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lunedì 3 giugno 2024

Cinzia Baldazzi legge “Le rose novembrine” di Isabella Sordi

                                                                     Isabella Sordi
 

 

Le rose novembrine

di Isabella Sordi

 

Mi fanno tenerezza

le rose novembrine,

serrano le corolle,

affilano le spine.

 

Sfidano il vento e il gelo

crudele, dell'inverno,

quello che, poco dopo,

le porterà all'inferno.

 

Vestono di rubino

e d'un rosso magenta,

è sangue che scolora

in una morte lenta.

 

Così come le rose

che perdono il colore

sono le donne sole

uccise dall'amore.

 

Le rose novembrine

mi fanno tenerezza,

non sanno che si può

morire di bellezza.

 

 

 

Il nome delle rose

Bellezza e morte nei versi di Isabella Sordi

 

di Cinzia Baldazzi

 

                                                                                                       La violenza contro le donne

non è un problema esclusivamente femminile

e deve essere aggiunta

alla lista dei reati sancita dai trattati.

 

Ursula von der Leyen

 

 Anche a voi sarà accaduto di incontrare poesie associate nell’immediato all’esclamazione, scontata e poco esplicativa, di “incantevole”. Quando entro in uno stato d’animo analogo, il risultato consiste nell’approdare subito a uno stato di angoscia, di inquietudine, sebbene il componimento - come invece questa volta - non lo suggerisca. In breve, il dialogo interiore è il seguente: «Ma quale incanto… I poeti non hanno la bacchetta magica!». Sono infatti trascorsi svariati secoli dall’epoca in cui la ποίησις (pòiesis) ha iniziato a vivere svincolata dal rito cultuale-religioso, suo promotore nella notte dei tempi.

   Ho potuto “cogliere” le rose novembrine nell’autunno del 2023, incontrando Isabella Sordi in un premio letterario da me gestito nella veste di Presidente di Giuria: quel giorno, l’associazione I Percorsi delle Muse, tra gli organizzatori del concorso, assegnò al testo un riconoscimento speciale.

Perché lo racconto? Per condividere il fatto di averlo apprezzato in un equo asse referenziale meritocratico, criticamente documentato, non incline tout-court a una gerarchia di valori dove trovasse posto un giudizio perlopiù legato all’“incanto” ineffabile della beltà dei versi. Vari decenni sono stati impegnati nel dibattito sull’esistenza o sulla qualità della “bellezza in sé”, decisiva o ingannevole rispetto a un approccio di metodologia critica: ciononostante, ritengo l’argomento abbastanza d’antan, dunque nelle mie riflessioni chiamerò in causa il concetto di una “bellezza poetica” autonoma, nondimeno attinente a un messaggio, a una fonte significativa, umana, quindi concreta.

   In un ambito affine ho considerato pregevole Le rose novembrine, peraltro distratta dall’approfondimento specifico a causa di diverse attività in corso; il giorno dopo, comunque, ospitando l’autrice al Dima Book Festival, chissà perché le chiesi, fuori scaletta, di recitare per noi la poesia vincitrice.

   Forse, però, ho insistito troppo: non siamo davanti a un mistero, in quanto, alla sola lettura dell’incipit, suppongo parteciperete senza difficoltà a un incantevole “fuori programma” di tale natura: «Mi fanno tenerezza / le rose novembrine, / serrano le corolle, / affilano le spine».

   Una simile opinione la coltivo poiché, alcuni minuti dopo aver letto il componimento, scoprirete la misura in cui gli ammalianti fiori autunnali, emblemi di «tenerezza», siano il simbolo persuasivo e immaginifico acquisito dall’ars poëtica della Sordi, propedeutico ad annunciare il tragico destino delle vittime di femminicidio. Altro che le «spine» sotto le «corolle»! Il sostantivo «tenerezza», forse obietterete, essendo rivolto a una commozione provata nei riguardi di persone in termini di pietà amorosa e compassione, può apparire un segnale appropriato nei confronti di donne forti, generose, sebbene alla fine abbattute: esse soffrono per sfidare, in sintonia alle rose, «il vento e il gelo / crudele» non dell’inverno, bensì dell’inferno della violenza assoluta e, in seguito a una morte lenta (nonostante in botanica, per la famiglia delle Rosacee, il mese di novembre sia assai propizio), smettono di vivere.

