Pagine

lunedì 4 aprile 2022

MARIA RIZZI LEGGE: "SAMPIETRINI DI LUCA GIORDANO"

 

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Maria Rizzi su Sampietrini di Luca Giordano edito da Marcianum Press

 

Il titolo dell’ultima Silloge dell’amico antico Luca Giordano è già promessa di scelta diversa, di salto nelle verità dell’esistenza. I blocchetti di leucitite utilizzati per realizzare il lastricato stradale del centro storico di Roma e di Piazza San Pietro ci introducono in un viaggio lirico di quattro sezioni: Sampietrini, Vivere, Nomi, Mare. Il libro è nudo. Bianca e semplice la copertina, nessuna prefazione, solo una breve post - fazione. Si evince la volontà del Poeta di dare voce soltanto ai versi e alla loro potenza. Luca, nella prima parte, presenta Roma, la città dei fasti e della gloria, da un nuovo punto di vista. La introduce, con la discrezione che lo caratterizza, come paese abitato da un milione di persone, come metropoli di giardini, quartieri e periferie e come città di persone comuni, di diseredati, di ultimi, senza arrogarsi mai il diritto di sentenziare, anzi riuscendo a vestire di poesia le immagini che passano inosservate o possono sembrare tristi. “Nella città la pioggia mattutina / ha colorato alcuni ciuffi secchi./ C’è un’aria mossa, come cristallina, / le pozzanghere sono degli specchi. / In due seduti su d’una panchina / si son scordati lì d’essere vecchi” - la lirica “Largo Ravizza”-.  Il distico finale di questo componimento di una purezza incandescente è rappresentativo del mondo di Luca. Due estranei seduti vicini dimenticano lo scorrere del tempo nella melodia di un giorno nuovo, dell’aria trasparente dopo la pioggia.  E la Silloge nuda è già vestita. Un ritratto comune, anonimo, che passa inosservato a tutti, viene sublimato dalla sensibilità del Poeta, e commuove. Luoghi che rendono la capitale ‘principessa’ sembrano trasformarla di colpo in cagna che si lecca le ferite. In realtà è solo il punto di vista che cambia. Diviene quello del romano, che guarda dal basso la città che ama. Struggenti i versi della lirica “Lungotevere degli inventori”, caratterizzati dall’arte della sottrazione, come moltissime poesie del testo. “Tremano le foglie al tocco del vento. / Un lampione è nuca che s’allontana. / C’è una tristezza che toglie il respiro, / i passi che hanno un ritmo conosciuto./ Alzo la testa: è arrivata la notte”. Le rare metafore sono incisive come lame e le chiuse hanno il sapore delle piccole grandi rivelazioni. Leggendo si ha sempre più l’impressione che il Nostro conosca i segreti dell’essere Poeta: sollevare i quotidiani veli di Maya evitando di calarsi nel mistero e nel confine . In “Portico D’Ottavia” la storia personale di Luca si affaccia timida e non gonfia d’orgoglio come potrebbe. “La patina antica delle rovine /graffiate dalle unghie dei deportati. / Io, muto come le colonne scure, / mi ricordo i racconti di cinque ebrei / nascosti a casa nostra e poi salvati.” I versi di una lirica di dieci versi, scandiscono a suon di ottonari il mondo sommerso di Roma: “…e continuo sulla strada. / Vedo un vecchio tutto rughe, le sue mani tartarughe, il Bastone fa da spada./ Poi il Foro, un po’ di cielo, / i barboni son vissuti, / i turisti un po’ sperduti, / i lampioni con lo stelo. / E nel flusso dei pedoni / tutti sembrano più buoni”. - la lirica “Via IV Novembre” - . Sento di dover riportare per intero alcune poesie, non solo in virtù della loro brevità, ma dell’importanza che l’Autore attribuisce a ogni parola. Nella sezione Vivere il viaggio di Luca si focalizza sulle persone. Straordinaria la lirica che apre la sezione “Passa dal corpo il cielo”: “Passa dal corpo il cielo / trova spazio e colore / la rete dei tessuti. / Non è solo terreno /la trama, questo intreccio / che pure mi attraversa”. Il pensiero va a Salvador Dalì, di fronte a questo dipinto. Egli asseriva che “Il cielo non si trova né sopra né sotto, né a destra né a sinistra, è esattamente nel centro del petto dell’uomo che ha fede”. Luca è uomo che scrive dal basso, ma è teso alla verticalità. Lo dimostrano i versi sugli amici, ‘i suoi amici prediletti’, con i quali trascorre le ore libere, ovvero i disabili, coloro che sanno rendere le debolezze punti di forza. “Stessi sempre con voi, / amici, quando lui / ci ridarà il corpo, / che anche il suo amore / passa dalla bocca, / dagli occhi, le mani. / Percorre l’udito, / passa dalla pelle”. - la lirica “Stessi sempre con voi” -. Il Poeta, teso ad arco verso tutti gl aspetti dell’esistenza, è ovvio che scorga negli alberi, miracoli del creato, capacità d’espressione, che legga la loro anima. “Canta presto il pesco, / lancia un grido rosa / verso il cielo, brucia / subito il colore” - la lirica “Grido rosa” -. Luca sembra desiderare che la natura entri negli esseri umani come i raggi del sole filtrano le fronde degli alberi. I suoi versi parlano sempre più di pietas, di quel sentimento che etimologicamente indica amore, compassione e rispetto: “Non si nasconde tra la folla un corpo / che randagio per le strade è tradito / dalle tracce della solitudine. / Si ruppe come un oggetto fragile. / Poteva essere amica, uomo, / bambino da crescere, figlia amata” - estratti da “Vagabondi” - . Nella terza parte della Raccolta dedicata ai Nomi il Poeta offre ritratti di persone conosciute e di elementi poetici della natura, come “Daniela”, l’uccello dalle “lunghe zampe e becco grande”, che “salta nel cielo”. Quel cielo che passa attraverso i nostri corpi, è penetrato dalle grida del pesco, dai voli notturni di infinite ali … diviene nostra sostanza e terra di infinita scoperta per gli elementi della natura. Bellissima la figura di “Maria”  “Vivere diventa quasi morire, / come se non ci fosse altro da fare. / Ieri però è tornato quel ragazzo / venuto come acqua quando hai sete. / E finalmente ti sei presa il caffè. / La morte si è staccata dalla pelle”. La chiusa è in levare, ma racconta ancora la storia di una straziante solitudine interrotta da un gesto di solidarietà. Non si muore una sola volta. La fine è già nel derma delle creature abbandonate, rese scarti della società. Luca accarezza ognuno di loro e provoca in molti di noi, allenati all’indifferenza,  sussulti nelle coscienze. L’ultima sezione è per il Mare, elemento infinitamente caro al cuore del Poeta.”Avevo già quindici anni, / avevo il corpo asciutto. / Un vento senza soste / mi confondeva i sensi. Nel tuffo raccoglievo / frutti di mare al fondo. / Mi pareva che tutto / fosse per me: la terra / il mare, anche le stelle”- tratti da “Avevo già quindici anni -. D’altronde il mare permette la libertà dell’impossibile, dà alle braccia ciò che l’aria offre alle ali. Baudelaire scriveva: “Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio / contempli la tua anima / nello svolgersi infinito della sua onda”. E Luca gli fa eco: “Tempesta contro il solido strapiombo / soffiando forte il vento mi confonde. / Qui tutto si fa canto, non rimbombo” - tratti da “Sulla scogliera batte la risacca”- . La Poesia senza orpelli del Nostro cresce nelle varie sezioni e nell’ultima ci appare in abito da sposa, tra le creste delle onde, il fragore dei flutti, pur restando fedele ai concetti - chiave della Silloge. La distesa marina, infatti, non ha paese, è di tutti coloro che la stanno ad ascoltare, a est e a ovest, dove nasce e muore il sole. Il cielo, che si fa corpo nei versi di Luca, è l’altro volto del mare, l’uno continua a specchiarsi nell’altro in eterno, senza mai congiungersi. Ho l’impressione che l’amore del Poeta per l’azzurro infinito

