JEAN TARDIEU
Il fiume nascosto
Poesie 1938 – 1961
Scrittore di forte fecondità si è espresso in opere di ogni genere e tono: umorista, metafisico, drammatico e poeta… Un poeta fortemente inquieto. Importante per lui “chiedere senza fine come si possa scrivere qualcosa che abbia un senso”.
Concepisce la poesia come la conquista di un mistero. Per lui la conoscenza è intuitiva e discontinua. Sempre presente la violenza del desiderio. Quello che lui scrive deve appagare la sua necessità di esprimersi indipendentemente dalla comprensione e dal diletto del lettore.
Poesia che non sempre s'intuisce ma ti afferra e disorienta. Siamo davanti a dei muri di silenzio nei quali immergersi e sconfinare in sogni inquieti. Nulla è spiegato. Davanti al lettore il caos; la morte un istante di distrazione. Il poeta non può che assaporare la bellezza del mondo e salvarla almeno provvisoriamente dalla rovina. Sul destino delle cose il profondo fetore della morte.
“Tutto sarà disperso, il mondo e l'uomo”.
Figlio di artisti: la madre musicista (suona l’arpa) e il padre pittore. Cominciò a scrivere in giovanissima età. Molto influenzato dal suono dell’arpa è portato a sognare e amare seguendone l’armonia.
E nella musica col passare degli anni, il ricordo della antica felicità legata all’infanzia.
Gli occhi bendati, le mani tremanti
tradito dal rumore dei miei passi
che segue ovunque il mio silenzio
perdendo la traccia dei miei giorni
e io, sia che aspetti o che vada oltre
mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso.
Un uomo che finge di vegliare
imprigionato nella sua infanzia
l'avvenire splende immerso
nella sua immobilità.
Noi ancora ce ne ricordiamo
Il sole vibra senza fare un moto
Il tempo monta come il mare.
Trad. Anna Vincitorio
Per lui l'infanzia anche se imprigiona, è certezza alla quale attingere per poi proseguire. Frequenta a Parigi il Liceo Condorcet e pubblica i primi testi sulla Nouvelle Revue Française. Per avvicinarsi a Tardieu bisogna leggerlo, leggerlo e assimilarne il messaggio. È difficile penetrare le sue parole.
Noi siamo riuniti presso il male
che l'invisibile uragano percuoteva
Questa notte pareva cospirare con noi;
colma d'oro sottratto, era come un cofano
risuonante di consigli
“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero:
“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato
“nostro capo”.
– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,
nel medesimo istante si fusero,
le nostre mani serrate e febbrilmente
unite come una nuvola d'uccelli
Ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,
Un leggero soffio bianco di luce
che preso – nella sua corsa – venne verso di me
e passò sulla nostra ombra, disteso, distrutto, fluttuante,
col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”
Mormorò l'ultimo dietro di noi – Partivamo!
Era solo al sorgere del giorno
Ho visto un solo volto: l’onda
Loro si sono riuniti lontano da me
per parlare nella loro lingua sconosciuta
io aspetto
Trad. Anna Vincitorio
Va riconosciuto, a mio modesto avviso, che pur non penetrando il significato della poesia di Tardieu, ne siamo inghiottiti e vaghiamo in essa percorrendo il suono delle sue parole, sperduti ma emotivamente coinvolti. È chiaro che suoi compagni sono le ombre, la speranza, la paura, la certezza e il rimorso.
“oh aliti che rianimate la fiamma spenta
quale fumo ai margini della morte!”
Per concludere possiamo definire la sua opera come poesia evidente, diretta e tragica; carica tuttavia di una grazia misteriosa se non quando lui stesso si avvicina all'ammissione dell'irreparabile.
Per la notte e per il sole
condannato senza prove e colpe
ai muri del mio stretto spazio
io mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso…
Trad. Anna Vincitorio
NOTA BIO BIBLIOGRAFICA
Jean Tardieu nato il 1° novembre 1903 a Saint-Germain-de-Joux e morto Creteil in Val di Marne il 27 gennaio 1995.
