Sauro
Pardini (1926- 1985) geometra professionista da sempre appassionato di pittura,
si è formato alla scuola del gruppo livornese di pittori, che seguiva. La mattina presto si
recava sulle colline pisane con NATALI, RONTINI, DA VICCHIO… e da loro
apprendeva la tecnica, anche se in lui era innate immaginazione e creatività.
Lo steso Natali diceva che “Pardini ha nell’anima figure e immagini che prima o poi sarebbero venute
fuori in forma di arte”. E così è stato. Le sue figure sono date dalla magia dei suoi
pennelli, che lo accompagnavano sempre
ovunque si recasse. Speso insieme si andava a visitare luoghi e campagne, ma
lui tirava fuori, quando meno te l’aspettavi, le sue armi e si incantava
davanti a quei quadri destinati a diventare sfogo del suo animo. Un vero poeta.
Anche nella vita e nel comportamento era
buono, sincero, leale, sempre disponibile verso gli altri. La sua bontà era
proverbiale, come lo era la sua generosità. Le figure dei quadri non erano
quelle che lui vedeva in natura, ma quelle che venivano filtrate dal suo animo.
I contadini, le donne, gli uomini, le case, sono quelli che lui immaginava
dovessero essere. Spesso mi chiedeva se
un quadro era riuscito o no, ed io gli rispondevo che erano poesie parlanti,
immagini loquaci, amori e sentimenti che prendevano forma. Peccato che la morte l’abbia raggiunto presto,
perché avrebbe potuto dare molto ancora al mondo della pittura.
GUIDO MIANO EDITORE
NOVITÀ EDITORIALE
È uscito il libro di poesie e prose:
HOC MIHI CONTINGAT di NAZARIO PARDINI
con prefazione di Maria Rizzi
Pubblicato il libro di poesie e prose “Hoc
mihi contingat” di Nazario Pardini, con
prefazione di Maria Rizzi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido
Miano Editore, Milano 2022.
«Questo mi tocchi in sorte: sia
ricco, a ragione, chi può sopportare la rabbia del mare e le tristi piogge…»
(dalla prima Elegia di Albio Tibullo). Un Sogno agreste, l’onore e la gioia più
grandi che “mi potessero capitare in sorte”, è scrivere sul Poeta che ho
seguito “Alla volta di Lèucade”, ovvero nell’isola dalle acque color cobalto,
famosa per il tuffo di Saffo dalla rupe e per essere divenuta il suo universo
artistico, il blog di poesia più importante d’Italia, dove moltissimi amici
dediti a varie forme di cultura si ritrovano per confrontarsi, crescere,
arricchirsi. Con il Poeta ho vissuto la magia di Tra gli scaffali della Biblioteca; autori illustri di ogni epoca uscivano
dai tomi e si ritrovavano a discutere in allegro convivio. Ho visitato i Dintorni di vari suoi sentimenti e ho
incontrato Delia, la Beatrice del nostro tempo, nella quale è stato così bello
identificarmi.
Ed eccoci al
Sogno agreste e «ai tempi in cui vibrando sul suo stelo / ogni fiore evapora
come un incensiere»; il titolo del prosimetro è elegiaco, la dedica in esergo e
i versi appena citati sono tratti dalla poesia Armonia della sera di Charles Baudelaire, tanto caro a Pardini e alla sottoscritta.
Scivolo in quest’Opera di versi e prosa, a occhi chiusi, nella scia del sogno
di Tibullo, convinta che mi stia toccando in sorte
qualcosa di immeritato, di sublime.
