DURANTE L’ATTESA
Un
giorno ventoso, col sole a sprazzi. Traffico, movimento. Persone in più
direzioni.
Sono all’interno del NABA. L’occhio si
perde nell’ampiezza degli spazi. Alte pareti alternate a scale bianche.
Metallo, vetro. Colpisce la luce che ogni singolo angolo cattura per poi
nuovamente irradiarla. Gruppi in movimento. Qualcuno pigramente sdraiato sulle
panchine di pietra per catturare la tiepida carezza del sole. Ore lunghe di
attesa per la discussione di laurea. Mi trovo circondata da tanta giovinezza.
Occhi obliqui con neri capelli scomposti; il mistico sorriso di una ragazza
indiana; alcuni ragazzi spagnoli giocosi, parlano ad alta voce. Nel gruppo una
ragazza vivace con i capelli azzurri.
Lunghe strisce di colori diversi
ondeggiano al vento con scritti i nomi dei laureandi della giornata. È tutto
come disperso in quegli spazi bianchi. Si intrecciano parole in lingue diverse.
Li accomunano amicizia, ansia, amore; anche se forse quest’ultimo non resisterà
all’impatto con le realtà contingenti. Ripenso a tempi ormai lontani; a noi che
eravamo giovani con abiti diversi, diverse realtà e una lontana innocenza forse
inadatta per affrontare la vita.
Mi
incuriosiscono i volti, gli sguardi. Cerco di immaginarne i pensieri.
Giungono dal lontano spazio d’entrata, tre
alte figure con soprabiti che il vento fa ondeggiare. Si uniscono al gruppo.
Sono amici ma non studenti. Nello scorrere dell’attesa li osservo. Facciamo
amicizia. Due di loro giunsero coi barconi ancora bambini. I primi anni,
difficili, poi l’inserimento. Li ha aiutati la loro prestanza e si sono
inseriti nel mondo della moda. Dei tre mi colpisce Dara. Ha il bel volto scuro
circondato da un foulard leggero sul marrone. Occhi profondi come persi in
lontani spazi. Il candore dei denti. Ai piedi, scarpe dal tacco scarlatto con
disegni in rilievo. Il soprabito di leggera pelle avvolge il corpo snello. Le
lunghe mani è come se cercassero…Ma cosa? Parla perfettamente un buon italiano.
Ha movenze, testimoni di una cultura antica. Lo immagino vestito di bianco,
cavalcare distese sabbiose. Mi parla del mare azzurro e scintillante della sua
terra: il Senegal. Paese in cui non vive. Lui è a Parigi, modello di case di
moda molto importanti. In lui forte affiora un desiderio di conoscenza.
Interrogativi sul fine della vita. Come interpretare il dolore; se assaporarlo
fino in fondo sia giusto. È come se in lui albergasse il dolore dei padri, il
richiamo agli dei antichi, la luce che l’Africa effonde e, al contempo, il
desiderio di una vita diversa nel colto occidente. Lui è fiero della sua
personalità. Ha studiato, frequenta persone di diversi livelli. Ma tutto questo
non alleggerisce il suo pensare alle incertezze del dopo. I perché del vivere
sono risolvibili? Ci sarà una giustizia futura nel mondo? Parliamo del Senegal.
Terra che conosco attraverso la poesia di Senghor. Dai suoi versi emergono le
luci e ombra di una complessa realtà. Luce è nascita, ricordo dei padri; ombra
è distacco, lotta, morte. Poesia nostalgica e disperata in cui passato e presente
si fondono. Mi tornano alla mente alcuni versi da Poèmes: “Pura pioggia di
rugiada quando sanguina la morte del sole/ sulla piana del mare sulle onde dei
morti guerrieri”. Il mare si personifica come le rosse, immobili pianure di
Senegambie.
Senghor è il suo paese ma è anche la
Francia di adozione. Ai canti di origine spontanei e nudi, si contrappone il
genio della cultura francese. Anche Dara è una creatura del Senegal ma ha
assimilato la cultura occidentale. Gli cito qualche altro verso di Senghor: “ah
circondano nuovamente i miei sonni le mani nere si care/ E nuovamente il bianco
sorriso di mia madre…” Dara, dopo aver ascoltato le mie parole, mi mostra la
foto di sua madre sorridente e dal candido sorriso. Il tempo è lungo
nell’attesa. Ho davanti a me Martina dai grandi, chiari occhi e l’ovale
imbronciato. Tra poco tutto si compirà. Sulla sua testa la corona di alloro.
L’università è finita e avrà inizio un nuovo percorso verso realtà, eventi che
daranno un imprinting alla sua futura vita. Martina stacca dalla parete lo
striscione azzurro con scritto il suo nome. Tutti scrivono qualcosa. Non
importa cosa, perché le parole vengono dal cuore. Botti e stelline colorate che
volano al vento. Champagne nei bicchieri e confetti rossi.
Con gli occhi velati, abbraccio tutti
questi ragazzi, la loro giovinezza, l’essere qui intorno a me.
Firenze,
22 febbraio 2023
Anna
Vincitorio
Nessun commento:
Posta un commento