi di foglie, così è delle stirpi degli uomini», che ci indica
la scelta di una scrittura che si allarga alla storia della specie umana perché
l’uomo è una creatura senza “io”, e solo abbandonando quel peccato d’orgoglio
che fa pensare all’uomo di avere un nome e una storia individuale, egli potrà
sconfiggere la morte. È nell’impersonale il carattere sacro dell’uomo, secondo
la Yourcenar, ed è l’uomo nudo di fronte alla morte, solo, il tema per
eccellenza della sua scrittura, non
certo la celebrazione della propria stirpe, ma l’individuazione del ritmo
comune, che scandisce il succedersi delle generazioni, sotto il variare dei
nomi e dei tempi.
Nel
volume si sofferma sulla figura del nonno paterno, Michel- Charles, dottore in
legge, sulle sue inquietudini, da intelligente
uomo privilegiato ma non felice, irrequieto, il suo favoloso viaggio in Italia nel 1845
con le sue osservazioni sul sudiciume
delle città italiane, su Roma e villa d’Este, il Vaticano, Napoli la Sicilia, l’ascensione avventurosa
sull’Etna, Loreto, visitata doverosamente
da buon cattolico…, le sue lettere volutamente banali, reticenti,
costruite per tranquillizzare la madre… Al ritorno, il matrimonio con Noèmi ( “abisso di meschinità”), la nonna,
sempre in rotta col figlio, fredda col genero, parziale e beffarda col nipote,
autoritaria e poliziesca. Una figura del tutto negativa. Poi il ruolo di padre,
l’affettuosità verso il figlio Michel, il dolore per la perdita della figlia
Gabrielle…
La
fonte principale della Y. diviene ora
quella orale, i racconti fatti e rifatti dal padre durante le lunghe
passeggiate in campagna o nella clinica svizzera dei suoi ultimi anni di vita.
A
pezzi e a bocconi emerge tutta la sua vita. “ Ora capisco che le lacune sono
state numerose. Alcune si spiegano con il sacro terrore di riaprire l’armadio dei fantasmi. Negli altri casi …
certe parentesi insignificanti erano semplicemente scivolate nell’oblio. I suoi
ricordi dicono solo quello che ha voluto dire. E ciò mi autorizza a lavorarci
sopra. Come se avesse vissuto più vite senza trovarne il filo unico
conduttore.” Molte sono infatti le lacune che l’autrice non tenta di riempire
con la fantasia né di romanzare, del resto è già romanzo la vita avventurosa
del padre,la fuga dalla famiglia, la vita
in Inghilterra per sette anni, dopo aver abbandonato l’esercito, i due
matrimoni, il viaggio e soggiorno in Russia, le molte avventure e gli amori, il
vizio dominante del gioco, le disavventure finanziarie, le poche amicizie, la
guerra…
Il
terzo volume Quoi? L’éternité affronta le vicende e la storia che M. Y
conosce di prima mano, che la riguardano
più da vicino, la sua storia in parallelo con quella del padre.
Per
tutta la prima metà il protagonista è ancora il padre, i suoi gusti, le sue
avventure, le sue donne e lei apparirà
semplicemente come «la bambina»:
solo dal capitolo Le briciole dell’infanzia parlerà di sé in
prima persona, anche se a se stessa e ai
propri ricordi d’infanzia e di adolescenza riserva complessivamente poche
pagine, non essenziali: “ E di nuovo mi trovo in imbarazzo sul problema delle
date dell’infanzia, sola in un grande scenario vuoto dove tutto sembra a volte
molto vicino a volte molto lontano….Fin dalla prima infanzia mi ha fatto
difetto il senso del tempo. Oggi come
sempre…. La memoria dice sempre troppo o troppo poco.”
Negli
ultimi tre capitoli farà la sua comparsa la prima guerra mondiale, vista in
modo defilato, soprattutto nei «contraccolpi assai trascurabili su un piccolo
gruppo di persone».
Il
libro trova però il suo fulcro nella figura di Jeanne de Reval, che ne è la
vera protagonista.