OPERE:
Accents (1938): Les Dieux étouffés (1946); Monsieur Monsieur (1951); L’espace de la flute (1958); Le fleuve caché – Poésie (1938-61 – Trad. italiana 1971); Forneries (1976); Margeries – Poèmes inédits – 1910-1985 (1986); Poèmes à voir (1990).
PREMI:
1982 – Grand prix de poésie de L'Academie française
1986 – Grand prix de litérature de la Société des Gens de lettres
1993 – Grand Prix national des lettres
Vasta anche la sua produzione teatrale e Saggi in Le Miroir ébloui (1993).
Il 1995, anno della sua scomparsa a 92 anni.
NOTE CRITICHE:
Claude Michel Cluny – nome de plume – Nato il 2 luglio 1930 a La grandville (Ardennes) – Morto a Parigi 1'11 gennaio 2015. Poeta, critico letterario, rinomato grafico, novellista e romanziere francese.
“J. Tardieu occupa nel panorama poetico francese un posto molto singolare, – a volte tradizionale per il lirismo contenuto che si può inserire nella progenie di Maynard e di Nerval e per un perpetuo rimettere in discussione dello spirito e del linguaggio, si può avvicinare a Max Jacob e Queneau.
La sua è una voce nel deserto “Vaux sans personne” e che accetta una via d'uscita verso il nulla se non quella di un uomo distrutto e condannato in anticipo, senza che niente lo giustifichi o lo salvi.
La difficoltà di essere per Tardieu, è originale; vuol dire che sorge dalla coscienza di essere: questa inquietudine (mal di vivere) la scrittura l’ha presa in carico. Non cede davanti ad ogni dogmatismo, così come scarta le illusioni della metafisica. E questa opera sa ben svelare il volto nascosto delle cose. Pochissime parole – Pochissimi gesti. Ma le une e gli altri organizzati per un poema da recitare…
Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: – Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocca è per metà pietra e per metà spuma –.
Trad. Anna Vincitorio
Jules Supervielle – Montevideo 1884 - Parigi 1996 – legato alla NRF visse tra la Francia e l'America del Sud affermandosi soprattutto come poeta surreale. Di Jean Tardieu afferma: “Poeta molto diverso e sempre suggestivo; egli ha più toni provenienti da una stessa voce. E come egli si pone tra i migliori, niente lo designa meglio di quanto lui stesso non dica: – che lui ama tutti i colori perché la sua anima è oscura –.
Trad. Anna Vincitorio
Federica Locatelli – Diffidate delle parole – …Autore classico ai tempi dell'Assurdo, Tardieu perseguì una ricerca originale che nella padronanza del linguaggio in tutte le sue gamme dalla lirica al divertissement, ci conduce con passo fermo ma bonario oltre gli orizzonti del non senso…”.
Maria Gabriella Bruni – “…La sua opera in effetti non si caratterizza per la linearità nella sua evoluzione determinata da eventi esterni. Si avvolge al contrario su se stessa, come attratta da un centro inesistente, quasi che l'autore esegua una sorta di strano passo di danza sul bordo di un abisso che allo stesso tempo lo respinge e lo trattiene, e dove dà appuntamento a se stesso per tutta la vita. Ed è dal fondo di questo buco che sale la musica della sua scrittura, quella musica disperata, quella musica da lui creata con passione…”.
Georges Emmanuel Clancier – Poeta, romanziere e saggista francese – (Limoges 1914 – Parigi 2018) Opere: … Le pain noir – 1956; La fabrique du roi – 1957; Les drapeaux de la ville – 1959; La dernière saison – 1961; Vari romanzi e tra le raccolte in versi ricordiamo: – Le Paysan céleste, 1943; Une voix, 1956; Terres de Mémoire, 1965; Oscillante parole, 1978; Chansons sur porcelaine, 1984; Passagers du temps, 1991; L'Orée, 1987; trad. di Anna Vincitorio (Presentata a Firenze il 10 maggio 1988 all'Università di Scienze Politiche – Cesare Alfieri – alla presenza del poeta Clancier).
