Alla
ricerca delle parole definitive
Un
viaggio per mari aperti; verso orizzonti
sapidi di misteri
Tramonta
il sole. Appende i suoi raggi davanti
a noi
come un’arpa. Vedo le tue mani pronte
a
farsi grandi per suonarmi una canzone.
Le tue
mani che hai dimenticato tra i fiori di
campo, una
mattina
che eravamo seduti sull’erba.
Che
hai lasciato sul mio tavolo e ti sono corsa
dietro
chiamando, ma non ti ho raggiunto
Le tue
mani che hai dimenticato dentro la mia
vita
legate a un nastro azzurro e che ora tengo
nel
mio zaino da viaggio e ormai non potrò più
restituirtele.
In questo periodo sto pensando
di
tornare in quel Borgo. Là c’è una chiesa.
Appena
entri, a destra, trovi un angelo senza
mani,
dipinto duecento anni fa. Le donerò a lui.
Enjambements,
creazioni, invenzioni emotive, soprassalti ispirativi, Borgo delle memorie,
Chiesa, le mani… Tutto assume significanza personale e oggettiva in questa
poesia zeppa di emozioni. Una lirica in cui la poetessa dà tutta se stessa per riattivare un amore
nato e cresciuto troppo in fretta e che ora crea immagini di fuoco e di
malinconia.
L’opera prende il via da quattro citazioni di
autorevoli
scrittori: Shakespeare, Proust, Pitagora, Pirandello.
Gli
esergo da cui si procede sono un po’ l’antiporta dell’intera opera, il tragitto
emotivo esistenziale del tutto. A me piace citarne uno in particolare: quello
di Pitagora: Il silenzio è meglio di tante parole insignificanti.
Poesia
snella, fresca, avvincente quella di Emma Mazzuca, che con il suo verso espanso,
armonico e rotondo, riesce a coprire tutti gli spazi dell’umano esistere. La
sua espressione ontologica è alla ricerca continua del termine, della parola,
del sintagma per dire quello che dentro esulta. ALLA RICERCA DELLE PAROLE
DEFINITIVE, il titolo della silloge che con il suo percorso epigrammatico
rovescia sul foglio ogni battito cardiaco che dentro le suona. L’opera si
suddivide in due sezioni: L’orlo della vita e La riva delle attese.
Molti sono gli input che denotano l’amore e il
fatto di esserci. Una poesia ampia abbondante la sua che spesso si identifica
con la voce prosastica, si può dire senza
dubbio che il suo poema è di positura estesa, dove il verso si amplifica
e si nutre di stimoli interiori. Questa è la sua poesia il suo fremito
ontologico, dove sono contenuti gli abbrivi dell’animo della Nostra. Già
partendo dalla prima composizione si può andare nel profondo del suo esistere a
livello stilistico e contenutistico: “… dal desiderio del cielo./Ma vedi, sono
costretta anch’io/ e ai piedi, umile , è una tomba/e quando soffia il vento
autunnale/ sono vento anch’io.” (Sono vento anch’io). La creatività della
Mazzuca si estende come un campo di
grano non ancora biondeggiante: cinguettio, una fronda, desiderio del cielo, ai
piedi umili, una tomba, vento autunnale, vento anch’io. Tanti motivi personali che danno forza e ardore alla
abundantia creativa della scrittrice. La parola corre fluente in preda di un
animo vòlto a concretizzare le emozioni e i palpiti che dentro fremono.
L’accostamento delle parole in iuncturae significanti offre l’idea della sua
forza immaginifica. Tutto si fa limpido e chiaro, e quello che appare è la
necessità di sfogare i patemi che dentro urgono. Il verso ampio e articolato,
più vicino ad uno stile prosaico che tradizionale di sinestesie endecasillabi,
rivela un mondo interiore complesso. Posso dire senza alcun dubbio di conoscere
la poetica della Mazzuca, avendole fatto commenti e prefazioni; e qui quello
che emerge è proprio la novità della composizione, una nuova stesura
morfosintattica, un nuovo modo di fare poesia, dell’aspetto scritturale, del
suo sintagma e del suo patema, frutto di una ricerca attenta e puntigliosa
della parola. Molte le poesie che ci
parlano della sua solitudine, della sua malinconia, della sua timidezza, del
suo sfogo, e dei suoi ricordi belli o brutti. Insomma un mondo interiore che
trova nella parola il sistema di
rappresentare la sua identità: E i mattini arsi dal gelo, Ma ti vorrò ghermire,
Ora si sogna, Io vedo l’immagine, Rito del crepuscolo, Se almeno una volta si
potessero pronunciare parole definitive…, , Oh uomo che a guardarti sembri,
fino a Il mistero delle cose. Una abbondanza di materiale creativo che denota ampiezza e
profondità di intenti, di emozioni e riflessioni sulla vita e il suo dilemma. Un
vero viaggio, un nostos, che si sviluppa su mari infiniti pieni di trabucchi e scogli,
su cui l’imbarcazione può cozzare lasciando alla deriva tavole sperse; ma
la nostra non dispera. Ne prende una
scampata e si dirige verso l’isola dei
sogni:
La
parola fu detta per sempre.
Tu
supponi che suoni una musica
degli
angeli sul mio tavolo…
Nel
silenzio che manda la terra
questo
secolo è caduto nel mio petto
unica
notte unica distanza
quando
a me parlerà suprema.
Nazario
Pardini
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