Jeanne
è l’amica di Fernande per la quale Michel nutrirà una passione folle – e che per
Marguerite rappresenterà per sempre la madre, anche da lontano, anche quando,
in seguito alla rottura tra lei e Michel, la perderà definitivamente di vista.
È intorno a Jeanne e alla sua figura che la scrittura si fa più vibrante
palpitante, profonda, l’atmosfera più ricca, amorosa, dolce, intima e calda, la
memoria più attenta, devota: la virtù più grande di Jeanne è infatti quella di
saper mettere «un po’ di dolcezza nell’intollerabile», una caratteristica che Marguerite Yourcenar ha misteriosamente ereditato...
M.
Grazia Ferraris, giugno 2021
Maria Grazia Ferraris continua nella sua oramai incontenibile e preziosissima carrellata di personaggi che hanno fatto la storia della letteratura mondiale. Ora è la volta di Marguerite Yourcenar (1903-1987), figura fondamentale dell'esistenzialismo letterario, candidata al Nobel nel 1983. Di lei analizza il tema della memoria trattato nell'ultima trilogia, "Il labirinto del mondo", e lo fa con questo acuto saggio, riportando nell'incipit una citazione della nota scrittrice, di particolare interesse: "La memoria non è una raccolta di documenti depositati in buon ordine al fondo di chissà quale me stesso; essa vive e cambia; avvicina i pezzi di legno per farne di nuovo scaturire la fiamma" (da "Quoi? L'éternité"). La memoria è viva, è cuore che pulsa, sangue che scorre nelle vene. Non ha nulla di antiquario, la memoria, non è intellettualismo, non ha nulla a che vedere con l'io (o con l'ego). Non è un libro consultabile a piacimento, estraendolo dal polveroso archivio mentale, ma è vita che rigurgita dal profondo, di cui siamo e restiamo totalmente ignari. La memoria è inconscio che affiora alla coscienza per svegliarla dai suoi torpori; onda che erompe dal fiume sotterraneo dell'Essere, che è indubbiamente "altro" da noi, ma che ci abbraccia e comprende. "Che cos'è l'eternità?", si chiede la scrittrice. Che cos'è "l'io, il grande mistero, il labirinto entro cui si perde il nostro io senza saper rispondere definitivamente alla domanda principe: chi sono io?". La risposta non tarda a venire: "l'uomo è una creatura senza 'io', e solo abbandonando quel peccato d'orgoglio, che fa pensare all'uomo di avere un nome e una storia individuale, egli potrà sconfiggere la morte". "Uno sforzo di impersonalità", commenta la Ferraris. Non destinato, a mio avviso, ad avallare le teorie del Nulla, come potrebbe forse sembrare, ma a riscoprire le sorgenti spirituali dell'Essere, le sue vere fonti battesimali nell'assoluto. In lingua etrusca, "maschera" significava "persona". Sta dunque nella distruzione della "maschera/persona" il di-svelamento della verità, il supremo sforzo di liberazione dell'io. Sappiamo che due sono gli esiti della cultura esistenzialista, uno spiritualista e l'altro materialista, intrecciati variamente tra di loro. La Youcernar fu profonda e appassionata studiosa di buddismo, considerandolo in un'ottica non speculativa, ma come filosofia di vita. In un libro-intervista del 1980 ("Con gli occhi aperti"), lei dichiarava di essere "profondamente attaccata alla conoscenza buddista", la quale, "come Socrate, ci mette in guardia contro le speculazioni metafisiche per invitarci a conoscere meglio noi stessi". Il passo a mio parere è breve per giungere alla scoperta, al di là dell'ego, di un alterego extracorporeo che, proprio sfuggendo all'anagrafe, è in grado di riportare vigore nell'assetto esistenziale.