Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade
IL VIATICO DELL’ASSENZA
Partiamo da qui:
Nuvolo di giorno
piovo di notte
e soleggio
quando ci sei tu
con la tua inimmaginabile forza
tua - insieme -
forte debolezza
e lasci un vuoto, sì grande
sì doloroso…
un istmo di mare
mai ti raggiungerò, perché io
appartengo alla vita
lei,
non mi appartiene
Al di là dell’uso verbale e della
conseguente personificazione delle manifestazioni atmosferiche, la mia
decisione di principiare a scrivere sulle due pièces, che compongono il Diario di Marta Celio, prendendo abbrivo
dai versi riportati, è stata determinata dal fatto che gli stessi rimandano a
considerazioni che investono non solo l’ambito formale ma più esaustivamente la
poetica sottesa alla Weltanshauung della
scrittrice originaria della Svizzera romancia.
La prima riflessione è fondata sulla
simbologia, legata all’impiego di quei verbi, solitamente impersonali, in modo
così intimo e proprio. Rivestono, in effetti, le semiologie, un figurato
strettamente connesso al pensiero esistenziale della Nostra.
“Nuvola”, “piove”, “soleggia” - dunque -
la poetessa. Come (riba)dire che i nembi, la pioggia, il Sole non sono altro da
lei e, in quanto tali, non possono essere posseduti.
Viceversa: siamo noi che dobbiamo
avvertire profondamente il senso di appartenenza alla vita, se realmente
desideriamo farne parte.
Ma non si ferma a questo la mia
osservazione dei versi riportati: c’è anche - di converso - il rinvio ad un
diverso modo di stare al mondo e, conseguentemente, di vivere.
L’enigmatico “tu” (tornerò su questo
concetto) - cui si rivolge - ha una forza “inimmaginabile”, che, però, è
contemporaneamente vigore e fragilità. Come si spiega questa ambivalenza? E
perché la Celio percepisce come irraggiungibile l’interlocutore?
Credo si possa rispondere ad entrambe
le domande rifacendosi, ancora una volta, al sopraesposto pensiero di non
sentirsi proprietaria del più prezioso dei beni, al quale, liberamente e
gratuitamente, siamo ammessi ad accedere.
È, allora, proprio in quella che si
potrebbe considerare una scelta del nostro libero arbitrio che trova
chiarimento e giustificazione l’antinomia - solo apparente - tra forza e
debolezza. Apparente perché chi ritiene che la vita gli appartenga ha dalla
sua, da un lato la tempra di sapersi rapportare con l’esistenza come colui che
ne tiene le briglia, dall’altro la fiacchezza che gli deriva dal non averne
compreso la vastità e la giusta rilevanza. Di conseguenza, ecco chiarito anche
il motivo dell’impossibilità - da parte dell’autrice - di arrivare ad
allinearsi, a riunirsi con colui/colei che ha operato quel tipo di alternativa.
Troppo distanti le posizioni, agli
antipodi. Nonostante presentino pro e contro - avviene così per ogni
circostanza - si tratta, sempre e comunque, di optare per una o per l’altra
modalità di essere nel mondo. E la poetessa - è evidente - non ha alcuna
intenzione di ergersi a giudice, semplicemente prende atto della propria natura
e ne segue gli orientamenti.
A questo punto è d’uopo riandare alla
criptica identità di quel “tu” che, non solo nel testo esaminato, ma un po’ in
tutta questa prova, ricorre con assiduità.
Già
dalla prima di queste liriche, “da qui - come sostiene Anna Lombardo prefazionando l’opera -
comincia l’errare dell’io poetico”. E prosegue: “‘So di te’, dice - rivolgendosi a quanto scrive la poetessa -, e
quel ‘sapere’ si confronta con il desiderio-rifugio in una “poesia pensante” qui assunta, infatti, a “roccaforte”; ed è un serbatoio interiore necessario per un ‘vivere lontano / dalle tue / amare
distanze’”.
Un’acuta osservazione, quella della
Prefatrice, che apre ad ulteriori approfondimenti, peraltro ripresi da
Alessandro Tessari nella sua nota in calce alla seconda delle due plaquette che
compongono questo Diario di tutte le
assenze.
