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venerdì 31 marzo 2023

Federica Prontera " La ballata delle madri "

 

LA BALLATA DELLE MADRI

Un testo fin troppo espressivo ed efficace nel suo messaggio lanciato ad una Roma periferica, reso costantemente attuale ed evocativo di una figura di donna assai ricca di storie e di poesia.

Una lucida e violenta analisi dell’Italia offertaci da Pier Paolo Pasolini che, nell’intera raccolta “Poesia in forma di rosa”, offre a noi lettori l’opportunità di aprire gli occhi grazie alla sua arte non del tutto fine a se stessa. Un ritratto delle nostre madri, elogiate e dipinte con tratti variopinti che contrastano col grigiore della quotidianità cui siamo dediti. Madri lontane dalle visioni di creatrice, scrigno d’istinti e di amore concepito, quanto piuttosto madri come frutto e strumento di una società borghese e che quindi, contro i loro ideali, contro la loro volontà e contro il loro passato di bambine umili, educano alla crescita una nuova generazione di mediocri, timorosi e famelici uomini borghesi.

Madri vili, madri mediocri, servili e feroci. Madri che amano, immerse nel nostro odio, nei nostri compromessi nella nostra viltà che è sempre alle nostre spalle pronta a conoscerci. Madri quindi rese povere, deturpate e invecchiate dalle loro paure, dal continuo timore per la loro impotenza e che amano “i resti della festa” che, forse involontariamente, offriamo.

Madri che diventano feroci nel momento in cui trovano un adattamento ad un ambiente che non compete loro e lo rammentano ai loro figli, gelose di conservare un segreto nel loro petto degno di una “integrità di avvoltoi”, un’anima non compromessa da nascondere e da difendere per sfruttare il nostro diritto di camminare. Vili perché ci preferiscono “superbi”, ambiziosi e orgogliosi piuttosto che dimessi e immobili nelle nostre lacrime; uomini che rispondono alle domande dell’esistenza vivendo in una realtà che ha fatto della vita un dolore, il “selvaggio dolore di essere uomini”.

RAMPINI-COMMENTO

Potrebbero esserci mille motivi per cui stasera ce l’ho tanto con voi, vi sento intenti scrivere a macchina nei vostri uffici, con le vostre sigarette e le vostre maniche di camicia. Il vostro sorriso quando vi incrocio nei corridoi sembra conciliante e cordiale, ma quando vi osservo e non ve ne accorgete voi avete lo stesso aspetto amichevole della mia ulcera. Mi chiedo spesso che razza di uomini voi siate.

 

Ma soprattutto mi chiedo: che madri avete avuto? Se ora le vostre madri vi potessero guardare in questo vostro mondo a loro sconosciuto e lontano, perché la maggior parte delle vostre madri sono rimaste al paese o in campagna, non hanno idea di quel che siete diventati, di cosa fate, perché lo fate e cosa pensate. Quale sarebbe l’espressione dei loro occhi, se fossero lì proprio ora mentre scrivete i vostri “pezzi” imbevuti di maniere eleganti, scorrevoli e densi come il miele solo per chi per il vostro interesse amate lisciare, ma così ruvidi, spietati e ciechi contro chi non la pensa come voi? Voi scrivete queste amenità e passandole ai vostri redattori per la stampa, secondo gerarchia, mi chiedo se le vostre madri capirebbero chi siete veramente.

 

Le vedo come se fosse ora le vostre madri, esse hanno la viltà disegnata nel viso, ma non una viltà qualsiasi che ognuno può riconoscere facilmente per le strade, negli ospedali, nelle scuole o negli uffici, ma una viltà scolpita dal tempo in ogni ruga del loro viso. Ed ora le facce pallide delle vostre madri appaiono come sfingi, impenetrabili e disperatamente lontane da ogni ragione del cuore, sedimentate sotto chilometri di cieco e aprioristico moralismo.

Poverine, queste vostre madri, così preoccupate che i loro figli si sottomettano con cura quando vanno a chiedere un posto di lavoro, che non alzino mai la cresta, che non abbiano a suscitare invidie, perché in fondo bisogna sempre guardare alla pagnotta, ma soprattutto per imparare a farsi scudo di ogni sentimento che permetta almeno un lampo fortuito di pietà.

 

Sono così mediocri queste vostre madri, sempre così pronte a darvi quegli esempi che esse stesse hanno imparato con la remissività di dolci bambine, che da sempre guardano il mondo nella loro crudezza e non si chiedono  mai se nell’esistere possa esservi gioia o dolore. L’ho ben presente la mediocrità delle vostre madri, voi bambini davanti ai loro visi seri l’unica forma d’amore che avete conosciuto è quello muto delle bestie, che pure le bestie un cuore ce l’hanno, guardano i loro cuccioli e li accudiscono con tenerezza. Ma sappiate che il cuore ammutolito delle vostre madri ha sempre avuto buone orecchie, perché per avere un cuore di pietra devi pur sapere cosa vuol dire un cuore tenero, quindi avverti anche tu i suoi richiami, ma vi assisti impotente, schiacciata da una volontà superiore.

 

Per questo vi dico che le vostre madri sono abituate da secoli ad essere serve e a chinare il capo. E’ vero, per fare un figlio è necessario fare l’amore, ma per queste vostre madri il fare l’amore è sempre stato come nutrirsi di nascosto degli avanzi della festa, mangiare in fretta e poi scappare via per la vergogna. In questo modo vi è stato insegnato come il servo possa essere felice solo facendo le scarpe al suo simile, ed è peggio di una guerra tra poveri, perché infine anche i poveri riescono a dividere qualche misero resto. Ma chi non ha mai conosciuto altro che l’essere servo tradisce in silenzio il suo vicino, e lo fa con la gioia e la sicurezza di chi è convinto di esser nel giusto.

