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mercoledì 1 settembre 2021

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "IL VIATICO DELL'ASSENZA" DI MARTA CELIO

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade





IL VIATICO DELL’ASSENZA


Partiamo da qui:

 

Nuvolo di giorno

piovo di notte

 

e soleggio

quando ci sei tu

con la tua inimmaginabile forza

 

tua - insieme -

forte debolezza

 

e lasci un vuoto, sì grande

sì doloroso…

un istmo di mare

 

mai ti raggiungerò, perché io

 

appartengo alla vita

lei,

 

non mi appartiene

 

       Al di là dell’uso verbale e della conseguente personificazione delle manifestazioni atmosferiche, la mia decisione di principiare a scrivere sulle due pièces, che compongono il Diario di Marta Celio, prendendo abbrivo dai versi riportati, è stata determinata dal fatto che gli stessi rimandano a considerazioni che investono non solo l’ambito formale ma più esaustivamente la poetica sottesa alla Weltanshauung della scrittrice originaria della Svizzera romancia.

       La prima riflessione è fondata sulla simbologia, legata all’impiego di quei verbi, solitamente impersonali, in modo così intimo e proprio. Rivestono, in effetti, le semiologie, un figurato strettamente connesso al pensiero esistenziale della Nostra.

       “Nuvola”, “piove”, “soleggia” - dunque - la poetessa. Come (riba)dire che i nembi, la pioggia, il Sole non sono altro da lei e, in quanto tali, non possono essere posseduti.

Viceversa: siamo noi che dobbiamo avvertire profondamente il senso di appartenenza alla vita, se realmente desideriamo farne parte.

Ma non si ferma a questo la mia osservazione dei versi riportati: c’è anche - di converso - il rinvio ad un diverso modo di stare al mondo e, conseguentemente, di vivere.

L’enigmatico “tu” (tornerò su questo concetto) - cui si rivolge - ha una forza “inimmaginabile”, che, però, è contemporaneamente vigore e fragilità. Come si spiega questa ambivalenza? E perché la Celio percepisce come irraggiungibile l’interlocutore?

Credo si possa rispondere ad entrambe le domande rifacendosi, ancora una volta, al sopraesposto pensiero di non sentirsi proprietaria del più prezioso dei beni, al quale, liberamente e gratuitamente, siamo ammessi ad accedere.

È, allora, proprio in quella che si potrebbe considerare una scelta del nostro libero arbitrio che trova chiarimento e giustificazione l’antinomia - solo apparente - tra forza e debolezza. Apparente perché chi ritiene che la vita gli appartenga ha dalla sua, da un lato la tempra di sapersi rapportare con l’esistenza come colui che ne tiene le briglia, dall’altro la fiacchezza che gli deriva dal non averne compreso la vastità e la giusta rilevanza. Di conseguenza, ecco chiarito anche il motivo dell’impossibilità - da parte dell’autrice - di arrivare ad allinearsi, a riunirsi con colui/colei che ha operato quel tipo di alternativa.

Troppo distanti le posizioni, agli antipodi. Nonostante presentino pro e contro - avviene così per ogni circostanza - si tratta, sempre e comunque, di optare per una o per l’altra modalità di essere nel mondo. E la poetessa - è evidente - non ha alcuna intenzione di ergersi a giudice, semplicemente prende atto della propria natura e ne segue gli orientamenti.

A questo punto è d’uopo riandare alla criptica identità di quel “tu” che, non solo nel testo esaminato, ma un po’ in tutta questa prova, ricorre con assiduità.

 Già dalla prima di queste liriche, “da qui - come  sostiene Anna Lombardo prefazionando l’opera - comincia l’errare dell’io poetico”. E prosegue: “‘So di te’, dice - rivolgendosi a quanto scrive la poetessa -, e quel ‘sapere’ si confronta con il desiderio-rifugio in una “poesia pensante” qui assunta, infatti, a “roccaforte”; ed è un serbatoio interiore necessario per un ‘vivere lontano / dalle tue / amare distanze’”.

Un’acuta osservazione, quella della Prefatrice, che apre ad ulteriori approfondimenti, peraltro ripresi da Alessandro Tessari nella sua nota in calce alla seconda delle due plaquette che compongono questo Diario di tutte le assenze.

