IL MISTERIOSO CAMMINO VERSO LA TERRA PROMESSA
“Perché
dunque profughi per sempre?” (si chiede Nazario Pardini principiando a
prefazionare l’opera di Giusy). E se ne dà subito la spiegazione: “La ragione
sta nel fatto che è proprio della nostra condizione sentirsi profughi; esseri
in cerca di una verità difficilmente raggiungibile.” .
Siamo in cerca di una patria che sentiamo appartenerci e
tuttavia ci sfugge: quando pensiamo di averla raggiunta, si sposta ma non
troppo, quel tanto che occorre per scivolare più in là, dove ancora possiamo
vederla e immaginarla cosicché più ardente divenga il desiderio, la bramosia di
raggiungerla.
Bene: la prima cosa che va fatta, se si vuole integralmente
partecipare all’ispirazione poetica della Frisina, è astenersi dallo sforzo di
capire, d’indagare sulla reale o presunta esistenza di quella che potremmo -
senza tema di smentita - considerare la Terra
promessa.
D’altro canto, fin dall’inizio, tutto vuole la Nostra tranne
che nascondersi. Anche quando, in una sorta di trasfigurazione, prende le
sembianze del mare, non lo fa per camuffarsi bensì per mostrarsi come realmente
è:“Sul dolce mare intanto volo piano / e
mi ricopro ancora di salmastro / e di azzurra speranza / in modo che solo mi
riconosca chi sa / il codice segreto del mio cuore [. . .].
Se, quindi, c’è una chiave per entrare nell’anima della
Scrittrice, Ella la mette a disposizione di chi - come lei - ha scelto di
disfarsi della maschera, con la quale si copre il volto, affinché risulti
leggibile ogni sfumatura, ogni dettaglio, atti a stabilire una comunicazione
autentica ed efficace. Vestito dei profumi di salmastro, illuminato dalle
azzurrità del mare: così dovrà presentarsi il suo interlocutore per aiutarla
nella comune ricerca di ciò che tutti noi siamo.
Siamo fuggiaschi, e chiamiamo profughi coloro che mettono a
repentaglio la loro vita, coloro che salgono sui barconi consapevoli che
affonderanno, che scelgono il mare per morire e non la guerra; coloro che
lasciano la terra-madre con nessuna speranza di farvi ritorno.
E noi? Fermi, apparentemente immobili sui divani di fronte
al televisore, noi non sappiamo andare loro incontro. Noi che ci sentiamo al
sicuro dentro le nostre stanziali esistenze, sempre uguali a se stesse. Se solo
riflettessimo un istante ci renderemmo conto del nostro naufragio, che
continuamente avviene dai tempi dei tempi.
Il tema trattato è di assoluta attualità se si pensa agli
sbarchi che si susseguono ininterrottamente sulle coste meridionali del nostro
Paese: il Doloroso Sud, come lo
percepisce la poetessa fin dalla lirica d’esordio: cinque versi che
rappresentano una finestra che si apre sulla cronaca e, nondimeno, sulla crisi
della modernità e del suo effimero progresso.
Ecco: il giusto approccio all’opera non consiste nel
soffermarsi sulla pur disumana migrazione dei popoli del cosiddetto terzo
mondo, cosa sulla quale non insiste - e
fa bene - neppure l’Autrice, riservando al fenomeno la giusta considerazione ma
senza rischiare di cadere nel retorico pietismo, che poco gioverebbe sia alla
causa sia alle finalità di una raccolta che non si accontenta e vuole scavare
in profondità.
Il proposito della Frisina è, sì, quello di denunciare; non
soltanto però le ragioni che inducono a fuggire chi migra ma - paradossalmente
- anche i motivi che spingono tutti gli uomini ad un altro genere di fuga, come
bene si evince dall’esergo dedicatorio posto in testa alla silloge, che recita così: A chi fugge per ritrovarsi.
Allontanarsi, eludere le bombe di ogni specie: quelle che
piovono dagli aerei così come quelle che esplodono dentro di noi minando la
nostra integrità di pensiero, facendoci perdere la volontà che anima il nostro
desiderio di pace e d’armonia, di luce e di bellezza.