Dopo essersi soffermato sul concetto di
poesia, con una dissertazione intorno alla sua stessa essenza, che mi piace
riportare in sommi capi: “La poesia non è un appello politico, un richiamo
empatico per una suggestione collettiva. Non è trascinante e commovente come un
inno patriottico […] Gli inni patriottici servono ad annebbiare la testa dei
militi, come del resto la comunicazione mediatica […] a costruire dei
consumatori. Il consumatore […] deve consumare […] per far correre la macchina
produttiva. Soprattutto quella che non serve assolutamente a niente. Che nuoce
all’ambiente, alla salute dell’uomo e arricchisce solo alcune selezionate
tasche”, contrapponendo a tutto questo ciò che segue: “La poesia si muove
sregolata e ribelle. Senza neppure sapere dove sta andando”, e qui il
parallelismo con la poetica di Marta, avvicinata a quella di molti grandi poeti
“come Attilio Bertolucci, Andrea Zanzotto, Paul Celan”.
Mi scuso per la digressione e torno nel
seminato: anche Tessari - come aveva fatto la Lombardi - si rifà alla lirica
d’esordio citandone molti versi e rinvenendo, soprattutto nei seguenti (“so di te / mille arbusti sempreverdi a /
rosseggiare tra / palafitte intatte: / tuoi sguardi inermi”), l’entrata in
scena “(del) mondo, (del) te, (del) tu generico, (del) tuo doppio, (del) tuo te
stesso che si divide sempre (nella Celio) come un controcanto con un misterioso
mondo poetico cui l’autrice tenta di dare l’assalto.”.
Ecco: queste pregnanti considerazioni
del Critico mi sembrano quanto di meglio possa intervenire per muoversi sulla
linea di quella cripticità identificativa cui precedentemente accennavo. Non
mancano, in effetti, i riferimenti testuali che riconducono all’interpretazione
fornita da Tessari.
Leggiamone uno dalla 315 (le liriche
sono numerate), ad esempio, che depone indiscutibilmente a favore della tesi
del doppio di se stessa:
[…]
non lontana
aperta ad orizzonti di senso:
letargici e solatii
e accarezzare
ciò
che di te rimane…
quando quasi ti arrendi
[…]
eco
di uno “stare
a cavallo
di amari dolori
e future gioie
da assaporare insieme
seppur lontane
noi - per sempre -
per sempre vicine
Vicine, si, ma con la consapevolezza che
è l’assenza che assolve. “L’onda del mare
sa”: i suoi sono “lenti e sontuosi
sogni e sonni”, il restare della Nostra “è
invece / una lotta impari”.
E tuttavia - seppure amara la
constatazione - non si precipita mai, con lei, nello sconforto; c’è sempre
qualcosa / qualcuno che emerge, che stupisce, che lenisce la sorte avversa e
che, come l’onda, “(sarà) pace a quel che
resta”.
Nella chiusa che segue (dalla 319), credo
sia rinvenibile l’intera, sua poetica:
sogno
e sognando resto sull’orlo
del mio passo
e dunque
andando via
rimango
Una poetica del “rimanere fuggendo” -
mi viene da dire -.
Marta va via per restare davvero dove vorrebbe. E mi domando: esistono altre strade praticabili per noi così piccoli, così fallibili “per un sì grande dolore”?
Sandro
Angelucci
Marta Celio. Diario
di tutte le assenze che assolvendomi - mi salvano. Nodo Edizioni. Mareno di Piave. 2021
Il viaggio... etimologicamente il termine viatico si riferisce proprio al viaggio, della Poetessa Marta Celio, non è di facile approccio, ma un colosso come il nostro Sandro Angelucci naviga ogni mare e lo dimostra anche in questa occasione tessendo una recensione professionale, didattica e profondamente umana. La poetica del 'rimanere fuggendo' è la sintesi di Sandro
RispondiEliminadell'Opera originale, innovativa, libera dell'Autrice, che leggendo questa pagina d'Autore sarà stata molto felice e si sarà ritrovata. L'arte dei Maestri di critica Letteraria è centrare il focus, l'essenza di colei o colui che scrive. Mi complimento con l'amico per quest'Opera nell'Opera e con la Poetessa per la fantasiosa versatilità. Li abbraccio entrambi!