Il viaggio si divide in cinque tappe:
Elegie; Dalla vita dei campi; Alla
ricerca di voci; Attorno al focolare;
Massime. Nella sezione Elegie il Poeta mi conduce,
nell’apparente tristezza dei colori autunnali: «Melanconico autunno,
non dirò / delle foglie morte che stamani / tu dissemini sopra il mio sentiero,
/ e nemmeno dei colori moribondi / di cui ti impreziosisci; ma stamani / mi
piace ricordarti quell’autunno / che tanto melanconico non era, / anzi
sprizzava gioia tutto attorno / c’era lei, ti ricordi, e le tue foglie…» (Melanconico autunno). È tipico del
Professor Pardini cedere alla saudade solo in apparenza e soprattutto associare
alla melanconia quella che Victor Hugo definiva «la felicità di essere tristi»,
che può sembrare un ossimoro, ma è la dimostrazione che la malinconia non sarebbe
possibile senza memoria. «C’era lei, ti ricordi e le tue foglie…» e c’era
Laura, «…Laura. I suoi occhi di un celeste marino / traevano la profondità /
dagli abissi del cielo che, trafitto / dal passo degli uccelli si spargeva /
tra i raccolti; fu proprio dal padre / che aveva ereditato l’amore per i
campi…» (Laura e il bosco degli ulivi).
I versi composti con l’inchiostro e con il
sangue per il Babbo («Non mi ricordo
più se sei esistito, / babbo. Ho soltanto l’immagine sfuocata, / che vedo ogni
giornata al cimitero…») e per la Mamma («Ma
tu sei stata giovane? / Hai baciato mio padre nel tempo dell’amore? / Oppure
hai conosciuto solo la miseria / senza poter distrarti dai giochi della vita…»)
rompono gli stampi, ci presentano un Poeta nudo, che io tengo stretto, mentre
non si vergogna di piangere in mezzo alla strada. Pardini ci insegna il
coraggio del dolore. In effetti dimenticare la sofferenza è difficilissimo, ma
ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non lascia cicatrici da
mostrare. Dalla quiete impariamo molto poco. Il Poeta dimostra che il dolore è
un Maestro: sotto il suo soffio lievitano le anime. Sono accanto a lui nel
percorso accidentato delle isole della memoria. Com’è difficile chiedere a una
madre se ha baciato il padre, eppure da ragazzi ce lo siamo domandato tutti.
Lui svela l’inesprimibile. I genitori sono stati sagome tatuate sulla pelle del
tempo e non li si immaginava ardenti, appassionati, uomini e donne come gli
altri. Ci sarebbe sembrato quasi peccaminoso.
Io l’ho pensato e scopro che «Ciò che tocca in sorte» consente al Poeta di
accendere i nostri rimpianti, le nostre domande.
A stemperare l’atmosfera
tinta dello spleen di Baudelaire, esplode la musica, il battito che ci porta
sul sentiero dell’armonia. Il poeta rivede le sue donne; Delia non poteva
mancare, è figura del mito e le sono concesse molte vite a differenza dei
personaggi del romanzo, vincolati a una sola esistenza. «Delia e i tuoi sorrisi
/ Delia le vesti bianche / Delia i tuoi occhi neri / e la pelle scura / e la
paura candida / mia Delia, / quando correvi sola. / Vibravano le vette in mezzo
al cielo / t’accompagnava un canto / su per un manto verde / dove si perde
ancora il tuo sorriso / ed il mio viso a stento / ritrova bianche perle / ai
bordi della vita» (A Delia). La
definisco mito non in senso favolistico; Delia incarna l’amore del Poeta, poco
importa darle il vero nome, assurdo inquinare l’incanto dei versi con i rimandi
al reale. E mentre vivo questo Sogno agreste fermo la brama di ascoltare come liuto
«…la (sua) voce nel pieno dicembre» (Alla
mia donna), e scopro che Delia, l’estasi eterna, nell’Elegia che ci
trascina, torna a trovarci in prosa, anelito irrisolvibile, vitale, figura
umilissima e sovrana dei cosmici perché del respiro del Poeta. «Delia, gli
alberi affogano la loro miseria fra le nubi del cielo ed io fra la miseria
degli uomini ho bisogno di te, stasera. Quando il cielo cade su noi, sento che
mi chiami e il viale impoverito dalla brezza affilata che il Serchio alimenta,
stringe al suo seno l’ultimo respiro delle pallide foglie: come è triste vedere
la notte quando l’amore sostiene la vita» (Delia).
