Iniziare dalla poesia
incipitaria significa andare da subito a a fondo della piccola silloge inedita di Marisa Cossu : musicalità,
varietà ispirativa, suoni, ombre, vita, armonie, recondite armonie, direbbe il
mio maestro Puccini, dove la fluidità del tema e la forma si supportano a
vicenda per dare il via alla grande poesia, dove sogno e realtà si completano
in un ritmo piacevole e accattivante quale vuole la vera poesia. Già dalla
piccola composizione “piccolo suono”, si può intuire la grande disciplina formale
di cui si serve l’autrice per esternare le sue emozioni. L’autrice non si risparmia ma dà tutta se stessa all’arte di Apollo. E il tutto
si fa poesia, con i suoi palpiti, le sue
competenze poetiche, le sue esperienze. Il fatto di esistere si fa padrone
della scena, si impossessa dell’esistere della Cossu. Ella lascia a riposare immagini e sentimenti finché quando escono
sono del tutto nuovi di colori e forme. Ed è così che si fa nella vera poesia:
i suoni ed i colori, hanno bisogno di riposo, per acquisire quella stesura
originale e personale di cui si
veste l’animo. Si inizia con “piccolo
suono” e si procede con “Disconnessione” e su su fino all’ultima composizione ,
dove i dolori della vita si confondono col dipanarsi degli eventi ed è così che
la vita si consuma lasciando dietro piccole e importanti tracce: le memorie,
che giocano un ruolo importante nella poesia e nell’esistere. Insomma tutto questo
si fa presente in questa silloge, lasciando suoni e forme: una poesia plurale,
copiosa, da cui emerge la grande professionalità della Cossu: forma, contenuto, sonetti, canzoni, varietà. Una poesia che nella Nostra non fa differenza
tra il vecchio ed il nuovo. Quello che
conta è fare vera poesia:
(…)
A volte Poesia
in me risale
e spesso con lei fuggo dalla vera
mia vita. Con me reco le spine
pungenti delle rose colte in viaggio
e poi deposte presso quel confine
che in musica si spegne in un Adagio.
Sono, di tante donne che son stata,
l’insieme che uno solo ha forse amata.
Nazario Pardini
Piccolo suono
(sonetto)
ABAB ABAB CDE EDC
Nasce nell'aria, a volte, un lieve canto
di accenti e sparse fole, un improvviso
piccolo suono, atteso già da tanto,
che sospira velato in un sorriso.
In sé conduce grazia, gioia e pianto,
ma cela ancora il lume del bel viso
avvolto a tratti in tenue ornato manto
sospeso a vuote stelle ed indeciso.
E spira intorno bello ed imperfetto
di rime nuove il verso immaginato
che poi si tace e vola via lontano.
Nessuno può fermare con la mano
la grazia del sentire ormai scemato.
Ed è soltanto un sogno quel sonetto.
Disconnessione rapida
dal mondo
ascoltando la pioggia
che dolcemente scivola
sul davanzale grigio
della finestra aperta.
Scrive l'Autunno il primo canto umido
di un poema incompiuto.
È tempo di invecchiare:
la rosa è stata colta.
Ora possiamo uscire
dalla stanca vicenda del vissuto,
stare infinitamente,
dimenticati e paghi di silenzio.
Ora possiamo tendere alle origini,
andare per le crepe
e i solchi degli eventi
e scoprire che mai ci siamo mossi
dal giro conosciuto delle stelle
a cui si torna fragili,
colpiti da una luce che stordisce.
Un’altra Estate
Di un’altra estate il tempo ha dissipato
gli umori e le promesse.
Non a noi consegnò nuove certezze;
del calore ci resta solo il peso
di uno stanco sudore,
l’occasione fallita ad inseguire
il vento sulle spiagge adamantine
e un tuffo nella schiuma di scirocco.
Non a noi questo giorno ha dedicato
un presagio d’eterno;
ma i ricordi infuocati delle sàrtie
e vele biancheggianti.
Ora possiamo scrivere la pioggia,
ariamo i grigi campi dell’Autunno;
ci resta questo inchiostro
di gocce trasparenti,
forse restituzione d’esistenza
in un sogno vissuto.
Leggiamo insieme i
versi maldetti
assorti nel tuo spleen
e riluttanti
ad uscire dall’ombra e
dalla nebbia;
rimuginiamo i soliti
concetti,
del nulla siamo amanti
e nulla accade
mentre la Senna gonfia
e muove l’onda.
Ma tu, Poeta, ormai di
vino sazio,
sei quel gabbiano che,
perdute l’ali,
cercando una pur minima
ragione
all’esistenza umana,
stringe le piume in nodi esistenziali
e non trova più spazio:
il tempo è un fiume
scarso,
Andromaca ha già
pianto,
i confini svaniscono
d’incanto.
E resta là Parigi, ma
non brilla,
muore bella e lontana
sedotta da una liquida
pozione.
(canzone
breve)
Di
passioni un groviglio e caldo il cuore,
in testa storie nate per incanto
e di bellezza un superiore amore,
di vita e morte mi sovviene il canto.
Ma di ragione lume mi ristora
e a sé conduce tutto l’accaduto
che s’apre all’infinito e si colora
di sfumature eterne, un non voluto
senso di nostalgia verso il futuro
che non conosco, che non so vedere,
se non con sguardo teso ed insicuro,
alla fiamma indistinta del sapere.
Eccomi ancora ingenua sognatrice
nel tremore dei giorni ormai vissuti
e la speranza che mi benedice
col sapore dei beni già goduti.
Spigoloso il carattere essenziale
-isolano
pudore mi connota-
A volte Poesia in me risale
e spesso con lei fuggo dalla vera
mia vita. Con me reco le spine
pungenti delle rose colte in viaggio
e poi deposte presso quel confine
che in musica si spegne in un Adagio.
Sono, di tante donne che son stata,
l’insieme che uno solo ha forse amata.
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