Dalla prefazione a Le fleuve caché. “…L’opera di Tardieu si impone in lentezza, dolcezza, con tutte le sfumature meravigliosamente sensibili, commoventi, erudite, fresche e raffinate, che fondano l'originalità di questa poesia a volte aperta e tragica, tenera e solenne, sottile e stramba. Sembra il risultato di una perfetta civilizzazione del linguaggio piuttosto che una risposta ossessiva a una ossessionante questione… Per Jean Tardieu ogni poema è un teatro senza enfasi dove si gioca in parole di silenzio. Sempre lo stesso e solo il dramma di essere e non essere al mondo, e il teatro un poema che passa dal silenzio del soffio alla drammaturgia delle voci. Questo doppio aspetto del poema-teatro e del teatro-poema si trova per esempio confermato dalla musicalità che Tardieu sa preservare nei dialoghi in apparenza i più quotidiani delle sue creazioni cosi egualmente con l'intrusione del linguaggio parlato nel canto del poema. L’invenzione di una parola per un’altra sa mirabilmente dire senza dire, dal momento che la poesia tende al silenzio attraverso la parola come l’incertezza della vita all’assoluto della morte…Pochissime parole, pochissimi gesti. Ma gli uni e gli altri organizzati per poema da recitare… Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: “Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocco è per metà pietra e per metà spuma…”
Trad. Anna Vincitorio
20 febbraio 2024
JEAN TARDIEU
Le fleuve caché
Poésies – 1938-1961
Pref. di Georges Emmanuel Clancier.
Accenti – 1932-1938
L’allarme
Palude di paura nella sua stanza
la porta chiusa vedeva oscillare una mano
una mano al di fuori tormentava a tratti il pomello
ma non l’apriva! E due voci corrucciate
risuonavano nel corridoio
“È di me – pensava – che si parla!”…
“Chi mi accusa? Chi mi cerca? Chi mi segue?”
“Di quale crimine sono a conoscenza od ho commesso?”
“Cosa ho dimenticato, o perduto?” ah… la porta
“si apre!…”
Ma no –
si allontanano sui parquéts tremolanti
Si trattava di lei (o di un’altra) Tuttavia!…
I drammi della memoria
Sovente si riuniscono per lottare
contro ricordi troppo forti
ciascuno prende posto in una poltrona
e iniziano a raccontare
Gli accidenti si manifestano per primi
poi l'amore, poi i sordidi rimpianti
infine le speranze mai spente
Tutte queste immagini sono appese
al muro, tra i fiori del foglio
Pensano anche di abituarsi
ai veleni trasfusi dalla loro memoria
– Io nel frattempo, dietro la porta,
vedo il Presente fuggire coi suoi segreti
Incubi
Noi siamo riuniti presso il male
che l'invisibile uragano percuoteva
Questa notte pareva cospirare con noi;
colma d'oro sottratto, era come un cofano
risuonante di consigli
“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero:
“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato
“nostro capo!”
– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,
nel medesimo istante – si fusero
le nostre mani serrate e febbrilmente unite
come una nuvola di uccelli
ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,
un leggero soffio bianco di luce
che presto – nella sua corsa – venne verso di me
e passò sulla nostra ombra disteso, distrutto, fluttuante
col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”
Mormorò l'ultimo dentro di noi – Partivamo!
Ero solo al sorgere del giorno
Ho visto un solo volto: l’onda
Loro si sono riuniti lontano da me
per parlare nella loro lingua sconosciuta
Io aspetto
Il testimone invisibile
1940-1942
Giustizia sconosciuta
Sempre nell'altra camera lei risuona,
questa voce bassa a traverso il tramezzo;
lei giudica, condanna e poi perdona
un crimine estraneo dalle ragioni profonde
Io non so se sono io il colpevole
Io non so se la voce porta un nome
La paura del sogno
Felice chi per lo sbattere delle porte,
per la presenza di una lampada o il mormorio
di voci che un corridoio conosciuto porta via
per il frusciare delle imposte mal chiuse,
per un riflesso su un mobile, scongiura
un orribile sogno alla sua perdita accanita!
Per lui il caro difetto delle cose, trema
così dolcemente, lo chiama, lo richiama!
Tutti gli oggetti che tocca
gli rassomigliano
“Sono io, sono io” si ripete ridendo
Il sogno allora sbattuto contro il muro vacilla
e dall'altra parte striscia fischiando
“Alla fine! Ecco le cose che sono pure
e senza rimpianto di ciò che non è loro!
Io stesso così tengo indosso come un’armatura
ai confini del tempo, contro tutto ciò che è proibito
come un frammento d’una pietra immortale
dove mai sogno o spettro non ha morso”.
Ma o cielo! sventura se c'è ancora un sogno
capace di planare in attimi senza idee
se ogni sponda si solleva in spuma
se lo sguardo è un cammino perduto
e se il tuo cuore sotto le tue mani atterrite
batte per lui solo in un mondo sconosciuto!
Ombre
Frangia d’invisibile,
tremante di segreti,
l’assente che ti prega
e che ti ha condotto
bagnato nella sua ombra
attraverso il giorno,
legato nel silenzio
a tutte le foglie,
a tutte le pietre
e a tutti i tempi
non è sempre
questo vasto te stesso dove ti sei perduto?
Qui mi vince la speranza, qui la paura,
qui in certezza e il rimorso –
O aliti che rianimate la fiamma spenta
quale fumo ai margini della morte?
Per andare avanti io ruoto su me stesso,
ciclone per l'immobile abitato
di ogni lampo attendo che lo attenui e amo
dal fondo di un abisso intravedere luccicanze
Fiori! Fiamme! Giochi e canti di un giorno senza affanni
Posso infine sorridere alle vostre immagini
E vi vedo con uno sguardo alieno!
XII
Quando ascolto e non comprendo
quando guardo senza vedere,
quando cammino senza un passo,
quando il mio sole diventa nero,
Io scompaio senza morire,
vivo senza muovermi,
nessuna speranza, nessun ricordo
nelle fucine del momento
Sciogliersi? Sia, ma per rinascere!
Finire per ricominciare!
Il mondo va guardato con nuovi occhi
sui cammini cancellati
XV
Una strada si rievoca
tutti i passi dispersi
Ma lei aspetta e niente ancora
è realmente apparso
1942-43 Notte
La città ai piedi dello spazio
Questo piccolo spazio è per lo spirito
sferzato come il cielo dalla rondine
dove il vuoto pavimento per l'esile rumore
di una bicicletta vista da persone dalle sopracciglia
cupe, le braccia colme di pacchetti tristi
Lo spazio, quale sete! con i nostri passi
così lenti a srotolare
delle strette piste
sotto le case dove non ci sono sorrisi
Scorre il tempo ma il limite è sempre là –
O sorgente sui tetti sempre presente
emetti vapore in senso contrario per occhi colmi di ardore
e sempre più ti sforzi di essere assente
spazio, tieni unito il tempo per rilasciare
i nostri corpi torturati dalla speranza!
Troppo poco spazio e troppo tempo! O tugurio,
nave spazio compressa in questo porto,
solleva le pietre dalla tomba
di questi morti,
sradica cordoni di fumo, apprestati nella notte
fa di ogni finestra un’apertura
spalancata sulla libertà dell’infinito!
Giorni pietrificati 1943-47
Gli occhi bendati, le mani tremanti
tradito dal rumore dei miei passi
che segue ovunque il mio silenzio
perdendo la traccia dei miei giorni
e io, sia che aspetti o che vada oltre
mi rigiro nel fondo del mio sonno
desolato come la speranza
innocente come il rimorso
Un uomo che finge di vegliare
imprigionato nella infanzia
l’avvenire splende immerso nella sua immobilità
noi ancora ce ne ricordiamo
il sole vibra senza fare un moto
il tempo monta come il mare
Non c'è nessuno
Questa assenza ha gli occhi degli alberi
una figura cava e alta si riversa
estranea alla mia primaria essenza –
Fiori e abisso
1
Sotto i fiori che so non ci sono praterie
ma il latte nero dell'abisso ignoto,
nel mio sonno amaro io li restituisco alla notte
loro calano spegnendosi lentamente –
2
Una sola casa si appressa
al bordo fiorito dell'abisso
il suo fumo già si tinge d'azzurro –
Ah! che le parole possano salvarla
prima della sua caduta
e che senza rumore, senza sofferenza
diviene aura!