 

Quindi madri feroci, impegnate costantemente a difendere il poco che hanno, e quel poco che hanno dà loro una gioia borghese, che dà loro un confortevole senso di normalità ed uno stipendio che arriva regolare ogni 27 del mese. E lo fanno con pervicacia, con una rabbia assurda e sproporzionata come di chi si vendichi di un sopruso o sia stretto sotto chissà quale assedio. Queste madri feroci vi hanno inculcato ben bene che l’unica cosa importante nella vita è sopravvivere ad ogni costo, di pensare solo a voi e di non avere mai pietà per nessuno. Perché se un avvoltoio prova pietà per la sua vittima è certo che presto o tardi morirà di fame. Anche gli avvoltoi hanno un loro senso morale e voi dovete custodirlo con cura!

 

Ora eccole là le vostre madri: vili, mediocri, serve e belve feroci, è per questo che non si vergognano nel sapervi impegnati in ogni specie di ignominia. Anzi, esse vanno fiere di voi e così deve andare il mondo, senza mai una speranza di cambiamento. Un luogo di eterni dolori, in cui si è resi fratelli da un comune senso di distruzione, di lotte e guerre sanguinose, e dal rifiuto ormai diventato viscerale di tentare una volta tanto un modo diverso di essere uomini. Perché in fondo un modo ci sarebbe: sarebbe sufficiente imparare a vivere il nostro “selvaggio” istinto naturale. Ma non ne siamo capaci, il Potere e il Conformismo ci danno l’illusione di poter vivere e morire con meno dolore.

SINATRA-COMMENTO

Dopo aver letto più volte la “Ballata delle madri”, ho riflettuto sulla possibilità che essa debba essere considerata in relazione ad un “contenitore” molto più ampio. Mi spiego meglio. Leggendo questa poesia mi è venuto in mente il discorso fatto quel giorno a lezione sul contenitore e sull’importanza di imparare a starci dentro. Ma quale contenitore? Perché la mia sensazione è che stiamo parlando di più contenitori collocati uno dentro l’altro come una matrioska.

A questo ricordo ne ho associato un altro. Il professore, quel giorno a lezione (il 2 novembre), ha fatto una premessa alla poesia. Egli ha preferito leggerci Pasolini quella mattina piuttosto che l’articolo pubblicato su “La Repubblica”.

A questo punto, scelgo di scrivere un resoconto sul perché mi siano venute in mente queste cose.

Chi sono le madri a cui si riferisce la poesia? Sono madri giudicanti, preoccupate, vigliacche, codarde, fredde, impotenti, protettive, egoiste. Chi sono i figli di queste madri? Sono schiavi, servi, persone accondiscendenti, egoiste.

Ma di quali madri stiamo parlando? Come Edoardo ha scritto nel suo resoconto, è irritante questa generalizzazione. Non rivediamo le nostre madri in quelle descrizioni, neanche le nostre nonne. Forse qualcuno, però, ne ha rivisto dei tratti comuni.

Ma, nell’ultimo capoverso, Pasolini dice:

“È cosi che vi appartiene questo mondo:

fatti fratelli nelle opposte passioni,

o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo

a essere diversi: a rispondere

del selvaggio dolore di esser uomini.”

Certamente è una critica, un giudizio aspro che Pasolini rivolge nei confronti della sua epoca, espressione dello sconforto per una civiltà perduta. Penso che nella nostra società odierna, questo stato d’animo che ha ispirato Pasolini, possa essere rivisto in molti italiani delusi da una politica fallimentare, da un economia in bilico, da una cultura fin troppo accondiscendente e tesa a “non offendere anime privilegiate” e caratterizzata dal “rifiuto profondo a essere diversi”, dalla non accettazione della diversità.

Non siamo, forse, tutti inseriti in un contenitore molto più grande chiamato Italia? Facciamo tutti parte di questo contenitore. Questo mondo ci appartiene e siamo protagonisti delle vicende che accadono al suo interno. Il nostro relazionarci con il contesto inevitabilmente ne determina dei cambiamenti. Così la politica e le elezioni; l’economia e la nostra “abitudine” a non chiedere la ricevuta fiscale; i tassi che cadono in picchiata minacciando i nostri conti correnti; sono tutti effetto delle nostre relazioni.  Mi viene in mente una nostra precedente lezione con il professore Montesarchio in cui si parlò di “cultura mafiosa”. Forse bisognerebbe iniziare a rifletterci. Riflettere quindi sulle nostre modalità di stare dentro il contenitore Italia. Un Italia questa, di cui noi siamo i figli.

In precedenza avevo accennato ad una matrioska. Penso che all’interno di questo grande contenitore, esistono altri contenitori più piccoli, ma facenti parte del sistema, del contenitore culturale più grande. Mi riferisco all’Università, alle lezioni. Noi che ci definiamo “un gruppo in formazione”, facciamo fatica a capire che siamo noi a dare senso al contenitore cui apparteniamo. Siamo noi e le nostre relazioni nel blog a dare senso al contesto. Credo che sia questa l’importanza di commentare i post del gruppo, cosa che fin’ora io non ho fatto ma che mi propongo di fare. Una riflessione, questa, propositiva riguardo alla possibilità che noi abbiamo di intervenire nei contesti in cui viviamo tramite la relazione.

 

 

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