esprima la convinzione che solo il mare possa perdonare i nostri inverni. La Silloge di Luca Giordano dimostra una volta di più che la Poesia è dentro, non fuori di noi. E che spesso sono i profondi solchi, le rughe dell’esistenza ad aprire la strada al suo cammino… 

 

Maria Rizzi

 

 

 

3 commenti:

  1. Profonda come non mai l'esegesi di Maria Rizzi su questa grande opera di Luca Giordano. "Sampietrini" è Roma, ferita, bella anche se vestita di stracci. E Maria coglie al volo la profonda umanità di questa silloge.
    Congratulazioni a lei e a Luca ed un abbraccio al nostro Condottiero che permette questi incontri sulla sua Isola!

    Loredana D'Alfonso

    RispondiElimina
  2. Profonda come non mai la recensione di Maria Rizzi sull' opera di Luca Giordano. In primo piano Roma, fragile, ferita, dimora degli ultimi, pietra di inciampo ed Araba fenice.
    Luca Giordano si conferma un grande poeta, esaltato da questa splendida esegesi.
    Complimenti a Luca e a Maria e un abbraccio al nostro Condottiero che permette di incontrarci sulla sua Isola!

    Loredana D'Alfonso

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lory mia, hai recensito prima di me la Silloge di Luca e ne conosci tutte le sfumature. Sei con noi in ogni vicenda artistica e te ne sono infinitamente grata. Un abbraccio fortissimo.

      Elimina