IV
Due mani che hanno perso le tracce di un viso
avanzano fiutando l'ombra alla ricerca
di una forma un tempo umana. Ma
la maschera è colma per l'abisso –
le mani spaventate si ritirano e riportano via i fiori
Per guadagnare i terribili favori dell'abisso
noi alberi saliremo dall'interno fino ai nostri fiori
Allora il vento, allora l'autunno, allora
il nostro adempimento sarà
questa caduta leggera, felice o desolata –
Regina della terra
Dedicata a Albert Camus
Come un ricordo
io ti ho incontrato
persona perduta
Come la follia
ancora ignota
Fedele, fedele
senza voce e figura
tu sei sempre là
Nel fondo del delirio
che da te proviene
io parlo, ascolto
e non comprendo
Tu solo, tu vegli
tu sai chi sono
la terra si gira
dall’altra parte
non ho più giorno
non ho più notte
Il cielo immobile
il tempo trattenuto
la mia sete e il mio timore
mai placato
Perché io ti cerco
tu le hai protette!
Sorella impenetrabile,
delirio della mia vita, lasciami andare!
Se del tuo mistero
Io sono il corpo e beni
l’attimo e il luogo
oh ultimo naufragio
di questa ragione
con il tuo silenzio
col mio dolore
con l'ombra e l'uomo
cancella il dio!
Sbaglio che non potrò espiare
io non ho rimorsi –
In un solo spazio
voglio un solo mondo
una sola morte
Monsieur Monsieur
1948-50
Monsieur Monsieur ai bagni di mare
Un giorno vicino al mare
Monsieur e Monsieur soli
parlavano tranquillamente
e mangiavano una mela!
e quale quiete
quando l'abisso senza margine
mescola senza sforzo
le cose e le genti!
Per chi è simile a Dio i giorni particolari
non sono necessari
La questione non è là
Monsieur risponde a Monsieur
noi siamo effimeri,
ora la totalità
della grande Unità
essendoci rifiutata
è per la quantità
che noi ne siamo fuori
E noi ne facciamo tesoro
Dunque la diversità
per noi su questa terra
è la necessità –
Guardate questo pesce
che non è un uccello
non è una mela
non è la balena
non è il battello…
– Ah per me è la medesima cosa,
interruppe Monsieur
la balena e la mela
dinanzi all'eternità
sono eguali –
A queste parole il vento soffia
portando via i loro cappelli
e i due personaggi
nel cielo blu e bello
svaniscono all'improvviso
la notte il silenzio e l'aldilà
Un sospiro nello spazio infinito
poi una voce mormora:
“Gondran, sei tu là?”
Nessuna risposta
Dei passi si allontanano come le nuvole
Il piccolo ottimista
Fin dal mattino
ho guardato dalla finestra;
ho visto passare dei fanciulli –
Un'ora appresso erano persone
un'ora dopo, vecchi tremolanti –
Come invecchiamo velocemente, ho pensato!
E io che ringiovanisco in ogni istante!