Ciò che sta succedendo e che ci fa paura non deve
immobilizzare le nostre azioni rendendoci in qualche modo complici della assuefazione
all’indifferenza, al contrario, deve invece fornirci il vigore necessario per
fare autocritica a livello soggettivo prima ancora che collettivo e generale. È
partendo dallo scandaglio interiore e individuale che si può rendere migliore
anche la società.
Ritengo di poter sostenere che la condizione di profuga non
la fa soffrire più di quanto ella patisca la continua ricerca di una verità che
le sfugge e alla quale, caparbiamente, non smette di aspirare.
Leggiamo insieme questo lacerto, tratto da Risveglio di seppia: “[. . .] Mi chiedo se basterà / Il canto
degli uccelli / E la bianca luce ad attutire / Questa condanna originale / Se
la misericordia promessa / Per le nostre stimmate / Potrà mai / Cancellare
tutto il male / Guerre di viscere e di popoli / Fame infinita di naufragi / E
ingiustizie perenni. / Tutto questo fragore / di secoli immani / Tutta questa
inaudita tristezza che scroscia / Sul bagnasciuga dei pensieri [. . .].
È dunque una condanna quella che ci è stata inferta: una
condanna originale, come originale è stato il nostro peccato. Ci siamo voluti
subito affrancare dalle leggi infallibili della natura e del divino per sostituirle
con i nostri codici, presuntuosamente convinti che fossero migliori. E adesso -
croce in spalla - saliamo sul nostro calvario con la speranza di ritrovare ciò
che prima abbiamo volontariamente rifiutato.
Che lo si accetti o no, questa è la nostra condizione; uno
stato al quale possiamo sottrarci in rari momenti di plenitudine che, tuttavia,
non sono in grado di darci le risposte che vorremmo se non limitatamente al
breve periodo di levità e di grazia che ci recano.
La Frisina - come tutti - ne è consapevole, ciononostante
non si arrende e s’impegna nell’esplorazione di se stessa per rinvenire quelle
orme che - non si sa quando, non si sa come - la condurranno alla Terra Promessa. Un’ostinazione che trova
sostegno nel verbo, nella parola.
Vi ringrazio per l’attenzione e vi lascio con
la lettura dei versi più esemplificativi del suo poièin. Da Poeti: “Andammo senza sapere
/ Senza capire dove /. . . ./ Eravamo il noi inafferrabile / La sola coscienza
d'essere / Il Nulla e il Tutto / La casa e il vento e le foglie / il volo degli
uccelli nel mattino / E l'urlo del mare nella notte / La quiete del primo
giorno / Dopo il diluvio.”.
Sandro Angelucci
PROFUGHI PER SEMPRE. GIUSY FRISINA. BLU DI PRUSSIA ED. MONTE CASTELLO DI VIBIO. 2019. Pp.68
Grazie al caro Sandro per questa sua profonda lettura del mio libro, in un tempo in cui interno ed esterno più che mai coincidono. Sono convinta che chi legge con occhio critico ed empatico come Angelucci sappia aiutare lo stesso autore a decifrare i suoi stessi versi che spesso provengono da altrove. Ho scoperto grazie a lui che la terra promessa è la mia meta, come è la meta di tutti quelli che cercano bellezza e verità. Ecco perché non ci si può arrendere o rinunciare, ma solo continuare a scrivere...
RispondiEliminaUn abbraccio a Sandro per questa sua bella presentazione a Roma e a Nazario che ha scritto la splendida prefazione di questa raccolta sempre attuale.
Splendida esegesi di Sandro dell'Opera della mia amica antica Giusy Frisina. Il fulcro della recensione credo possa essere in questo estratto: "Ci siamo voluti subito affrancare dalle leggi infallibili della natura e del divino per sostituirle con i nostri codici, presuntuosamente convinti che fossero migliori. E adesso - croce in spalla - saliamo sul nostro calvario con la speranza di ritrovare ciò che prima abbiamo volontariamente rifiutato.". I due Poeti sono accomunati dall'amore assoluto per i miracoli della Natura e dalla capacità di tradurre tanto amore in impegno civile. Due fantastici artisti che si trovano da sempre... Ringrazio il magnifico Sandro per questa pagina d'autore che Giusy merita in toto. E li abbraccio entrambi con affetto profondo....
RispondiEliminaMaria cara, magica invisibile amica antica! Complimenti per l'organizzazione dell'evento a Horafelix e per le persone stupende che ci hai affiancato. Tu e Sandro siete con Nazario sempre nell'anima.
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