   Eppure, una tenderness parallela, più che associata alla disperata, ineffabile propensione ad accogliere il martirio di una brutalità estrema, coincide con l’icona epifanica di qualche tipo di riscatto ottenuto nel rifugio offerto dall’amore materno indissolubile. Quasi Isabella Sordi, in un “incantesimo” fondato su una precisa tecnica semantico-semiotica - in settenari ritmici cadenzati in cinque quartine - e non su un vago, unspeakable filo dal colore rubino, invitasse il lettore a “scrutare” le righe successive con gli unici occhi posseduti, obbiettivamente carichi di bellezza, quella vera, sempre salvifica, peculiare dell’affetto energico di una genitrice, di una μήτηρ (mèter) capace di interrompere con il suo sentimento totalitario il cammino del male. Come, vi chiederete? Di recente, lo scrittore statunitense Chuck Palahniuk ha dichiarato: «Dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare». La grazia e il fascino degli ammalianti campioni floreali viaggiano oltre le profonde cicatrici della furia e degli abusi.

   Nel tentativo di verificare l’ipotesi formulata all’inizio, vale a dire che nell’opera della Sordi l’intento creativo sia di risarcire utopicamente, per mezzo di una testimonianza a carattere lirico, un danno irreparabile, enfatizzo l’importanza di almeno due τόποι (tòpoi) retorici tali da poter confermare una lettura del genere, di certo correlata all’unione implicita, definitiva di forma-contenuto: piuttosto interessata, però, percorrendo l’alto sentiero allegorico del testo, a metterne in luce la prospettiva di allontanarsi, tramite scelte di un καλόν (kalòn) estetico, dalle abiette circostanze reali, non per ignorarle o sminuirle, piuttosto per sublimarne in alternativa la virgiliana pietas basata su rispetto, solidarietà e coraggio.

   Nel macrocosmo omerico, presentando le protagoniste dell’epos, l’aedo ne proclamava l’avvenenza, il κάλλος (kàllos) adeguato a renderle eterne: «E quando è pari a quella di Elena», afferma la grecista Eva Cantarella, «questa bellezza fa perdonare tutto: per Elena, bella come una dea immortale, dicono i vecchi troiani seduti presso le Porte Scee a guardare la battaglia, “non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti… soffrano a lungo dolori”». Allora, dunque, a morire per la bellezza (femminile) erano gli uomini.

   Sopra ogni cosa, sottolineerei come, nella terza quartina, il rosso rubino (o magenta), colore per antonomasia del sangue, costituisca in qualsiasi scala di valore archetipica un segno di vita prima che di morte, evocando inoltre, nell’universo di riferimento orientale, la nuance per eccellenza di gioia e sensualità della coppia, oltre a significare vittoria nella novità, nella conferma di quanto l’arco del vissuto sia di continuo custodito, difeso a qualunque costo.

   In secondo luogo, allorché assistiamo al tormento subìto mentre esso «scolora» - oltre a tutto, a prezzo di una «morte lenta» - anche qui possiamo tornare a uno schema modellare consono a quello della madre (meglio: della Grande Madre), all’altezza di dissolvere in un’indistruttibile, coraggiosa utopia, contrassegno di lotta, non di vuota fantasia, il bisogno di compensare un’immane iniquità, poiché la legge giusta del divenire umano naturale lo consente.

   Ricordo le parole utilizzate nel 1947 da Max Horkheimer e Theodor Adorno nella chiusura del saggio sull’Odissea per illustrare la crudele uccisione delle ancelle di Penelope (regina “madre”) impiccate da Telemaco. Nel finale del Canto XXII si assiste agli spasmi di queste creature («coi piedi scalciavano; per poco, però, non a lungo»), dove Omero consola se stesso insieme agli ascoltatori (scrivono i filosofi: «sono in realtà lettori») con «l’affermazione provata che non è durato a lungo, un attimo e tutto era finito. Ma dopo quelle tre parole l’intimo flusso della narrazione si arresta». Interrompendo il corso del racconto, «esso impedisce di scordare le vittime, e scopre l’indicibile, eterno tormento di quel secondo in cui le ancelle lottano con la morte».

   Nei versi della Sordi, le martiri di femminicidio sono sciaguratamente decedute «essendo donne sole / uccise dall’amore». Tuttavia, «sole» in senso di “isolate”, “accessorie”, per fortuna nella storia del progresso le donne non sono mai state, poiché il loro ruolo ha sempre comportato grandi vantaggi generali per l’intera gens humana. L’archeologa inglese Margaret Ehrenberg ha rilevato: «Bisogna riconoscere il ruolo delle femmine, sia nel favorire una maggiore socializzazione della specie umana sia come prime insegnanti di innovazioni tecnologiche durante il lungo periodo infantile».

   In sostanza, risulta infondato l’archetipo endemico della donna indifesa, “domestica”, e dell’uomo, potente per le armi, intento a procurare, in misura esclusiva, il cibo per la sopravvivenza della famiglia. Di nuovo la Ehrenberg esemplifica: «L’evoluzione umana è stata sempre letta attraverso il ruolo dell’“uomo cacciatore”, con la creazione di armi ed utensili per catturare e macellare le prede. E che cosa faceva la donna nel frattempo? Rimaneva forse seduta in casa a girarsi i pollici, aspettando che l’uomo procacciasse il cibo e diventasse così più abile fino a trasformarsi in Homo sapiens-sapiens?». Niente affatto, perché il nostro genere, provvisto di cellule con doppio cromosoma X, sin dalle origini ha espresso propensioni operative altissime accanto a opzioni di natura sessuale autonome nello scegliere maschi amichevoli, inclini a spartire.

