MICHELA MERCURI
DAL CORANO ALLA DIVINA
COMMEDIA:
UN MISTERO ANCORA
IRRISOLTO…
FINO A OGGI!
Gli influssi
della cultura islamica sulla Divina Commedia, frutto sublime dello
spirito medievale, hanno attanagliato uno dei rami più aggrovigliati e traballanti
della critica dantesca. L’ombra del Corano, proiettata su un capolavoro della
cristianità, era giudicata, erroneamente, scandalosa e illogica, Un mistero
ancora irrisolto nella storia della letteratura, come rivela il sottotitolo
del libro Dal Corano alla Divina Commedia, di Hafez Haidar e Orazio
Antonio Bologna, dato alle stampe da Diarkos nel settembre del 2021.
L’affascinante
teoria, difesa da numerosi studiosi, a partire da Miguel Asìn Palaciose, Maria Corti,
José Muñoz Sendino, Giorgio Levi
Della Vida ed Enrico Cerulli, poggiava su un terreno impervio e franoso. Si
supponeva che Dante fosse stato ispirato dal viaggio di Maometto, tramandato
nel Liber Meragi sive Scalae Machometi e nel Livre de l’Eschelle de
Mahomet. Alfonso X di Castiglia, infatti, dopo aver commissionato al medico
ebreo Abraham al-Fahim la traduzione
dell’opera araba, ordinò al suo notaio, Bonaventura da Siena, di trascriverla
in latino e in francese.
Per
potersi addentrare in un efficace lavoro filologico, frugare tra parallelismi e
analogie, esaminare l’aspetto escatologico e filosofico mancava, tuttavia,
l’elemento chiave: il Libro della Scala, perduto… fino a oggi.
Scovato
dal dott. Hafez Haidar in Libano e tradotto, per la prima volta, in italiano, lo
scritto è contornato da un’intrigante vicenda romanzata, della quale è
protagonista Dante in persona. La scrittura di Haidar, accattivante ed
evocativa, guida il lettore in una conoscenza profonda del Sommo Poeta, ritratto
come un uomo semplice, con le sue passioni e i suoi crucci, immerso in dolci e
dolorose memorie, che vibrano ai piedi di un camino scoppiettante, nel cuore di
una serata autunnale veronese. Tra pagine che si tingono di giallo, un
misterioso visitatore interrompe l’ispirazione poetica per consegnare a Dante,
e a tutti noi, un dono tanto prezioso quanto inaspettato: la storia del viaggio
di Maometto, il quale, in una sola notte, a cavallo di un destriero alato e
guidato dall’arcangelo Gabriele, visita i regni dell’Oltretomba fino all’ottavo
cielo, a pochi passi dal trono di Allah.
La
memoria corre istintivamente alle tre Cantiche, alla guida di Virgilio, al
Contrappasso. Che Dante avesse letto il testo islamico? Sembrerebbe di sì.
Il
professore Bologna, nella seconda parte del volume, ripercorre la tradizione
del Libro della Scala, riflettendo sulle versioni e sulle modalità
attraverso le quali esso giunse a Dante.
E
non è, questa, l’unica enorme sorpresa che Dal Corano alla Divina Commedia
nasconde. L’autore, infatti, pone l’accento su alcuni aspetti salienti ma nebulosi
della vita e dell’opera dantesca. In primis, egli rintraccia le origini
della famiglia e del cognome Alaghieri, un matronimico, ricostruendo poi gli
anni della fanciullezza e dell’istruzione per approdare alle peripezie
politiche e all’esilio.
Ma
l’intuizione più emozionante riguarda l’identificazione di Beatrice con Gemma
Donati, della quale, secondo il filologo classico, il poeta si innamorò all’età
di nove anni, così come raccontato nella Vita Nova, prima di sposarla. Il
ragionamento è condotto con razionalità e rigore, supportato da riferimenti
testuali precisi e acuti. Un’interpretazione rivoluzionaria, dunque, che
potrebbe mettere a soqquadro i manuali di letteratura italiana. Se, infatti,
sotto il nome di Beatrice si celasse quello di Gemma, andrebbero riconsiderate
tutte le teorie che, fino a oggi, sono fiorite sul sentimento adultero, sui
sensi di colpa disseminati nella Commedia e, perfino, sull’accusa di maschilismo
verso della moglie, vittima di un’inadeguata considerazione.
L’analisi
dello studioso si focalizza poi sul grande poema didascalico allegorico, del
quale viene innanzitutto messa in dubbio la consueta ambientazione cronologica.
Non l’8, ma il 5 aprile 1300, di martedì santo, sarebbe iniziato il viaggio
spirituale oltre la selva oscura, fino al raggiungimento, la domenica del 10
aprile, di Beatrice e, dunque, di una Pasqua senza fine.
Inedita
e sorprendente anche l’interpretazione allegorica delle tre fiere che popolano
il I canto dell’Inferno.
«Come
nel loro insieme le fiere costituiscono nel pensiero di Dante la somma dei
peccati che impediscono di conseguire la beatitudine, così con la somma delle
loro iniziali, L+L+L = CL, mostrano al peccatore, all’itinerante verso la
purificazione e la visione di Dio, l’antidoto più efficace: il salterio,
formato appunto da CL componimenti. Con questa allusione, mai colta neppure dai
critici più sensibili, Dante conduce il lettore alla preghiera per
antonomasia, ai Salmi, che la Chiesa adopera in tutti i riti più importanti[1].»
L’opera di Haidar e Bologna edifica un portale, folgorante e spalancato, che si affaccia sulla Commedia per dissolvere alcune ambiguità e celebrarne, ancora una volta, la grandezza, ma anche un ponte tra il grande poeta e la cultura islamica. Quel ponte, magico e ammaliante, si carica di impareggiabile genialità, originale reinterpretazione e, soprattutto, di intelligenza e sensibilità culturale. È, questa, l’immagine di Dante mirabilmente tratteggiata dalla penna di Haidar, nel suo delizioso racconto, e da quella di Bologna, nelle sue lucide e coraggiose interpretazioni.
[1] Hafez
Haidar, Orazio Antonio Bologna, Dal Corano alla Divina Commedia. Un
mistero ancora irrisolto nella storia della letteratura, Diarkos, 2021,
pag. 188.
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