Dopo essersi soffermato sul concetto di poesia, con una dissertazione intorno alla sua stessa essenza, che mi piace riportare in sommi capi: “La poesia non è un appello politico, un richiamo empatico per una suggestione collettiva. Non è trascinante e commovente come un inno patriottico […] Gli inni patriottici servono ad annebbiare la testa dei militi, come del resto la comunicazione mediatica […] a costruire dei consumatori. Il consumatore […] deve consumare […] per far correre la macchina produttiva. Soprattutto quella che non serve assolutamente a niente. Che nuoce all’ambiente, alla salute dell’uomo e arricchisce solo alcune selezionate tasche”, contrapponendo a tutto questo ciò che segue: “La poesia si muove sregolata e ribelle. Senza neppure sapere dove sta andando”, e qui il parallelismo con la poetica di Marta, avvicinata a quella di molti grandi poeti “come Attilio Bertolucci, Andrea Zanzotto, Paul Celan”.

Mi scuso per la digressione e torno nel seminato: anche Tessari - come aveva fatto la Lombardi - si rifà alla lirica d’esordio citandone molti versi e rinvenendo, soprattutto nei seguenti (“so di te / mille arbusti sempreverdi a / rosseggiare tra / palafitte intatte: / tuoi sguardi inermi”), l’entrata in scena “(del) mondo, (del) te, (del) tu generico, (del) tuo doppio, (del) tuo te stesso che si divide sempre (nella Celio) come un controcanto con un misterioso mondo poetico cui l’autrice tenta di dare l’assalto.”.

Ecco: queste pregnanti considerazioni del Critico mi sembrano quanto di meglio possa intervenire per muoversi sulla linea di quella cripticità identificativa cui precedentemente accennavo. Non mancano, in effetti, i riferimenti testuali che riconducono all’interpretazione fornita da Tessari.

Leggiamone uno dalla 315 (le liriche sono numerate), ad esempio, che depone indiscutibilmente a favore della tesi del doppio di se stessa:

 

[…]

non lontana

aperta ad orizzonti di senso:

 

letargici e solatii

e accarezzare

ciò

che di te rimane…

quando quasi ti arrendi

[…]

eco

di uno “stare

 

a cavallo

di amari dolori

e future gioie

 

da assaporare insieme

 

seppur lontane

 

noi - per sempre -

 

per sempre vicine

 

       Vicine, si, ma con la consapevolezza che è l’assenza che assolve. “L’onda del mare sa”: i suoi sono “lenti e sontuosi sogni e sonni”, il restare della Nostra “è invece / una lotta impari”.

       E tuttavia - seppure amara la constatazione - non si precipita mai, con lei, nello sconforto; c’è sempre qualcosa / qualcuno che emerge, che stupisce, che lenisce la sorte avversa e che, come l’onda, “(sarà) pace a quel che resta”.

       Nella chiusa che segue (dalla 319), credo sia rinvenibile l’intera, sua poetica:

 

sogno

e sognando resto sull’orlo

del mio passo

e dunque

              andando via

rimango

      

Una poetica del “rimanere fuggendo” - mi viene da dire -.

       Marta va via per restare davvero dove vorrebbe. E mi domando: esistono altre strade praticabili per noi così piccoli, così fallibili “per un sì grande dolore”? 

Sandro Angelucci

     

Marta Celio. Diario di tutte le assenze che assolvendomi - mi salvano. Nodo Edizioni. Mareno di Piave. 2021

1 commento:

  1. Il viaggio... etimologicamente il termine viatico si riferisce proprio al viaggio, della Poetessa Marta Celio, non è di facile approccio, ma un colosso come il nostro Sandro Angelucci naviga ogni mare e lo dimostra anche in questa occasione tessendo una recensione professionale, didattica e profondamente umana. La poetica del 'rimanere fuggendo' è la sintesi di Sandro
    dell'Opera originale, innovativa, libera dell'Autrice, che leggendo questa pagina d'Autore sarà stata molto felice e si sarà ritrovata. L'arte dei Maestri di critica Letteraria è centrare il focus, l'essenza di colei o colui che scrive. Mi complimento con l'amico per quest'Opera nell'Opera e con la Poetessa per la fantasiosa versatilità. Li abbraccio entrambi!

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