Divino disincanto
di Carmelo Consoli
Giuliano
Ladolfi Editore 2022
Parlare di Carmelo Consoli è come aprire un ventaglio magico su un
autore che dopo ben 15 pubblicazioni poetiche e numerosi saggi inediti, ha
deciso in questo ultimo lavoro dal titolo coinvolgente: “Divino disincanto” di
affrontare, meglio dire di narrare in versi, il cammino del proprio vissuto in
un crescendo di emozioni intrecciate ai ricordi. Il suo canto poetico si snoda
con sicurezza, nell’incanto di uno stupore dal sapore antico e dalla leggerezza
sapiente dell’occhio bambino. Consoli ricama il suo messaggio senza mai cadere
nel rimpianto fine a sé stesso, fermando a tratti le emozioni come in un amarcord prezioso su una Catania
splendente di sole immersa in un paesaggio profumato e fiorito, con ricchezza
di colori e di frutti maturi. Già nella
prima poesia della silloge, quasi manifesto, ci si sente immersi in malia dei gelsomini,
nei brividi segreti di un dodicenne ai
primi ardori.
C’è quasi una rincorsa di incanti e disincanti nella poetica di questo
autore, maestro nelle pennellate di attimi, di vibrazioni dell’anima, di passi
travalicanti il tempo nello scorrere della vita.
Che stupisce in Carmelo Consoli è la leggerezza magica del dire: e
quella Casa rossa / alle pendici del
cielo diviene punto fermo, approdo sicuro nell’affresco di partenza verso
il futuro.
Leggendo questo libro diviso in due parti: La stagione degli dèi e Il
divino disincanto, nella parte prima, si viene proiettati a ogni pagina in
giorni dove gli dei, i miti, assumono sembianze che ci pare di conoscere perché
stanno nel canto più nascosto del cuore di ognuno di noi e l’anima del
quartiere sboccia in ogni verso, prepotente di sogni, di figure, di luoghi, di
profumi, di smarrimenti divenendo punto di domanda con sembianze di paradiso,
scenario di un’era tramontata nella magia della parola. Costante un sottofondo
di vento canzoniere di un dopoguerra dove per le bande di cortile, il
condottiero vittorioso rimaneva la visione onirica nella capacità di inventarsi
il gioco, magari con una palla di carta: Com’era
dura quella lotta / per una palla di carta nei cortili, / com’era azzurro
quello sguardo / che accendeva desideri / già presagio di battaglia / d’uomini
domani / nell’aria calda della sera. Fioriscono i versi con sapienza e le
immagini si rincorrono intrecciando miti e la Eva del momento sorride
tentatrice mentre il poeta ricama l’eros, senza false censure: Rosetta l’ho amata una sera d’agosto / nella
congiura odorosa di mari e vulcani. / Profumavamo di limoni e gelsomini. /
Quanto incanto e smarrimento / per quel pube nero e riccio / tra i raggi della
luna. / Quello era il paradiso promesso?
Spiccano i ritratti della madre dai seni grandi e i capelli corvini in
versi secchi e allo stesso tempo dolcissimi, del padre, eroe sconosciuto, guardato con amore e severità, proseguendo in una
carrellata di liriche che andrebbero tutte citate per la bellezza delle
pennellate armoniose sugli anni che fuggono implacabili, un brivido, davanti
alla fotografia di Carmelo a otto anni il giorno della Prima Comunione. Ci
catturano avvenimenti importanti che hanno fatto la storia del nostro paese,
quasi diario appassionato, immersione in un tempo che pareva non dovesse
passare mai. In versi sicuri si toccano le angosce dell’emigrazione, delle
mille e mille valigie di cartone, le prime macchine, la televisione, i padrini
coi loro baciamano nell’esplosione di un dopoguerra che piano,
piano si prendeva la sua rivincita. Dolce
vita da morire di passioni. / Il coltello in tasca e la sigaretta tra le mani.
Noi fanciulli pronti ad imitarli / Sognavamo quel tempo quasi / a portata di
mano.
Carmelo Consoli stupisce con la sua poesia del racconto per la ricerca
costante delle parole capaci di traslare i momenti, di recuperare il passato di
un’intera generazione costantemente immersa nel sogno perché era l’unico modo
per inventarsi i giorni, la bellezza del futuro, l’esplosione della giovinezza
in tutte le sue meraviglie. E c’è una descrizione quasi onirica della natura
nella poesia del poeta, alberi, frutti, fiori, paesaggi, cieli, notti stellate,
soli e lune nude. Mi è appartenuto
veramente / quel cielo immacolato? Si chiede il poeta. Al tramonto la casa rossa / si tingeva di
rosa e viola. / Sul balcone refoli di mare / e orizzonti di tegole scure. /
Note di qualcosa che stava / per morire, di ultime battute / da tenere dentro
nei rientri del cuore. / Scrivevo le prime strofe di poesia /...