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Maria Grazia mia, ci guidi con la tua consueta, calda, sapienza alla scoperta degli aspetti più o meno conosciuti di un altro personaggio femminile che ha lasciato orme indelebili sulla rena della nostra conoscenza. E ti soffermi a lungo sull'infanzia della Scrittrice e traduttrice, figlia unica, cresciuta in simbiosi con il padre, insieme al quale affrontò una vita di viaggi e di precoci esperienze culturali. Dalla tua esegesi si evince che la Yourcenar era affetta dal famoso complesso di Elettra, tanto diffuso nell'infanzia, ovvero l'innamoramento verso il genitore del sesso opposto. Sai cogliere tutte le sfumature del legame con il padre attraverso i suoi scritti e, in particolare il secondo volume della trilogia "Archivi del Nord" dedicato alla 'stirpe paterna'. Il senso della memoria è la tematica più cara alla Nostra e trovo straordinario l'estratto che mirabilmente citi: "La vita passata è una foglia secca, screpolata, crivellata da buchi, lacerata e sfrangiata, che, vista in controluce, presenta soltanto lo scheletro delle sue nervature sottili e friabili.” Sei donna di professionalità e d'amore, amica mia, ci tengo a ripeterlo, vorrei averti vicina per abbracciarti, come potevamo fare una volta, e sussurrartelo con le lacrime agli occhi. Rendi le tue pagine di una vitalità incandescente. Se è vero che pochi scrittori hanno posseduto come la Yourcenar il senso profondo dei secoli e dei millenni e dei miliardi di individui che li hanno abitati, tu le rendi onore in modo eccellente. Sei l'omaggio perfetto a questa Donna che ha saputo rendere la memoria testimone del tempo e della storia, memoria intesa in senso profondo e nelle vicende delle piccole cose, dei 'souvenir' che citi con tanta saggezza, per cui se si lancia una bottiglia in mare e se, come ha scritto l'Autrice in "Pellegrina e straniera", quella bottiglia danzerà sul mare senza che nessuno la raccolga, “avrai almeno fatto galleggiare un fragile oggetto umano sulla superficie delle onde”. Grazie, Maria Grazia, per questo tributo Culturale caldo di pietas e grazie per il tuo lavoro riservato, privo di ostentazioni, immenso e umile. Ti ammiro infinitamente e ti porto nel cuore!
RispondiEliminaI tuoi commenti cara Maria mi toccano il cuore: hai individuato la chiave autentica dei miei interessi e delle mie emozioni più profonde. Sono contenta che qualcuno legga con partecipazione empatica quello che vado scrivendo sulle scrittrici dimenticate..dimenticate o lette in fretta e superficialmente, anche se sono state e sono grandi. È vero che tutti muoiono, anche i validissimi scrittori uomini, ma le donne muoiono prima e di più, dopo innumerevoli fatiche per emergere, e sforzi di far ricordare di non essere solo gli angeli del focolare, come ci ricordava Virginia Woolf. La letteratura tutta ed in particolare quella femminile ha bisogno di essere ricordata. Anche le citazioni che tu sottolinei sono davvero importanti, stabiliscono un ponte di consonanze ed affinità fra chi legge che per me è prezioso come quello di un incontro diretto. Grazie davvero per le tue parole.
Elimina- I tuoi commenti caro Franco sono preziosi per vari motivi (che non sto ad elencare ma che tu conosci per la stima che via via ti esprimo in molte occasioni), ma soprattutto per la tua capacità di unire la lettura testuale con assoluta fedeltà e comprensione con il tuo mondo di elaborazione filosofica. E questo tuo commento è un caso esemplare. Ti soffermi sul tema memoria - a noi lettori di Leucade carissimo- e su quello dell’io -“l'io, il grande mistero, il labirinto entro cui si perde il nostro io senza saper rispondere definitivamente” - oscillazione tra il rifiuto del razionalismo semplificatorio, le finzioni intellettualistiche e la riflessione nichilistica, passando attraverso la riflessione spiritualista di matrice buddista per “riscoprire le proprie fonti archetipiche è ciò di cui si ha urgente bisogno”. Ribadisci quello che hai espresso presentando Spiragli di luce: “tornare alle origini sempre originanti (non originarie ma originanti) e così accendere nuovi fari,” cogliere il passato che sta dentro di noi.
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