Orazio Antonio Bologna, collaboratore di Lèucade |
ORAZIO ANTONIO BOLOGNA
NOTA SU
DIARIO DI BORDO
DI
GIOVANNI ANIELLO
Fornito di invidiabile formazione classica, che
traspare immediatamente nella produzione poetica, Giovanni Aniello si presenta
agli amanti della Poesia con una straordinaria e significativa silloge, il titolo
della quale Diario di bordo non è scelto a caso. Il pregevole volume arreca
l’accurata e illuminante prefazione stilata con competenza e maestria da Patrizia
Stefanelli, una delle voci più limpide della poesia contemporanea.
A mano a mano che si affronta
la lettura del volume e si passa da una lirica
all’altra, non è facile dipanare i fili, che, armoniosi e ben intessuti nella
brevità compositiva, conducono il poeta su sentieri non battuti da altri, ad avventurarsi
per sentieri innovativi per il valore assegnato al singolo lessema all’interno
di un ampio e pregnante sintagma.
Rare volte, oggi soprattutto,
per la facilità e la spudoratezza di innumerevoli scribacchini, capita di
leggere un bel libro di poesia, nel quale si concentra dottrina, brevità e
intenso lavoro di lima. Giovanni, memore degli studi classici, tiene
costantemente presente il severo monito dell’alessandrino Callimaco, ripreso
nella letteratura romana da Catullo e da Orazio. Ancorato e ammaestrato da
questa triade, che sono tuttora alla base della Poesia universale, tende lui le vele della sua solida e sicura barchetta. Il
viaggio non è facile, ma l’approdo è sicuro, perché nella densa silloge vibra
forte e sicura la voce delle Muse, le quali, dopo lungo vagare, hanno deposto
sulle labbra del poeta la dolcezza e la delicatezza del miele dell’Imetto o di Ibla.
Il poeta per la profonda
cultura e il raro senso dell’equilibrio nell’espressione poetica può senza ombra di dubbio essere additato come maestro,
come guida sicura a quanti si accingono a mettere nel mare sconfinato e periglioso
della poesia la fragile barchetta. Giovanni, infatti, non è uno sprovveduto
improvvisatore, uno spocchioso parolaio, che si abbandona senza ritegno a una
facile e accattivante verbigerazione, che qualche mente poco adusa alla poesia
considera e divulga sotto il pomposo e ancora affascinante stemma della
Poesia.
Calcando fedelmente le orme
dei grandi Poeti del passato, anche Giovanni si avventura a un’impresa non
facile. Ogni lirica, infatti, al primo impatto trasmette non solo il complesso
e travagliato mondo interiore dell’autore, ma anche la lunga gestazione nonché
i ripensamenti sull’adeguata scelta del singolo lessema e delle parestesie che
si presentano in punta di piedi, per catturare l’attenzione del lettore e
condurlo nel viaggio immaginario della memoria per esperienze nuove e
stimolanti.
Le liriche rivelano e trasmettono sensazioni
personali, esperienze provate, eventi a volte veri, a volte immaginari, che
offrono al lettore orizzonti nuovi, possibilità di viaggi verso mondi ancora
inesplorati. Ma a una lettura più serena e attenta anche il fruitore meno idoneo
a penetrare nei tortuosi meandri della Poesia incontra, in certo qual modo, un quid
che gli appartiene e lo accumuna al privilegiato viandante.
Il Poeta allora si pone al fianco del lettore e
diviene silenzioso compagno di viaggio per riversare nelle sue orecchie
riflessioni, impressioni, immagini destinate a durare tutta la vita; a coinvolgerlo
in esperienze nuove e stimolanti, perché esca dal soffocante grigiore del trito
quotidiano e volga le vele verso il mare limpido della conoscenza di sé e del
proprio essere su questa terra. Come ogni uomo anche il poeta, carpendo le
avversità dell’esistenza, col suo veliero si accinge ad attraversarla
sicuro, perché, cosciente del proprio io è solido nel vento e
delle passioni e delle traversie. La sua imbarcazione, nonostante affronti
pericolosi marosi, resiste solida, anche se sballottata e sbattuta da ogni parte
come guscio.
Questo è lo stilema che anima
e regola la poesia riversata nella silloge; questa la cifra di una nuova
esperienza, lo sfraghis, che connota un’esperienza unica e stimolante per affrontare
e decifrare le inevitabili tempeste della vita, racchiusa nella solidità del
veliero mentre si avventura in mari aperti, verso l’infinito, incontro
all’incognito. La metafora è forte, coinvolgente e, a un tempo, rassicurante
nell’alternarsi dei marosi e delle bonacce.
