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giovedì 1 giugno 2023

"Divino disincanto" di Carmelo Consoli

 


Divino disincanto

di Carmelo Consoli

Giuliano Ladolfi Editore 2022

 

 

Parlare di Carmelo Consoli è come aprire un ventaglio magico su un autore che dopo ben 15 pubblicazioni poetiche e numerosi saggi inediti, ha deciso in questo ultimo lavoro dal titolo coinvolgente: “Divino disincanto” di affrontare, meglio dire di narrare in versi, il cammino del proprio vissuto in un crescendo di emozioni intrecciate ai ricordi. Il suo canto poetico si snoda con sicurezza, nell’incanto di uno stupore dal sapore antico e dalla leggerezza sapiente dell’occhio bambino. Consoli ricama il suo messaggio senza mai cadere nel rimpianto fine a sé stesso, fermando a tratti le emozioni come in un amarcord prezioso su una Catania splendente di sole immersa in un paesaggio profumato e fiorito, con ricchezza di colori e di frutti maturi. Già nella  prima poesia della silloge, quasi manifesto,  ci si sente immersi in malia dei gelsomini, nei  brividi segreti di un dodicenne ai primi ardori.

C’è quasi una rincorsa di incanti e disincanti nella poetica di questo autore, maestro nelle pennellate di attimi, di vibrazioni dell’anima, di passi travalicanti il tempo nello scorrere della vita.

Che stupisce in Carmelo Consoli è la leggerezza magica del dire: e quella Casa rossa / alle pendici del cielo diviene punto fermo, approdo sicuro nell’affresco di partenza verso il futuro.

Leggendo questo libro diviso in due parti: La stagione degli dèi e Il divino disincanto, nella parte prima, si viene proiettati a ogni pagina in giorni dove gli dei, i miti, assumono sembianze che ci pare di conoscere perché stanno nel canto più nascosto del cuore di ognuno di noi e l’anima del quartiere sboccia in ogni verso, prepotente di sogni, di figure, di luoghi, di profumi, di smarrimenti divenendo punto di domanda con sembianze di paradiso, scenario di un’era tramontata nella magia della parola. Costante un sottofondo di vento canzoniere di un dopoguerra dove per le bande di cortile, il condottiero vittorioso rimaneva la visione onirica nella capacità di inventarsi il gioco, magari con una palla di carta: Com’era dura quella lotta / per una palla di carta nei cortili, / com’era azzurro quello sguardo / che accendeva desideri / già presagio di battaglia / d’uomini domani / nell’aria calda della sera. Fioriscono i versi con sapienza e le immagini si rincorrono intrecciando miti e la Eva del momento sorride tentatrice mentre il poeta ricama l’eros, senza false censure: Rosetta l’ho amata una sera d’agosto / nella congiura odorosa di mari e vulcani. / Profumavamo di limoni e gelsomini. / Quanto incanto e smarrimento / per quel pube nero e riccio / tra i raggi della luna. / Quello era il paradiso promesso?

Spiccano i ritratti della madre dai seni grandi e i capelli corvini in versi secchi e allo stesso tempo dolcissimi, del padre, eroe sconosciuto, guardato con amore e severità, proseguendo in una carrellata di liriche che andrebbero tutte citate per la bellezza delle pennellate armoniose sugli anni che fuggono implacabili, un brivido, davanti alla fotografia di Carmelo a otto anni il giorno della Prima Comunione. Ci catturano avvenimenti importanti che hanno fatto la storia del nostro paese, quasi diario appassionato, immersione in un tempo che pareva non dovesse passare mai. In versi sicuri si toccano le angosce dell’emigrazione, delle mille e mille valigie di cartone, le prime macchine, la televisione, i padrini coi loro baciamano nell’esplosione di un dopoguerra che piano, piano si prendeva la sua rivincita. Dolce vita da morire di passioni. / Il coltello in tasca e la sigaretta tra le mani. Noi fanciulli pronti ad imitarli / Sognavamo quel tempo quasi / a portata di mano.

Carmelo Consoli stupisce con la sua poesia del racconto per la ricerca costante delle parole capaci di traslare i momenti, di recuperare il passato di un’intera generazione costantemente immersa nel sogno perché era l’unico modo per inventarsi i giorni, la bellezza del futuro, l’esplosione della giovinezza in tutte le sue meraviglie. E c’è una descrizione quasi onirica della natura nella poesia del poeta, alberi, frutti, fiori, paesaggi, cieli, notti stellate, soli e lune nude. Mi è appartenuto veramente / quel cielo immacolato? Si chiede il poeta. Al tramonto la casa rossa / si tingeva di rosa e viola. / Sul balcone refoli di mare / e orizzonti di tegole scure. / Note di qualcosa che stava / per morire, di ultime battute / da tenere dentro nei rientri del cuore. / Scrivevo le prime strofe di poesia /...