La parte seconda del libro: “Divino disincanto” ha per esergo una frase
di Alda Merini che dice: Ci sono
adolescenze che si innescano a 90 anni.
Carmelo ora è un uomo che sa le crudezze della vita, le disillusioni,
osserva con disincanto l’andare dei giorni che sono stati suoi, che ha
camminato con tenacia quasi divina. Sorprende in questo autore la capacità di
osservazione minuziosa del percorso del tempo, dell’autoanalisi che lo svela
comunque ancora con l’anima innocente, adolescente, perché nei suoi versi
serpeggia sempre il sogno, quel sapere la fonte delle illusioni, è poeta e sa
di esserlo, ecco la stampella dei suoi giorni, ecco la spiegazione della frase
di Alda Merini. Oserei dire che Carmelo Consoli conserva dentro di sé la rara
capacità di provare intatto lo stupore, è ancora intrigato dai punti di
domanda, pur conscio della durezza della vita, delle angosce elargite a piene
mani a chi ha un animo sensibile e trasparente come il suo: Sono io il fanciullo gelsomino? / Il piccolo
dio dalla pelle rosa oro / delle piane di aranci e mandarini?
Molto tenere le poesie che dedica alla sposa Franca precocemente rapita
da una terribile malattia e alla figlia Monica, al ricamo del suo
futuro. E coinvolgenti le liriche sul suo lavoro, sulla partenza da Catania per
l’approdo in continente, sulle tragedie del secolo scorso: Che dire di quegli anni / che si accavallavano al millennio / nuovo e
presagio di sventure? / C’era nell’aria / un sapore nero di tragedie. In
proseguo, ogni poesia è una scossa alla memoria collettiva, un’analisi
certosina di fatti e personaggi che hanno colpito l’immaginazione e la crudezza
della realtà di quel tempo. Il poeta sa districarsi i giorni con maestria
nell’accavallarsi degli anni, quasi a perdifiato per non dimenticare nulla.
Parla della “sua” Firenze dove ha trascorso parte della vita e dove ha
coltivato amicizie e passioni culturali, dell’alluvione del ’66, dei nuovi
migranti dalla pelle nera, della violenza sulle donne. Ci sono liriche potenti
sul dolore e sulla morte e molte altre che meriterebbero di essere citate per
il loro fascino e la loro pregnanza. Paolo Ruffilli nella splendida prefazione
ha colto ogni risvolto della poesia di Carmelo Consoli, mi piace citare parte
di un suo passaggio rivelatore del suo messaggio poetico: “Le poesie del libro costruiscono un
polittico le cui tavole sono più quadri mobili del ricordo che istantanee di un
album, o meglio ancora una successione di fotogrammi in cui con il poeta si
muovono i coprotagonisti della storia...”
Il libro si avvale in postfazione anche dell’accurata analisi di
Nazario Pardini.
Arduo il non ripetere concetti già espressi. Mi preme però
sottolineare, quale amante appassionata della poesia, che la lettura di Divino disincanto ti lascia nel profondo
una dolcezza e un destràni, una saudade, termini trentino e portoghese
intraducibili con una sola parola in italiano: significano infatti non solo
nostalgia ma anche malinconia, groppo in gola,
struggimento... perché è inevitabile l’accavallarsi dei ricordi di un’infanzia,
una giovinezza e una maturità vissute a cavallo di due secoli segnati dalla
corsa frenetica di progresso sfrenato che lascia quasi sbalorditi, ma
soprattutto da accadimenti indimenticabili e da tragedie immani nella continua
riflessione che forse solo in sogno non si potranno più ripetere.
Mi piace terminare questo scritto su questa pregevole silloge di
Carmelo Consoli, pregna in alcuni passi anche di profonda spiritualità e
religiosità, citando il finale di una intensa poesia che mi ha particolarmente
commossa:
Poi ve ne andrete / così come
siete venute / in una bolla d’aria, in un bianco di pareti. / Io resterò nel
cemento di due stanze / con le rughe del vecchio disilluso / col gelsomino
bianco e sfatto tra le mani.
Lilia Slomp Ferrari
Trento, 25 maggio 2023
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