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venerdì 11 febbraio 2022

NAZARIO PARDINI LEGGE: "SINFONIA DEL MARE" DI GUGLIELMO APRILE


         Mi parlarono le onde


Risuonano tra le onde eco disperse

di altre voci, di uomini

vissuti in altre età, boati e gemiti

di Atlantidi dimenticate, il rombo

di uragani e naufragi

anche se per la distanza smorzato

si prolunga nel rantolo

della risacca che cresce dal largo

e che parla alla spiaggia, e le confessa

il remoto martirio di qualcuno

che si annegò, e di cui si ignora il nome;

e brandelli riemergono

di rotoli e di codici, in un vortice

di spume, avvolti dalle alghe, cocci

alla rinfusa, formule sbiadite

da acqua e sale, di rune e di saghe,

e tavole ma infrante tra gli scogli

e pagine di silice ma in pezzi

con sopra incise e quasi cancellate

le prime leggi e stralci del racconto

di come ebbe origine il mondo;

e sull’acqua prendono forma a volte

i tratti di quello che sembra un volto.

Mare, di fronte a te, sulle tue sponde

a lungo siedo, da solo, in ascolto.

 

 

E’ iniziando dalla poesia incipitaria che si può andare da subito nel cuore della poesia dell’autore. La natura investe anima e corpo di Aprile, lo fa suo lo anima, tanto che la può ascoltare e dialogare con essa. Il poeta si siede sulla sponda del mare, per ascoltarlo, per viverlo in tutta la sua espansione empatica. E quale può essere l’immagine che più si avvicina al nostro essere, alla nostra vicissitudine esistenziale, se non il mare con la sua portata d’infinita estensione, quella a cui l’uomo ambisce fin dalla sua nascita, con la sua irrequietezza data dalle onde che non trovano mai riposo. E’ nel mare, nella sua reificazione che il poeta trova se stesso, il suo mondo, la sua esistenza. Il verso  si fa fluente e armonico, atto a trasformare in verbo ogni palpito vitale. Tutto è rappresentato con dovizia di particolari, con simboli che ci conducono a noi stessi, alla vita, al cuore di un canto che pulsa per energia epigrammatica. Qui tutto si fa concretezza esistenziale, tutto si anima di una storia che riguarda quella dell’uomo, del suo esistere:  “Risuonano tra le onde eco disperse/di altre voci, di uomini/vissuti in altre età, boati e gemiti/di Atlantidi dimenticate, il rombo/di uragani e naufragi/anche se per la distanza smorzato/si prolunga nel rantolo/della risacca che cresce dal largo/e che parla alla spiaggia, e le confessa/il remoto martirio di qualcuno/

che si annegò, e di cui si ignora il nome…”. Il mistero, la morte, la vita, l’uomo, il suo mondo emotivo, la sua storia di ricerca e di avventura: ibi omnia sunt. “e brandelli riemergono/di rotoli e di codici, in un vortice/di spume, avvolti dalle alghe, cocci/alla rinfusa, formule sbiadite/da acqua e sale, di rune e di saghe,/e tavole ma infrante tra gli scogli/e pagine di silice ma in pezzi/con sopra incise e quasi cancellate/le prime leggi e stralci del racconto/di come ebbe origine il mondo…”. Tutto si fa vero, emozionante, schietto; il poeta vive la sua storia, quella dell’uomo da che è nato, la sua avventura di ricerca e di coscienza; è nel mare che  vede riflessa la vita, del vagabondare, del desiderio insaziabile di verità, da cui quella irrequietezza che caratterizza l’essere mortale. La verità,  non  è possibile conseguirla e per questo l’essere umano sarà sempre insoddisfatto del suo esistere: …”L’occhio ogni crepa e ogni anfratto interroga/della falesia: setaccia le mappe/rugose della roccia, cerca indizi/che svelino quale indice/sulle labbra del mare sia posato;/ma tacciono gli scogli: il comando ebbero/di non tradire un oscuro divieto,/di obbedire al silenzio e alla sua legge,/e trattengono, per ora, il segreto.”. Il poeta chiede al mare se può rispondere a domanda che non hanno soluzione, tutto si fa silenzio, tutto è nel vago di una legge che ci vede esseri tormentati dal fatto di esistere. E la silloge si chiude con una riflessione che più umana non potrebbe essere; l’uomo non potrà mai avere risposte  definitive sul suo esistere né tanto meno sulla sua vicenda: “…inesauribile, e di nuovo tenta/accanendosi con abnegazione/ostinata ed inutile in un compito/che da millenni assorbe ogni suo sforzo/ma che non avrà mai una soluzione:/il libro decifrare in cui è scritto/il mondo, e l’esegesi sciogliere/definitiva della creazione.”. Questo è il tormento dell’essere, della sua storia: questioni che non avranno mai una soluzione, l’uomo è destinato a vivere con interrogativi che ingoiano risposte.