Il cuore della natura pulsa in sintonia con
questo testo campestre e marittimo, che è l’habitus perfetto del Professor
Pardini. Empatia assoluta con i miracoli poetici del Creato, «L’alba respira
aria di luce, / ma gronda la nebbia dal
colle, / rifugia campi deserti, / uccelli esperti di semi…» (Aria di luce). Lo confesso, anelo a
essere l’aria che abita nel Poeta per un momento, solo uno. Vorrei
passare inosservata, ma essergli necessaria. Tante le melodie che vagano in
essa e occorre fare attenzione a non calpestarle. Io devo limitarmi a svolgere
un ruolo di spettatrice, pur sapendo di condividere l’amore immenso per il mare
con il Poeta. Entrambi siamo legati ai versi del caro Baudelaire: «…Il mare è
il tuo specchio / contempli la tua anima nel / volgersi infinito della sua
onda…».
Albio Tibullo e il poeta de I fiori del male sono il filo conduttore
di quest’avventura attraverso i ricordi, la malinconica nostalgia,
l’idealizzazione dell’amore e il rapporto empatico con la Natura delle Elegie.
Come nel meraviglioso testo Tra gli
scaffali della biblioteca, si conoscono, sfidando le epoche lontane, le
tematiche diversissime, i lessici distanti. Si incontrano per volontà della
sottoscritta che si è ostinata a trovare un punto d’unione tra i due
nell’ambito di questa eccellente Opera. Il prosimetro non è un genere nuovo al
Nostro. Altri suoi testi giocano sull’alternanza di poesia e prosa, che
affascina e riporta alla Vita nuova
di Dante, ma anche ad autori contemporanei come Dino Campana con la raccolta Canti Orfici. Definito la forma informe per eccellenza, si accorda benissimo, come
strofa di una sinfonia musicale, con le poesie in metrica, conferendo
all’andamento della versificazione carattere altalenante, tipico di una
metricità intenzionalmente interrotta, spezzata. Grazie al prosimetro è
possibile dare un profondo senso di svolgimento e interiorità a una
vicenda personale, riaffermando con una sensazione intimistica il vero valore
della Poesia. L’autore in Hoc mihi contingat
realizza esattamente questa visione ampia ed esaustiva del proprio mondo
lirico.
Alle poesie lunghe,
immaginifiche, se ne accostano altre, aforismi o distici, esempi luminosi
dell’arte della brevità: «Siamo sperduti nel cielo / su un corpo / senza luce»
(Solitudine); «E tutti attendiamo su
spazi ristretti, / respiri di cieli lontani» (Cieli lontani). Ricorre in questi due cammei il tema del rapporto
dell’uomo con il cielo, e d’altronde, per rimanere nel Sogno agreste tibulliano
e per potermi legare all’estratto in prosa mi sento di asserire che anche la
foglia di un albero è lo sforzo senza fine della terra di comunicare con il
cielo. Il Poeta scrive: «Il cielo si spegne lentamente, fuori il freddo secco
lascia deserte le strade. Le porte appena si aprono e subito chiudono i loro
soffocati interni al mondo che li circonda. La luna che ci rischiara osserva
quasi pietrosa quei movimenti che da eterno si ripetono: i colori sono gli
stessi, le figure si perdono nel buio, restano ombre spoglie in questa serata
d’inverno che richiama alla mia mente fuochi, castagne, deboli vinelli chiari,
romanze, tanti volti di campagna rossi ed allegri scomparsi, lasciando soli i
loro inverni» (Inverni solitari). E
se non è poesia questo distillato… Gli autunni, queste stagioni che preparano
mirabilmente il solenne adagio dell’inverno. Paul Verlaine scriveva: «I lunghi
singhiozzi / dei violini d’autunno / mi feriscono il cuore / con monotono
languore…» e si accorda, forse, questo aforisma con la melanconia che il Poeta
celebra nei suoi versi.
La seconda tappa del
viaggio Dalla vita dei campi è
introdotta, in esergo, da alcuni versi della prima Elegia di Tibullo e sento di
dover salutare Baudelaire, lasciandolo sulla battigia a osservare questo
percorso d’amore nelle radici, nella patria interiore e fisica del Poeta.
«…Corro col mio cuore, / corro con la mia mente, / oltre quel campo in fiore /
accanto alla mia gente» (La mia gente).