Nel
dipanare la sua esperienza in liriche dense e metricamente ben strutturate, il
poeta veicola suggestioni mediate da un’oggettività filtrata dalla sua
esperienza personale e, solo raramente in piena sintonia con quelle del lettore,
il quale suggestionato dall’esperienza del narrante ripercorre strade non
ancora battute e si immette in sentieri, che conducono al ritrovamento e alla
rivalutazione di valori sopiti. Nonostante la disparità di vedute e la differente
esperienza, l’interazione tra mittente e ricevente avviene immediatamente e
produce gli effetti, che la Poesia veicola in maniera impercettibile mediante
un endecasillabo o un settenario dalla struttura semplice, ma efficace, avvalorata
sovente dalla rima, il più delle volte non dissimile dalla terzina dantesca.
Per avere un’idea della solida struttura tanto strofica quanto metrica della
lirica, si riporta per intero la lirica contrassegnata col numero 10:
Cos’è
l’aldilà se il cuore vi tende
come dovesse placare un tormento?
È l’ansia del nulla che mi sorprende
come improvvisa folata di vento
o il freddo raggio che filtra fugace
nell’imbronciato mattino d’inverno?
È la preghiera di donna tenace
che
vince il tempo sfidando l’eterno.
Il
poeta in pochi versi concentra la meditazione sulla brevità e fugacità della
vita: echeggia, infatti, il motivo tante volte espresso da Orazio, come
nell’ode a Postumio, e proposto in maniera esemplare in versi pregni di altissimo
lirismo. Giovanni, detto per inciso, è un ottimo conoscitore della lirica
prodotta dal celebre ed immortale poeta romano. Per cui non è strano che,
suggestionato dalle considerazioni del venosino, il poeta ripeta in modo del
tutto personale e all’interno di una cultura del tutto diversa, le istanze che
assillano ogni uomo: l’idea e la realtà della morte. Per questa differente maniera
di proporre un tema così urgente e impellente, è il caso di parlare di arte
allusiva e, rendendo omaggio al grande poeta del passato, si avverte la necessità
di rilevare in questa breve lirica l’agnizione di letture introiettate e
riproposte in chiave attuale.
Nella
breve lirica balza subito agli occhi del lettore la struttura semplice e solida
dell’endecasillabo, costruito mediante un linguaggio semplice, colloquiale e,
se non veicolasse il complesso messaggio di un tema universale, addirittura
banale. È, questo, il miracolo della matura e incallita esperienza poetica, che
mediante il linguaggio ordinario travalica l’immediato, il contingente e ciò che
è transeunte e schiude orizzonti nuovi.
L’incombente presenza dell’aldilà con
l’incognita realtà che offre titubanze e timori anche al credente, offre al
poeta motivi di riflessioni estensibili a ogni uomo. Nel primo verso, pur
volendo per un attimo accantonare la presenza di Orazio, si vede chiaramente il
noto apoftegma senecano cotidie morimur, si muore giorno dopo giorno,
fin dalla nascita; e l’uomo, consapevole di questa realtà si arrovella mediante
incubi e immagini inspiegabili, in un continuo tormento interiore, perché la
limitata esperienza non gli permette di sondare il complesso e inimmaginabile
mondo ultraterreno. Alla fine della lirica, però, il poeta lascia uno spiraglio
alla speranza nella preghiera di donna tenace, perché, come scrive nella
lirica 2, tutti siamo sbattuti senza meta o una ragione / siam resti di
naufragi alla deriva / nel mare burrascoso della vita.
Anche
in questa pericope il poeta allude chiaramente a quanto scrive Orazio nell’ode
14 del secondo libro. Si avverte chiaro, infatti, nella rielaborazione di
Giovanni, la trasparenza di un discorso comunicativo e trova il polo di attrazione
e tensione nell’apparente opacità della comunicazione poetica. Ciò è favorito
dalla struttura della metafora, la quale, invece di costituire una difficoltà,
coinvolge e accomuna il lettore nella lotta di ogni giorno. Non sfugge, ancora,
la tramatura del disegno poetico e narrativo, concepito all’interno di un
costrutto metrico-sillabico di rara efficacia. Anche il ritmo diventa più leggibile,
più trasparente senza i ghirigori, i quali, sovrapponendosi alla trasparenza di
una velina, siano di ostacolo all’immediatezza della comunicazione.
Solo in questo modo il discorso poetico, centrato
su se stesso, mentre rinvia al prototipo, diventa realtà autonoma e assume
valore assoluto. Questa realtà, acquisita da Giovanni con lo studio e un
paziente tirocinio, si insinua nello iato, costituito dalle norme del discorso
naturale e quelle insite nell’espressione poetica. Queste due realtà, che, se
non ben controllate, dànno origine a un discorso poetico sciatto e senza senso,
trovano nella poesia di Giovanni Aniello una sintesi felice e feconda.
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