Oracolo
(Dapprima esitante attraverso il fumo profetico
Poi, affermativo, ritmato,
scontroso il piede che batte il suolo)
Dello ieri non c'è più
c'è piuttosto il domani
oggi come ieri
è sempre per domani –
Nel fuoco
Nel fuoco
nel fuoco nel fuoco
nel fuoco della terra
metterò le mie due mani
Metamorfosi
In questa notte nera
che la Storia ci crea
avanzo a tentoni
sempre stupito
sempre sbigottito:
Io prendo il mio cappello
è un carciofo
abbraccio la mia donna
è un guanciale
carezzo un gatto è un annaffiatoio
apro la finestra
per respirare aria pura
c'è un vecchio armadio
pieno di muffe
prendo un rospo
per un calamaio
la bocca di nausea
per la cassetta delle lettere
il fischio del treno
per una rondine
il rumore di un motore
per il mio stesso cuore
un grido per ridere
la morte per la vita
gli altri per me
Una voce senza nessuno
1951/53
Il mondo immobile
Pozzo di tenebra
fontana senza suoni
lago senza splendore
presenza densa
battito debole
l’istante è là
niente, nessuno
un’ombra pesante
che non parla
io attendo dei secoli
niente risuona
niente appare
su questa tomba
lo spazio si muove
è il mio pensiero
per nessuno sguardo
per nessun orecchio
la verità
Storie oscure
1955-60
L’inferno a domicilio
Nel segreto di un oscuro corridoio
nel fondo di un ghiaccio fluttuante
un uomo incontra la sua immagine
Si vede come vorrebbe essere
fiero, gioioso, trionfante
e soprattutto giovane, ah come un dio!
Ma l'immagine svanisce e si perde
al rumore dei tubi che gemono
e all'improvviso gli vien meno il cuore:
nel ghiaccio (che trema un po’
al passare di ogni vettura)
sembra un nuovo abitante
che lentamente, lentamente
si svincola,
una sorta di cane dal dorso rotondo
che verso il cielo squadrato del cortile
urla alla morte e lancia uno sguardo pieno di lacrime
Una donna un uccello
L’uccello molto grande
che sorvolava la pianura
al medesimo ritmo che le valli e le colline
lungamente l’abbiamo visto planare
in un cielo assoluto
che non era il giorno
che non era la notte
Una cicogna? Un aquila? All’improvviso
il volo silenzioso di un gatto che fischia
e questa regale apertura alare
di un dio che diveniva uccello…
I nostri occhi un istante deviati
improvvisamente videro scendere la meraviglia:
era la figlia dell’aurora e del desiderio
angelo nei nostri solchi caduto
con un corpo più femmineo dello stesso amore e che lungamente
posa i suoi piedi appena sul suolo perché il vento delle sue ali
lo sollevava ancora – Infine il liscio e bianco piumaggio
su questa donna di cristallo si ripiegò
Lei sembrava non vederci
né stupirsi che un lago
davanti ai suoi passi si era già aperto
lei ci si tuffava sorridendo per se stessa
felice di ricordarsi
degli elementi precedenti
e di un tempo senza limite…Lei ha
ordito in quest’acqua trasparente
i segni di un linguaggio sconosciuto
poi agitandosi, cerchiata di perle
di nuovo brillante e ghiacciata
batté il piede sulla terra
Così io la vedo ancora leggermente inclinata in avanti
e già quasi distaccata
cosi noi l’abbiamo vista risalire scomparendo nell’azzurro
È da dopo quel tempo là che io so
per quale esile volere e quale segreto movimento
noi possiamo volare quando ogni cosa dorme
Il boia dei fanciulli
Il fanciullo terrificato mine il suo braccio sugli occhi,
ma l’Uomo a passi sempre più grandi scendeva –
Il fanciullo chiamò a suo soccorso
tutto ciò che è visibile e invisibile. Ma l’Uomo
con il passo sempre più largo e pesante
gridava: “Tu non dovevi vedere e hai visto,
tu devi morire! E il suo pugno si alzava
e i suoi occhi lampeggiavano
Il fanciullo fece un ultimo sforzo
per staccarsi da questo mondo
e siccome il boia lo attendeva
divenne brace di un fuoco di rami
e dal vento dissolto
Allora il vagabondo sull’erba fredda vacillò
scosso dai singhiozzi –
Natura
C’è un uccello che si avvicina piangendo
C’è una nuvola che parla sognando
una roccia rotola per passare il tempo
un roseto si ammira nello specchio d’uno stagno
gli alberi della foresta
sono là come genti, genti
Tutto questo forma una folla che aspetta
– ma l'uomo, – assente, assente, assente…
Traduzioni di Anna Vincitorio
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