Il cuore fa i suoi voli, non si può fermare, e più passa il tempo e più torna
indietro, quasi avvertisse l’esigenza di ricuperare ogni atmosfera, ogni
sapore, ogni miracolo quotidiano. Nazario Pardini ritrova le fatiche dei campi,
l’attesa dei frutti, dimostra come amare la vita attraverso il sacrificio
significhi penetrarne il segreto più profondo. «Guardavo la mia terra / al
tramonto / quando la fatica del mio corpo / equivaleva ad un campo rimosso…» (Stanco mi riposo). Si adagia con gli
occhi rapiti sui “silenzi serali”, sensazioni oggi in esilio, in mezzo al
frastuono, come angeli caduti: «…Silenzi di serate / adagiate sui rumori del
giorno / mi ronzano d’intorno / quando il cielo ricopre / una lunga voce / che
viene da lontano» (Silenzi di serate).
Sembra di visitare un paesaggio onirico di echi e musiche lontane… I quadri che
si susseguono in questa sezione sono un grande tributo al poeta latino,
prediletto dal Nostro, per la connotazione unica che attribuiva al modo di
comporre, infatti nelle sue Elegie era solito annunciare un tema che riprendeva
alla fine e, soprattutto, lasciava che le immagini si succedessero per
evocazione e per analogia una dopo l’altra come in un sogno. Proprio di Tibullo
era lo sfondo campestre, un mondo ideale rappresentato tramite versi vividi nei
quali proiettava il suo desiderio di pace e serenità continue.
Il viaggio con il Poeta ci
conduce alla terza tappa Alla ricerca di
voci, una raccolta di detti toscani e bucolici in genere, che mettono in
luce l’uomo eterno fanciullo che non si lascia intrappolare dalla rete degli
anni, che non si arrende a essere di ritorno dall’avventura dell’esistenza e
che ci ricorda che «c’è voluto del talento per invecchiare senza
diventare adulti» (J. Brel). Ne menziono un paio: «Se la botte non gruma / in
tuo vino sa di spuma»; «Se il tosto è nel campo / per ora non c’è scampo».
Ed eccoci ad Attorno al focolare, ovvero a un
capitolo di struggenti racconti brevi, che nulla concedono allo scontato. Lo
dimostra il primo brano Lettera a mio
figlio, che ricorda nella forza del contenuto la famosa omonima
composizione di Rudyard Kipling. Pardini, infatti, scrive: «Figlio mio, ama la
libertà, la democrazia, l’alternativa, il confronto! Contribuisci ad esaltare
quei paesi dove tale libertà regna e si compie. Puoi vivere in pace con la tua
anima, se la tua anima è in pace con se stessa. Lotta per un potere che ti
permetta di esprimere le tue idee, che ti permetta di contribuire col tuo
potenziale umano al progresso degli uomini». Un lascito testamentario di
altissimo valore morale e di profondo impegno civile. Altri racconti come Sulla groppa di un delfino mettono in
rilievo l’aspetto dicotomico del Poeta, legato al mondo bucolico, ma con le ali
spalancate sul mare, e la sua creatività narrativa. Attinge al realismo magico
perché coniuga magistralmente elementi astratti, quasi legati alla favola, ad
altri veritieri. La poliedricità dell’Artista è riscontrabile anche in prosa,
infatti i testi sono diversi per tematiche, costrutto, svolgimento, metodo
narrativo. Per sconfiggere la morte,
per esempio, ci trasporta in un paesaggio surreale e di rara, tragica
originalità. Superbo il nerbo letterario del Poeta, che in quest’Opera continua
a rivelarsi, dando prova peraltro della sua incredibile vena attuale. Gigante
dei giorni nostri, Poeta legato all’elegiaco artista nato nel
L’ultima tappa del prosimetro è dedicata alle Massime, aforismi che inducono a spunti
di riflessione sulle ancestrali verità dell’esistenza. «Della morte accetto la
fine, ma non accetto il nulla»; «La solitudine è una compagnia troppo
rumorosa»; «L’assenza di noi è noia, la nostra coscienza è il malessere di
esistere». Ne cito soltanto tre, consapevole di far torto a un Artista così
assoluto da far tremare le montagne e increspare le onde del mare. E gli sono
infinitamente grata di avermi concesso di attraversare tanti universi al suo
fianco, è stato tutto così travolgente che «per poco / il cor non si spaura»
per dirla in termini leopardiani.
