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lunedì 4 aprile 2022

NAZARIO PARDINI LEGGE: "ALLA RICERCA DELLE PAROLE DEFINITIVE" DI EMMA MAZZUCA

 



Alla ricerca delle parole definitive

Un viaggio per  mari aperti; verso orizzonti sapidi di misteri

 

Tramonta il sole. Appende i suoi raggi davanti

a noi come un’arpa. Vedo le tue mani pronte

a farsi grandi per suonarmi una canzone.

Le tue mani che hai  dimenticato tra i fiori di campo, una

mattina che eravamo seduti sull’erba.

Che hai lasciato sul mio tavolo e ti sono corsa

dietro chiamando, ma non ti ho raggiunto

Le tue mani che hai dimenticato dentro la mia

vita legate a un nastro azzurro e che ora tengo

nel mio zaino da viaggio e ormai non potrò più

restituirtele. In questo periodo sto pensando

di tornare in quel Borgo. Là c’è una chiesa.

Appena entri, a destra, trovi un angelo senza

mani, dipinto duecento anni fa. Le donerò a lui.

 

Enjambements, creazioni, invenzioni emotive, soprassalti ispirativi, Borgo delle memorie, Chiesa, le mani… Tutto assume significanza personale e oggettiva in questa poesia zeppa di emozioni. Una lirica in cui la poetessa  dà tutta se stessa per riattivare un amore nato e cresciuto troppo in fretta e che ora crea immagini di fuoco e di malinconia. 

L’opera prende il via da quattro citazioni di

autorevoli scrittori: Shakespeare, Proust, Pitagora, Pirandello.

Gli esergo da cui si procede sono un po’ l’antiporta dell’intera opera, il tragitto emotivo esistenziale del tutto. A me piace citarne uno in particolare: quello di Pitagora: Il silenzio è meglio di tante parole insignificanti.  

Poesia snella, fresca, avvincente quella di Emma Mazzuca, che con il suo verso espanso, armonico e rotondo, riesce a coprire tutti gli spazi dell’umano esistere. La sua espressione ontologica è alla ricerca continua del termine, della parola, del sintagma per dire quello che dentro esulta. ALLA RICERCA DELLE PAROLE DEFINITIVE, il titolo della silloge che con il suo percorso epigrammatico rovescia sul foglio ogni battito cardiaco che dentro le suona. L’opera si suddivide in due sezioni: L’orlo della vita e La riva delle attese.

 Molti sono gli input che denotano l’amore e il fatto di esserci. Una poesia ampia abbondante la sua che spesso si identifica con la voce prosastica, si può dire senza  dubbio che il suo poema è di positura estesa, dove il verso si amplifica e si nutre di stimoli interiori. Questa è la sua poesia il suo fremito ontologico, dove sono contenuti gli abbrivi dell’animo della Nostra. Già partendo dalla prima composizione si può andare nel profondo del suo esistere a livello stilistico e contenutistico: “… dal desiderio del cielo./Ma vedi, sono costretta anch’io/ e ai piedi, umile , è una tomba/e quando soffia il vento autunnale/ sono vento anch’io.” (Sono vento anch’io). La creatività della Mazzuca si estende  come un campo di grano non ancora biondeggiante: cinguettio, una fronda, desiderio del cielo, ai piedi umili, una tomba, vento autunnale, vento anch’io. Tanti  motivi personali che danno forza e ardore alla abundantia creativa della scrittrice. La parola corre fluente in preda di un animo vòlto a concretizzare le emozioni e i palpiti che dentro fremono. L’accostamento delle parole in iuncturae significanti offre l’idea della sua forza immaginifica. Tutto si fa limpido e chiaro, e quello che appare è la necessità di sfogare i patemi che dentro urgono. Il verso ampio e articolato, più vicino ad uno stile prosaico che tradizionale di sinestesie endecasillabi, rivela un mondo interiore complesso. Posso dire senza alcun dubbio di conoscere la poetica della Mazzuca, avendole fatto commenti e prefazioni; e qui quello che emerge è proprio la novità della composizione, una nuova stesura morfosintattica, un nuovo modo di fare poesia, dell’aspetto scritturale, del suo sintagma e del suo patema, frutto di una ricerca attenta e puntigliosa della parola. Molte le poesie che   ci parlano della sua solitudine, della sua malinconia, della sua timidezza, del suo sfogo, e dei suoi ricordi belli o brutti. Insomma un mondo interiore che trova nella parola  il sistema di rappresentare la sua identità: E i mattini arsi dal gelo, Ma ti vorrò ghermire, Ora si sogna, Io vedo l’immagine, Rito del crepuscolo, Se almeno una volta si potessero pronunciare parole definitive…, , Oh uomo che a guardarti sembri, fino a Il mistero delle cose. Una abbondanza di  materiale creativo che denota ampiezza e profondità di intenti, di emozioni e riflessioni sulla vita e il suo dilemma. Un vero viaggio, un nostos, che si sviluppa su mari infiniti pieni di trabucchi e scogli, su cui l’imbarcazione può cozzare lasciando alla deriva tavole sperse; ma la  nostra non dispera. Ne prende una scampata e si dirige verso  l’isola dei sogni:

 

La parola fu detta per sempre.

Tu supponi che suoni una musica

degli angeli sul mio tavolo…

Nel silenzio che manda la terra

questo secolo è caduto nel mio petto

unica notte unica distanza

quando a me parlerà suprema.       

 

Nazario Pardini

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