Nazario Pardini


                                                     

GUGLIELMO APRILE

 

Sinfonia del mare

 


Nota bio:

 

Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona. È stato autore di alcune pubblicazioni di poesia (“Il dio che vaga col vento”, 2008; “Primavera indomabile danza”, 2013; “L’assedio di Famagosta”, 2015; “Il talento dell’equilibrista, 2018; “Elleboro”, 2019; “Farsi amica la notte”, 2020) e di studi critici sulla poesia del Novecento e su alcuni classici della tradizione letteraria italiana.

 

DAL TESTO 



Origliando alle porte del mare

  



Mi parlarono le onde

 

 

Risuonano tra le onde eco disperse

di altre voci, di uomini

vissuti in altre età, boati e gemiti

di Atlantidi dimenticate, il rombo

di uragani e naufragi

anche se per la distanza smorzato

si prolunga nel rantolo

della risacca che cresce dal largo

e che parla alla spiaggia, e le confessa

il remoto martirio di qualcuno

che si annegò, e di cui si ignora il nome;

e brandelli riemergono

di rotoli e di codici, in un vortice

di spume, avvolti dalle alghe, cocci

alla rinfusa, formule sbiadite

da acqua e sale, di rune e di saghe,

e tavole ma infrante tra gli scogli

e pagine di silice ma in pezzi

con sopra incise e quasi cancellate

le prime leggi e stralci del racconto

di come ebbe origine il mondo;

e sull’acqua prendono forma a volte

i tratti di quello che sembra un volto.

Mare, di fronte a te, sulle tue sponde

a lungo siedo, da solo, in ascolto.



Frontiera

 

 

Statue di schiuma e sale, sentinelle

dalle corazze di tufo, custodi

di un sacrario, si ergono

 

di guardia alla distesa delle acque:

torri senza ordine sparse, avamposti

diroccati che affacciano

 

su una soglia invisibile, e sorvegliano

un dominio proibito, dai confini

volubili, che la risacca

 

ora fissa e ora disfa, eterna posta

di una contesa tra onda e terraferma,

avversarie a sfidarsi su ogni costa.

 

L’occhio ogni crepa e ogni anfratto interroga

della falesia: setaccia le mappe

rugose della roccia, cerca indizi

 

che svelino quale indice

sulle labbra del mare sia posato;

ma tacciono gli scogli: il comando ebbero

 

di non tradire un oscuro divieto,

di obbedire al silenzio e alla sua legge,

e trattengono, per ora, il segreto



È come se abbia un suo segreto, il mare

 

I 

Gli uomini lo interrogano

a lungo, ma egli non svela

da dove a dove perpetri il suo viaggio,

sferzando la biga delle onde,

 

né quale fu la causa del suo esilio;

mare, perché non parli,

e perché sembra che alzi

con le onde un muro di fronte ai tuoi figli

 

e ai loro sguardi?

 

 

 (...)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. Molto bello; una lettura così partecipe sgorga da un animo cje non posso non sentire affine al mio; in particolare la sete di un oltre, che rincorre le onde, era proprio quanto volevo si cogliesse dal testo. Grazie!

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