Mi congedo dal Poeta con nostalgia e con la
consapevolezza che le persone che sognano si riconoscono: hanno negli occhi un
velo di ironica dolcezza, la malinconia addormentata agli angoli della bocca,
dietro le spalle profumo di zolle, sulle mani il sale del mare.
Maria Rizzi
Nazario Pardini, Hoc mihi contingat, pref. Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano
2022, pp. 184, isbn 978-88-31497-79-4, mianoposta@gmail.com.
Ho letto molto della produzione poetica di Nazario Pardini, affascinato dalla profondità delle emozioni che suscita e contemporaneamente dai riferimenti letterari, celati nelle sue liriche.
RispondiEliminaNon ho letto, ma mi propongo di farlo, questa nuova opera che si svolge sul doppio registro della poesia e della prosa, ma l’analisi critica di Maria Rizzi è così articolata, profonda ed evocativa che, associata alla mia conoscenza dell’anima di Nazario, mi dà quasi la sensazione di averla letta. Una sorta di miracolo comunicativo, di cui Maria è capace.
La doppia vicinanza della poesia di Baudelaire e di quella di Tibullo è una costante della poetica di Nazario Pardini, un modo geniale, che attraverso questo percorso letterario di millenni, riesce a esprimere la modernità di un sentire struggente, malinconico, sensuale, talvolta languido, intrinseco all’uomo di tutti i tempi. Ancora un modo per ribadire l’universalità temporale e spaziale del messaggio poetico. La modernità delle liriche di Pardini sta però nella originale rivisitazione dei temi fondanti della poesia classica. Anche qui è presente la musa ispiratrice, Delia, una sorta di Beatrice, ma molto più pregnante e concreta rispetto alla figura intellettualizzata dantesca. Delia è allo stesso tempo il ricordo delle pulsioni giovanili, la guida concreta e spirituale alle esperienze esistenziali, ma soprattutto la sintesi sublime dell’universo femminile del poeta.
La poetica di Nazario non si ferma qui, cioè alla rivisitazione di temi poetici classici, ma va oltre come Maria Rizzi ci dice in maniera perfetta nell’analisi di questa opera.
Un nuovo stadio si aggiunge al sentire malinconico Baudelairiano, è la possibilità di un riscatto rispetto a una concezione pessimistica tipica in generale della poesia, il riscatto che si realizza attraverso il raccordo con la terra, la propria terra che è stata stesso tempo contesto e protagonista della sua esistenza, con le piccole cose che hanno resa la vita più lieve e gioiosa. Non sono quelle di Nazario, le piccole cose nella declinazione pascoliana che accentuano il dolore cosmico e di cui esse svolgono una funzione simbolica, sono le cose concrete che hanno dato e continuano a dare un senso all’esistenza, le fatiche dei contadini, i frutti della terra, i tramonti, i silenzi serali, l’intimità di un focolare…
Non si ferma ancora questa ricchezza esperienziale ed espressiva, ma va oltre, prosegue nel sogno, una dimensione onirica, che in qualche modo era stata sommessamente annunciata nella fase precedente, dove l’elemento bucolico ci connette alla magia del mare, sempre presente nella poesia di Nazario, di cui Leucade, con le sue acque cristalline e le sue suggestioni mitologiche è espressione sublime. Il mare come sogno, mistero, ma non in senso leopardiano dove naufragare nel nulla eterno, bensì la testimonianza pregnante della bellezza che è continuità oltre la vita.
Carissima Maria, grazie per questa ricca esegesi dell'ultima opera di Nazario Pardini. L'ho letta con grande interesse apprezzando ogni concetto , ogni parola. Tu ci sei sempre per tutti. Un esempio di quali dovrebbero essere i rapporti tra poeti e amici di uno stesso gruppo. La poesia è rivoluzionaria e può aiutarci a migliorare noi stessi e il mondo. Mi accingo anch'io, con tutti i miei limiti, ad una recensione del bellissimo libro del Nostro. Lo farò con tanto affetto. A te un abbraccio e un ringraziamento.
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