La parte seconda del libro: “Divino disincanto” ha per esergo una frase di Alda Merini che dice: Ci sono adolescenze che si innescano a 90 anni.

Carmelo ora è un uomo che sa le crudezze della vita, le disillusioni, osserva con disincanto l’andare dei giorni che sono stati suoi, che ha camminato con tenacia quasi divina. Sorprende in questo autore la capacità di osservazione minuziosa del percorso del tempo, dell’autoanalisi che lo svela comunque ancora con l’anima innocente, adolescente, perché nei suoi versi serpeggia sempre il sogno, quel sapere la fonte delle illusioni, è poeta e sa di esserlo, ecco la stampella dei suoi giorni, ecco la spiegazione della frase di Alda Merini. Oserei dire che Carmelo Consoli conserva dentro di sé la rara capacità di provare intatto lo stupore, è ancora intrigato dai punti di domanda, pur conscio della durezza della vita, delle angosce elargite a piene mani a chi ha un animo sensibile e trasparente come il suo: Sono io il fanciullo gelsomino? / Il piccolo dio dalla pelle rosa oro / delle piane di aranci e mandarini?

Molto tenere le poesie che dedica alla sposa Franca precocemente rapita da una    terribile malattia  e alla figlia Monica, al ricamo del suo futuro. E coinvolgenti le liriche sul suo lavoro, sulla partenza da Catania per l’approdo in continente, sulle tragedie del secolo scorso: Che dire di quegli anni / che si accavallavano al millennio / nuovo e presagio di sventure? / C’era nell’aria / un sapore nero di tragedie. In proseguo, ogni poesia è una scossa alla memoria collettiva, un’analisi certosina di fatti e personaggi che hanno colpito l’immaginazione e la crudezza della realtà di quel tempo. Il poeta sa districarsi i giorni con maestria nell’accavallarsi degli anni, quasi a perdifiato per non dimenticare nulla. Parla della “sua” Firenze dove ha trascorso parte della vita e dove ha coltivato amicizie e passioni culturali, dell’alluvione del ’66, dei nuovi migranti dalla pelle nera, della violenza sulle donne. Ci sono liriche potenti sul dolore e sulla morte e molte altre che meriterebbero di essere citate per il loro fascino e la loro pregnanza. Paolo Ruffilli nella splendida prefazione ha colto ogni risvolto della poesia di Carmelo Consoli, mi piace citare parte di un suo passaggio rivelatore del suo messaggio poetico:  “Le poesie del libro costruiscono un polittico le cui tavole sono più quadri mobili del ricordo che istantanee di un album, o meglio ancora una successione di fotogrammi in cui con il poeta si muovono i coprotagonisti della storia...”

Il libro si avvale in postfazione anche dell’accurata analisi di Nazario Pardini.

 

Arduo il non ripetere concetti già espressi. Mi preme però sottolineare, quale amante appassionata della poesia, che la lettura di Divino disincanto ti lascia nel profondo una dolcezza e un destràni, una saudade, termini trentino e portoghese intraducibili con una sola parola in italiano: significano infatti non solo nostalgia ma anche malinconia, groppo in gola, struggimento... perché è inevitabile l’accavallarsi dei ricordi di un’infanzia, una giovinezza e una maturità vissute a cavallo di due secoli segnati dalla corsa frenetica di progresso sfrenato che lascia quasi sbalorditi, ma soprattutto da accadimenti indimenticabili e da tragedie immani nella continua riflessione che forse solo in sogno non si potranno più ripetere.

Mi piace terminare questo scritto su questa pregevole silloge di Carmelo Consoli, pregna in alcuni passi anche di profonda spiritualità e religiosità, citando il finale di una intensa poesia che mi ha particolarmente commossa:

 

Poi ve ne andrete / così come siete venute / in una bolla d’aria, in un bianco di pareti. / Io resterò nel cemento di due stanze / con le rughe del vecchio disilluso / col gelsomino bianco e sfatto tra le mani.

 

Lilia Slomp Ferrari

 

Trento, 25 maggio 2023

 

   

 

           

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