   Ancora oggi, nel componimento di Isabella Sordi, le incantevoli rose celebrate durante il mese dedicato ai defunti (prendendo il posto dei rituali crisantemi) acquisiscono sembianze muliebri per sostare qui con noi, mentre le scorgiamo continuare ad amare chi come loro ama, non solo grazie a un ininterrotto «diritto materno» della specie umana, nondimeno in virtù della costante fiducia, della fede nel rapporto erotico fondato sul preferire l’unione con uomini libera da vincoli aberranti di sottomissione. Non dimentichiamolo: per ottenerlo, le nostre paladine hanno affrontato «il vento e il gelo».

   Nella narrazione mitica, le figlie di Προῖτος (Pròitos, Preto) rifiutarono di prendere marito pur essendo state chieste in moglie, senza il loro consenso, da tutti i Greci: per aver disprezzato ῞Ηρα (Èra, sorella-sposa di Zeus), dea protettrice del matrimonio, e Διόνυσος (Diòniusos), dio iniziatore, furono aggredite da una malattia in grado di causare la perdita dei capelli e lo scolorire della pelle in chiazze bianche («Così come le rose /che perdono il colore», scrive Isabella Sordi). Per disgrazia, queste sorelle annientate, lasciate sole, nella poesia identificano ancora l’atto di amare con il “bello” della vita, del Creato: di conseguenza, allo scopo di difenderlo, di far sì che continui a sussistere, sono rassegnate ad abbandonare l’esistenza per amore, a «morire di bellezza». Purtroppo, il sentimento dellἔρως (èros) per cui sono cadute, dalla parte opposta si era manifestato unicamente in termini di ferocia, di perversione, frutto di disuguaglianza, magari di sfruttamento, il tutto mascherato da formalità retoriche, ambigue, contraddittorie.

   Vorrei concludere rispondendo all’appello dell’incantevole poesia (ricordate?) nella speranza che, nell’atroce dolore sofferto lungo l’intervallo del θάνατος (thànatos) - lungo? breve? - le rose della Sordi, sbocciate in autunno, abbiano rammentato quanto, nella notte dei tempi, per fare del male a un individuo si ricorresse al gesto di colpire un suo modello, ad esempio romperlo per imitarne la morte, o infilzarlo di spilli per provocarne ferite profonde. Tuttavia - le nostre rose lo sanno bene - il modello così costruito serviva anche per azioni buone, ideate per guarire o guadagnare prosperità. Il sacrificio delle donne-rosa equivale proprio a questo: al tentativo, come hanno potuto, di opporsi agli assassini per impedire che essi seguitassero a uccidere. Un sincero “grazie” quindi a loro, e a Isabella Sordi che non ha voluto dimenticarle per condurle a noi in un illuminante “incanto”.

 

 

Si ringrazia Adriano Camerini per l’assistenza nel corso della stesura del testo.

 

 

 

Isabella Sordi, nata a Udine, residente a Mestre, è stata per vent’anni docente di Letteratura Inglese nelle scuole superiori. Si è dedicata alla poesia fin dall’età di otto anni: «Ho ancora il ritaglio della rivista “Amica” su cui pubblicarono alcuni frammenti di mie poesie con giudizio positivo. Ero quindicenne e tra i giurati c’era Dino Buzzati».

Ha pubblicato le sillogi poetiche Un Dio felice (Vitale, 2002), Sopra i cieli di Berlino (Arezzo, 2013) e In un vorticoso tango (2022), questi ultimi editi da Helicon. «Mi piace sperimentare la scrittura in altre lingue: ho scritto poesie in inglese, spagnolo, friulano e nei dialetti veneto e romanesco».

Collabora attivamente con vari gruppi culturali di Mestre e di Venezia attraverso letture, incontri e conferenze. Con l’associazione La Torre di Mestre, dal 2018 in poi, ha contribuito ai reading poetici “Attorno a una panchina rossa”, contro la violenza sulle donne.

È membro della Writers Capital Foundation e della International Academy of Ethics. Ha organizzato il Premio Letterario Intercontinentale “Le Nove Muse” a Mestre, nel 2022, del quale è stata Presidente di Giuria.

Ha conseguito numerosi primi posti in concorsi nazionali e internazionali tra cui “Dino Boscarato” (2008), “Città di Acqui Terme” (2009), “San Marco” (2010) e “Certamen Apollinare Poeticum” (2023), nonché vari premi speciali tra cui “Scrittore dell’anno” alla Rassegna Letteraria Olympus e “Writer of the Year 2023” alla Writers Capital Foundation.

La poesia Le rose novembrine ha ottenuto il Premio Speciale “I Percorsi delle Muse” nel 2023 a Roma al concorso “I colori delle parole”.

 

 

33 commenti:

  1. Meravigliosa e struggente, tanto da sentirmi coinvolta, non solo in quanto donna, bensì come guerriera contro quel potere esercitato dagli uomini sulle donne....ho scritto uomini, in realtà li ritengo "smidollati"

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  2. Complimenti alla poetessa Sordi per l'ammirevole profondità del testo e all'autrice del saggio Cinzia Baldazzi per la spiccata capacità di affrontare questa delicata tematica in modo esemplare e didatticamente ineccepibile. Romina Monteleone

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  3. Versi meravigliosi , parlano di rose, bellezza , amore e morte. Io penso che nessuna donna non deve mai piu esserre ucisa , neanche subțire la violenza , în quanto , bella fisicamente o bella interiormente , e capace di generare la vita , crescere e educare i figli , e capace di lavorare, lavorare , lavorare, rinunciare , sacrificare, amare, amare , amare. Una donna come una rosa !

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  4. Colto, intenso e articolato il commento, in realtà un vero saggio, che Cinzia Baldazzi propone alla riflessione delle lettrici e dei lettori della poesia di Isabella Sordi: "Le rose novembrine."
    Difficile aggiungere ulteriori dettagli o considerazioni anzi direi , inopportuno, poiché tutto è stato espresso dalla critica di Baldazzi e dalle parole, poetiche sì, ma incisive e taglienti come lame affilate della poeta Sordi. Mi piace tuttavia sottolineare un passaggio dei versi :
    "Vestono di rubino

    e d'un rosso magenta,

    è sangue che scolora

    in una morte lenta." che attraverso sfumature cromatiche, quasi in punta di pennello, sottolinea il passaggio delle donne/rose dalla vita alla morte nel colore dei petali/sangue.
    Meritano veramente una riflessione profonda le parole dell'una e dell'altra DONNA.
    Grazie in nome di tutte noi femmine .
    Eugenia Serafini
    Docente Universitaria, giornalista, artista.

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  5. Versi bellissimi delicati e struggenti dedicati e un commento critico di Cinzia Baldazzi costruttivo e ricco di spunti per riflettere, su un tema sociale drammatico, a cui bisogna porre fine come? …credo che le donne debbano imparare a difendersi con ogni mezzo dalla violenza e dalla prevaricazione maschile. Non solo fisicamente ma anche emotivamente.
    Donatella Calí

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  6. ...E cos'altro è,la Poesia,se non una Musa,quindi,al femminile!?
    La Poesia di Isabella Sordi,,apparentemente semplice e scorrevole,perfino con le rime...Certo,che fa tenerezza, nonostante lo scabroso sottofondo cui si riferisce.ma fa riflettere. (Orietta Less)

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  7. Leggo con gioia e stupore questi versi di purezza classica che mi invitano a seguirli come in una danza con la loro leggerezza cadenzata e ingentilita da rime. Ed è proprio questa leggerezza, profumata della dolcezza e della tenerezza dei sentimenti veri, che per contrasto, come in una ballata di De Andrè, rende più crudele e inaccettabile la realtà alla quale si allude. La rara grazie di questa lirica insegna, a mio avviso, come si possa fare al contempo alta poesia e denuncia sociale senza restare intrappolati nel cliché della letteratura impegnata.

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  8. Avevo avuto il piacere di ascoltare e, direi, di assaporare la dolcezza dei versi de “Le rose novembrine” al Dima Book a Roma. Avendo un giardino, conosco bene la resistenza di bocci di rose fuori stagione, a guardarli, toccarli, sembra quasi che con le loro spine oppongono una resistenza senza respiro nei confronti di quelli odorosi e spampanati di maggio. Sì, a novembre, mese dei morti e dei crisantemi, possono fiorire rose e non solo. Con i cambiamenti climatici, è facile, come avvenuto quest'anno in una mia aiuola, vedere papaveri rosseggianti. Un caso? (a novembre, ragazza uccisa dal fidanzato) Forse, ma, si sa, il rosso non sempre evoca passione, calore, amore. Negli ultimi tempi, troppo spesso, è sinonimo di sangue innocente che macchia la terra, sinonimo di inconcepibile violenza contro le donne. Mi piace sottolineare la risposta dell'amico Sorin alla sua amica dott.ssa Cinzia Baldazzi: “Tu non sei dalla parte delle donne, tu sei dalla parte della poesia”. Essere dalla parte della poesia, non toglie a Cinzia, il merito, l'impegno con cui affronta la penosa ed annosa tematica della violenza alle donne e della violenza in genere. Ciò non impedisce al lettore di cogliere la raffinatezza, l'armonia con la quale pennella e impreziosisce versi che, pur avendo nella loro drammaticità valore e liricità, acquistano dalla penna della coltissima Cinzia, una minuziosa cesellatura, uno sfaccettamento diamantino. Indubbiamente, delle rose di novembre che sfidano il gelo e donne vittime di femminicidio, che muoiono per un pseudo micidiale amore, nella poesia della Sordi, la sonorità raggiunge un livello poetico di alta bellezza, una dolcezza e oserei ingenuità disarmante (Non sanno che si può morire di bellezza) Sic, è così. Ben lo sa l'autorevole critico Cinzia Baldazzi che immediatamente chiama in causa il concetto di una “Bellezza poetica” non astratta, ma, umana, concreta, anche se a volte di crudele violenza. Dimenticare il male è difficilissimo, non c'è laser atto a cancellarne le cicatrici, ma anche la felicità come quella delle rose novembrine è altrettanto difficile da dimenticare, a volte come boccio infreddolito sfiorisce lasciando un vuoto gelido nel cuore. Cinzia cita la bellezza di Elena, beltà di dea che tutto fa perdonare, bellezza che non si vergogna di far soffrire e morire Teucri e Achei e l'uccisione delle ancelle di Penelope; dunque morire come di bellezza novembrina, un tempo erano uomini e donne. Qui Cinzia, come Omero, interrompe la poesia o meglio, ci pone davanti a una poesia che frena il suo corso dinanzi all'indicibile tormento della morte. Il nostro genere è provvisto di cellule con doppio cromosoma X? Sì, ma questo non toglie che affrontare il vento, il gelo, la sottomissione, le costrizioni, la ferocia di tanti che prepotentemente con forza bruta si credono maschi, richiede coraggio, conoscenza, volontà ferrea, unità di intenti. (Papa Francesco: “nessuno può vivere da solo”) E allora, come scrive Cinzia, le rose sbocciate in autunno, ci rammentano sì il male delle spine, ma anche il bene, la favolosa magia del loro pungere per amore donando amore. Anche scolorite, le rose riescono a regalarci profumo e colore in ogni stagione dell'anno. Complimenti all'autrice Isabella Sordi per il delicato componimento. Un caro sincero grazie a Cinzia per quanto esposto, per la poesia e la storia che è riuscita a far fiorire in questa sua recensione.

    Antonietta Siviero

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  9. Il ritmo dialogante della poesia, che si esplica con l' efficacia di un narrato scorrevole, grazie anche all'uso della rima, sinuosa evocativa e mai banale, scolpisce il suono e il tempo della Bellezza ,non solo quella delle donne,che si destreggia e vince, tra vulnerabilità e forza.
    E come le rose, esssa non muore, perché la sua capacità di essere sangue e genitrice, viola il patto con la morte, affermandosi , invece , come forza e colore dell' esistere.La Bellezza è Madre , anche quando l' inverno partorisce l'asciutta dei fiumi.
    La potenza letteraria della recensione a corredo ,resa da Cinzia Baldazzi, splendida madrina culturale, tiene a battesimo nuove, altisonanti e auliche immagini poetiche che si aggiungono alla lirica della Sordi, per accompagnarci in un percorso di lettura che si eleva e ci eleva, per i riferimenti e rifinimenti culturali cui Cinzia ci ha da sempre e piacevolmente abituati ,grazie al suo sconfinato sapere,al cui convivio corriamo per attingere bellezza. Con Cinzia la lettura della lirica acquisisce un nuovo slancio che è a sua volta creativo di una visione piu' ampia e meno tetra,dove Vita e Bellezza diventano Tempo e Musica di un eterno che è in noi e che nessun novembre potrà mai scolorire.

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  10. La poesia è struggente, il commento di Cinzia Baldazzi è colto e raffinato e ricerca le radici della violenza sulle donne fin nelle più antiche civiltà. Adriana Bellanca

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  11. Un componimento poetico, quello di Isabella Sordi, di eccelsa levatura, sia per le immagini evocate, che potrebbero suggerire in prima analisi la dolcezza di fiori sbocciati nonostante il gelo, il freddo, un inno all'amore; ma al contempo un collegamento sanguigno, di morte, che tratta un tema sociale purtroppo sempre di grande attualità: la violenza sulle donne.
    Il saggio critico, direi più che analiticamente espresso in maniera eccellente ed esaustiva dal critico letterario Cinzia Baldazzi, permette di immergerci in un contesto culturale di alto livello che spazia dall'antichità ai giorni nostri. Consiglio di leggerlo senz'altro, è un arricchimento interiore.
    Rita D’Andrea

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  12. Apprezzo molto, infinitamente. Sempre grato a Isabella e a Cinzia per dare voce a situazioni di violenza sulle donne con il dolore ad esse inerente. Stiamo perdendo il valore di essere uomini, soprattutto speriamo nell'amore. Cara Cinzia, hai una giusta affermazione di responsabilità: con l'impegno, le tue parole verranno ascoltate.
    Nunzio Cammariere

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  13. Da ragazzina scrissi una breve poesia intitolata "Stupore", che diceva così: "Mi colse una rosa
    passando in giardino".
    Per dire che ho sempre subito il fascino di questo fiore. Associarlo al femminile non è novità.
    Così accade che, proprio in autunno, mi trovassi nel giardino di Udine, dove poche rose sopravvivevano al freddo incombente.
    Erano di una bellezza unica.
    Pensai subito alle donne, a quel loro farsi belle e forti quando si recano all'ultimo appuntamento, quello fatale.
    Ho letto appassionatamente la recensione di Cinzia Baldazzi e sono ancora emozionata e felice. Non troppo sorpresa: mi aspettavo un'analisi così profonda e piena di riferimenti alla classicità, conoscendo Cinzia seppur da poco e ritenendola, anch'io, 'regina di Cultura'.
    Quello che non mi aspettavo è che potesse 'cogliere' le mie rose con tanta partecipazione emotiva e tanto acume.
    Sin da capire la 'pietas' che da sempre sosta nella mia poesia, sin da comprendere che le rose novembrine non sono affatto perdenti, ma vittoriose, come l'Amore che sempre vince la Morte.
    La sua analisi è perfetta.
    Stupendi i riferimenti alle donne della classicità.
    Se è vero che le donne non sono mai 'sole', possono però esserlo interiormente quando devono affrontare da sole le difficoltà che la vita presenta.
    Nel mio "In un vorticoso tango" c'è un capitoletto ("Quell'abbraccio che manca") che è proprio dedicato a questa solitudine.
    Grazie infinite.

    Isabella Sordi

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  14. Molto belle, pure e sensibili, oltre che delicate e formalmente eleganti, le “rose’ poetiche novembrine di Isabella Sordi, impreziosite dal commento dettagliato e dal racconto di Cinzia Baldazzi, che ho trovato precisa, puntualie, estremamente competente e pertinente nello sviscerare e sviluppare, attraverso l’analisi del testo, il tema, sotteso al componimento, della violenza contro le donne, intesa come inganno, raggiro, brutale tradimento del vero incanto della Bellezza. Donne quindi “stinte' nell’anima, tragicamente trafittte e “uccise” da un amore malato, che in realtà dovrebbe donare vita, felicità e rispetto. Donne, come efficacemente sottolineato da Cinzia nella sua articolata esposizione, pronte a “morire” per una bellezza autentica, istintivamente primordiale e materna, per questo intimamente salvifica, innata e potenzialmente energica nello spezzare la catena del male e della sottomissione e sopraffazione. Grazie a Cinzia e all'apprezzata autrice Isabella Sordi per gli “incantevoli” pensieri e approfondimenti .

    Giuseppe Guidolin

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  15. Trovo semplicemente fantastica questa recensione. Sono tanti gli spunti di riflessione originati dall'analisi della poesia di Isabella Sordi. Tra gli altri, la prof.ssa Baldazzi cita la Ehrenberg, che rivaluta il ruolo della donna come cofondante il progresso dell'umanità, non certo ancillare alla figura maschile. Mi ricorda quasi il motto africano "le radici non fanno ombra": è proprio la donna, tradizionalmente collocata (o voluta collocare) all'ombra dell'uomo, che invece è alla base della solidità, della continuità della nostra società, o meglio di tutte le collettività che hanno avuto un futuro, direi. Altro che "imbecillitas" (fragilità) che le affibiavano gli antichi romani! Che bei ricordi poi riaffiorano dalla citazione della grecista prof.ssa Cantarella, ordinaria di diritto romano alla Statale di Milano, collega della prof.ssa Marcella Balestri che mi laureò in giurisprudenza con lode...25 anni fa e sembra ieri...

    Sulla Poesia della Sordi, la p maiuscola non è un errore di battitura: un settenario gradevole, con rime alternate e un gioco studiato di assonanze e allitterazioni nei versi non rimati. Perché quel settenario così lapidario e ossimoricamente così armonico al punto da rappresentare, insieme all'ottonario, il metro tipico della filastrocca? Perché il femminicidio è una "favola al contrario" che si ripete, purtroppo, con cadenza periodica...e dove la vittima cambia solo il nome, vestendo il medesimo rosso magenta, cremisi, carminio...dell'amore tradito. Complimenti alle due autrici per questo saggio di bravura che fa bene agli occhi e al cuore.

    Flavio Provini

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  16. Il tema delle rose accostato alla figura femminile credo nasca spontaneo, un binomio di bellezza, resistenza e dignità, anch'io mi sono ispirata ad esse e in un mio haiku sul tema della violenza sulle donne, cito le rose che anche se strappate e sparse al suolo, continuano a rilasciare il loro intenso profumo. La poetessa Isabella Sordi traccia con la metafora delle rose novembrine un percorso esistenziale che, ahimè è tanto, troppo attuale e diffuso, che scuote e coinvolge ogni donna perché non si può restare impassibili a tale fenomeno. Il profonfo commento critico della dottoressa Cinzia Baldazzi come sempre, ci fa spaziare in lungo e largo sulla problematica e diventa a sua volta occasione per allargare la conoscenza di tematiche ad essa connesse. La cara Cinzia inizia con una provocazione, il termine incantevole per definire la poesia della Sordi appare subito quanto mai improprio e riduttivo perché rischia di banalizzare una realtà molto preoccupante che vede bellezza e morte in un connubio inscindibile. Meritano tanta attenzione le immagini che spiccano nei versi : le corolle serrate, il colore rubino che scolora, il loro morire lentamente come in trappola verso l'inferno, l'ingiustizia subita nel silenzio della loro tragedia, l'incomprensione di chi li violenta soprattutto nella loro essenza più intima e la quasi consapevolezza di andare incontro alla morte. Ma non è un'arresa, attenzione, non è subire senza un lottare, è un narrarsi con tutto il coraggio di cui si è capaci per interpretare in modo solidale un dramma che è di ogni donna. Soluzioni infallibili non credo esistano, piuttosto bisogna continuare in un processo culturale di cambiamento educativo che coinvolga sia uomini che donne, l'incoraggiamento alla denuncia, la presa di coscienza che sottovalutare alcuni segnali è un gravissimo errore. Le rose novembrine sono bellissime, sono forti e anche a me fanno tanta tenerezza perché ancora in questo mondo molto spesso c'è chi non le sa ammirare e rispettare e le distrugge.
    Complimenti ad Isabella che attraverso la forza della poesia dimostra come essa può essere un' arma di denuncia molto efficace e a Cinzia che sa offrire generosamente occasione di confronto e di crescita.

    Giuseppina Crispi

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  17. Complimenti ad Isabella Sordi e a Cinzia Baldazzi per la poesia, toccante, evocativa, per certi versi struggente nella sua semplice, ma non banale metrica, densa di rimandi metaforici, e per le dotte, profonde note critiche, ricche di citazioni, di accostamenti poetici, filosofici e sociologici sulla tematica, purtroppo sempre di drammatica attualità, quale è la violenza subìta dalle donne, col perdurante, quasi quotidiano bollettino di nuovi femminicidi. Un tema sul quale anch'io avvertii il bisogno di esprimermi poeticamente, sentendo, a differenza di altri temi di vita quotidiani, sociali, la necessità di mettere nero su bianco l'ispirazione, dettata dall'emozione scaturita da tali tristissimi eventi. Sono consapevole che la poesia non cambi di colpo il corso degli eventi, ma che possa contribuire ad aumentare la coscienza critica, attraverso l'emozione dei versi, affinché ciò possa avvenire.
    Nicola Foti

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  18. Mi fanno tenerezza
    le rose novembrine,
    serrano le corolle,
    affilano le spine.

    Questi primi versi di Isabella Sordi per me racchiudono il senso di tutta la poesia sulle rose novembrine: fanno tenerezza per la loro ingenua e pura apparizione che avverte la minaccia del violento e allora d'istinto serra le corolle a difesa e affila le spine...al pari di ogni donna vittima del suo aguzzino.
    Quanto a Cinzia Baldazzi, molto riduttivo definirlo un commento, un interessante e completo saggio, direi.
    Mario Pino Toscano

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  19. La recensione di Cinzia Baldazzi focalizza appieno la valenza semantica della poesia di Isabella Sordi che, nell'ossimorica coesistenza di amore e morte, di bellezza e fragilità, sottolinea l'insondabile natura dell'indole umana.

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  20. Complimenti a Isabella Sordi per la profondità di questi versi che, con metafore delicate ma molto significative, ci portano purtroppo in una realtà che sembra non aver fine. Cinzia, come sempre, approfondisce l'argomento con le sue preziose note critiche analizzando i versi con grande competenza portandoci a riflettere su questa tematica così attuale.
    Spero che un giorno la poesia possa portare a un cambiamento. ❤️
    Lia Grassi

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  21. Dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare.
    Sì ... quell'aria gelida che attraversa i rapporti moderni, impedisce spesso di assaporare il fruscio della felicità, anche quando tocca ferite profonde che chiedono mute di essere medicate dal tempo, dall'affetto e dall' Amore. Ma l'affetto e l'amore a volte hanno un doppio volto, quasi impercettibile e perverso. Non mostrano mai il loro lato oscuro finché atterriti dal dolore passato si resta a terra.
    E colpiscono duro quando dalle ferite si muove nuova luce...
    E così che ...ciò che chiamavamo amore e affetto... scopriamo essere soltanto uno dei volti rudi della meschina mediocrità!

    Grazie per queste riflessioni...

    Continuiamo a dare e ad essere voce delle donne vittime di femminicidio,
    ognuna di noi...in qualsiasi forma!

    Maria Rosaria Intermite per vita_e_poesia.italy

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  22. Come sempre Cinzia Baldazzi non si smentisce nella critica di questi versi puri di Isabella Sordi. Sono leggeri i petali delle rose novembrine, anche se di color rubino-magenta che ci riporta a tutti i femminicidi, nessuno escluso. Cinzia spazia su ogni singola parola delle poesie, rendendole vive pur considerando che a novembre le rose si spengono con il primo freddo, come le donne che già sentono un presagio nel loro destino. Cinzia ha saputo trovare l'emozione che queste ultime rose hanno germogliato in lei con leggerezza e intensa
    gratitudine nel voler cogliere i petali bagnati di rugiada, come fossero lacrime versate dalla Poetessa. Isabella ci ha messo in mano le rose novembrine con delicatezza per non pungerci con le spine che ogni rosa ha; Cinzia ci ha accompagnato a capirne il senso. Grazie ad entrambe. Gianna Costa

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  23. José Carlos Morgana5 giugno 2024 alle ore 11:54

    Rendere il dolore al di sopra del dolore stesso, con versi che rifiutano il consueto, è saggezza e forza di generosa autrice.
    Saper cambiare lo stato d'animo di chi legge verso la bellezza e il dolore, tra spine e rose rubino, è saper andare oltre la poesia stessa.
    Complimenti all'autrice Isabella Sordi! Complimenti a Cinzia Baldazzi, un testo critico di profondità rara oggigiorno!

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  24. Congratulazioni vivissime all'autrice Isabella Sordi per la sua entusiasmante opera "Le rose novembrine": una lirica che mette in risalto una tematica che ci appartiene , rivestendola di leggerezza, di colori forti del cuore.
    "Come le rose che perdono colore, sono le donne sole uccise dall'amore ".
    Un viaggio metafisico, in un mese dove tutto si addormenta, non rinasce; mentre l'autrice sottolinea con un canto nuovo, svincolando con eleganza dai tratti formali dalla violenza di genere.
    Come descrive la grande saggista ricercatrice dell'arte di bellezza in prosa e poesia, Cinzia Baldazzi, mettendo in risalto la "bellezza poetica" come una sorta di ancoraggio, un messaggio all'amore che si ricuce, si reinventa, si rieduca. Rivendicando il ruolo di Donna che riscatta la sua morale dall'assurdità del malessere indotto.
    Fabiola Poliziani

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  25. La metafora della rosa, le spine, donne, donne abusate, tradite, nel sentimento più sublime, l'amore.
    Si vestono di rubino, magenta, colori che riportano a momenti bui, a cercare una via d'uscita, in questo caso a una morte lenta con l'amarezza e il dolore di un qualcosa che si è perduto per sempre.
    La bellezza che deve essere un qualcosa di osannato, protetto, amato, può portare alla morte.
    Un testo, “Le rose novembrine”, unico nella sua bellezza, nella sua tristezza; riporta a fatti tristi della cronaca più nera come il femminicidio.
    I miei personali complimenti all’autrice Isabella Sordi: riporta in pochi versi un mare di sensazioni e di emozioni inespresse ma ben marcate in ogni parola del testo, mettendo in luce l’innocenza nel portare tanta bellezza, sfiorita in un solo istante come le rose novembrine.
    Complimenti anche a Cinzia Baldazzi per il suo breve saggio dedicato alla lirica, lirica di una profondità unica.
    Ermanno Spera

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  26. Il tema del femminicidio è uno dei più crudi e sentiti, sebbene purtroppo non sia ancora affrontato dalla nostra società con la gravità che meriterebbe. Un componimento che coglie nel segno, omaggia le numerose vittime restituendo loro la dignità, l’immagine della rosa con tutte le affascinanti contraddizioni che ne conseguono: fragilità e bellezza, rinascita e caducità. La scelta dei verbi (serrare, affilare, sfidare) non è casuale: la fioritura è illusoria, l’estate di San Martino destinata a svanire come la breve illusione di un istante. E allora si tratta solo di lottare e difendersi, contro il mondo crudele che le circonda, una strenua lotta dall’esito già scritto: il sangue, la morte lenta, l’inferno. