Mi
parlarono le onde
Risuonano
tra le onde eco disperse
di altre
voci, di uomini
vissuti
in altre età, boati e gemiti
di
Atlantidi dimenticate, il rombo
di
uragani e naufragi
anche se
per la distanza smorzato
si
prolunga nel rantolo
della risacca
che cresce dal largo
e che
parla alla spiaggia, e le confessa
il
remoto martirio di qualcuno
che si
annegò, e di cui si ignora il nome;
e
brandelli riemergono
di
rotoli e di codici, in un vortice
di
spume, avvolti dalle alghe, cocci
alla
rinfusa, formule sbiadite
da acqua
e sale, di rune e di saghe,
e tavole
ma infrante tra gli scogli
e pagine
di silice ma in pezzi
con
sopra incise e quasi cancellate
le prime
leggi e stralci del racconto
di come
ebbe origine il mondo;
e
sull’acqua prendono forma a volte
i tratti
di quello che sembra un volto.
Mare, di
fronte a te, sulle tue sponde
a lungo
siedo, da solo, in ascolto.
E’
iniziando dalla poesia incipitaria che si può andare da subito nel cuore della
poesia dell’autore. La natura investe anima e corpo di Aprile, lo fa suo lo
anima, tanto che la può ascoltare e dialogare con essa. Il poeta si siede sulla
sponda del mare, per ascoltarlo, per viverlo in tutta la sua espansione
empatica. E quale può essere l’immagine che più si avvicina al nostro essere,
alla nostra vicissitudine esistenziale, se non il mare con la sua portata
d’infinita estensione, quella a cui l’uomo ambisce fin dalla sua nascita, con
la sua irrequietezza data dalle onde che non trovano mai riposo. E’ nel mare,
nella sua reificazione che il poeta trova se stesso, il suo mondo, la sua esistenza.
Il verso si fa fluente e armonico, atto
a trasformare in verbo ogni palpito vitale. Tutto è rappresentato con dovizia
di particolari, con simboli che ci conducono a noi stessi, alla vita, al cuore
di un canto che pulsa per energia epigrammatica. Qui tutto si fa concretezza
esistenziale, tutto si anima di una storia che riguarda quella dell’uomo, del
suo esistere: “Risuonano tra le onde eco
disperse/di altre voci, di uomini/vissuti in altre età, boati e gemiti/di
Atlantidi dimenticate, il rombo/di uragani e naufragi/anche se per la distanza
smorzato/si prolunga nel rantolo/della risacca che cresce dal largo/e che parla
alla spiaggia, e le confessa/il remoto martirio di qualcuno/
che si
annegò, e di cui si ignora il nome…”. Il mistero, la morte, la vita, l’uomo, il
suo mondo emotivo, la sua storia di ricerca e di avventura: ibi omnia sunt. “e
brandelli riemergono/di rotoli e di codici, in un vortice/di spume, avvolti
dalle alghe, cocci/alla rinfusa, formule sbiadite/da acqua e sale, di rune e di
saghe,/e tavole ma infrante tra gli scogli/e pagine di silice ma in pezzi/con
sopra incise e quasi cancellate/le prime leggi e stralci del racconto/di come
ebbe origine il mondo…”. Tutto si fa vero, emozionante, schietto; il poeta vive
la sua storia, quella dell’uomo da che è nato, la sua avventura di ricerca e di
coscienza; è nel mare che vede riflessa
la vita, del vagabondare, del desiderio insaziabile di verità, da cui quella
irrequietezza che caratterizza l’essere mortale. La verità, non è possibile
conseguirla e per questo l’essere umano sarà sempre insoddisfatto del suo
esistere: …”L’occhio ogni crepa e ogni anfratto interroga/della falesia:
setaccia le mappe/rugose della roccia, cerca indizi/che svelino quale indice/sulle
labbra del mare sia posato;/ma tacciono gli scogli: il comando ebbero/di non
tradire un oscuro divieto,/di obbedire al silenzio e alla sua legge,/e
trattengono, per ora, il segreto.”. Il poeta chiede al mare se può rispondere a
domanda che non hanno soluzione, tutto si fa silenzio, tutto è nel vago di una
legge che ci vede esseri tormentati dal fatto di esistere. E la silloge si
chiude con una riflessione che più umana non potrebbe essere; l’uomo non potrà
mai avere risposte definitive sul suo
esistere né tanto meno sulla sua vicenda: “…inesauribile, e di nuovo
tenta/accanendosi con abnegazione/ostinata ed inutile in un compito/che da
millenni assorbe ogni suo sforzo/ma che non avrà mai una soluzione:/il libro
decifrare in cui è scritto/il mondo, e l’esegesi sciogliere/definitiva della
creazione.”. Questo è il tormento dell’essere, della sua storia: questioni che
non avranno mai una soluzione, l’uomo è destinato a vivere con interrogativi
che ingoiano risposte.
Nazario
Pardini
GUGLIELMO
APRILE
Sinfonia del mare
Nota
bio:
Guglielmo
Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona. È stato autore di
alcune pubblicazioni di poesia (“Il dio che vaga col vento”, 2008; “Primavera
indomabile danza”, 2013; “L’assedio di Famagosta”, 2015; “Il talento
dell’equilibrista, 2018; “Elleboro”, 2019; “Farsi amica la notte”, 2020) e di
studi critici sulla poesia del Novecento e su alcuni classici della tradizione
letteraria italiana.
Origliando alle porte del mare
Mi
parlarono le onde
Risuonano
tra le onde eco disperse
di
altre voci, di uomini
vissuti
in altre età, boati e gemiti
di
Atlantidi dimenticate, il rombo
di
uragani e naufragi
anche
se per la distanza smorzato
si
prolunga nel rantolo
della
risacca che cresce dal largo
e
che parla alla spiaggia, e le confessa
il
remoto martirio di qualcuno
che
si annegò, e di cui si ignora il nome;
e
brandelli riemergono
di
rotoli e di codici, in un vortice
di
spume, avvolti dalle alghe, cocci
alla
rinfusa, formule sbiadite
da
acqua e sale, di rune e di saghe,
e
tavole ma infrante tra gli scogli
e
pagine di silice ma in pezzi
con
sopra incise e quasi cancellate
le
prime leggi e stralci del racconto
di
come ebbe origine il mondo;
e
sull’acqua prendono forma a volte
i
tratti di quello che sembra un volto.
Mare,
di fronte a te, sulle tue sponde
a
lungo siedo, da solo, in ascolto.
Frontiera
Statue
di schiuma e sale, sentinelle
dalle
corazze di tufo, custodi
di
un sacrario, si ergono
di
guardia alla distesa delle acque:
torri
senza ordine sparse, avamposti
diroccati
che affacciano
su una soglia invisibile, e sorvegliano
un dominio proibito, dai confini
volubili, che la risacca
ora fissa e ora disfa, eterna posta
di una contesa tra onda e
terraferma,
avversarie a sfidarsi su ogni costa.
L’occhio
ogni crepa e ogni anfratto interroga
della
falesia: setaccia le mappe
rugose
della roccia, cerca indizi
che
svelino quale indice
sulle
labbra del mare sia posato;
ma
tacciono gli scogli: il comando ebbero
di
non tradire un oscuro divieto,
di
obbedire al silenzio e alla sua legge,
e trattengono, per ora, il segreto
È come se abbia un suo segreto, il mare
I
Gli
uomini lo interrogano
a
lungo, ma egli non svela
da
dove a dove perpetri il suo viaggio,
sferzando
la biga delle onde,
né
quale fu la causa del suo esilio;
mare,
perché non parli,
e
perché sembra che alzi
con
le onde un muro di fronte ai tuoi figli
e
ai loro sguardi?
Molto bello; una lettura così partecipe sgorga da un animo cje non posso non sentire affine al mio; in particolare la sete di un oltre, che rincorre le onde, era proprio quanto volevo si cogliesse dal testo. Grazie!
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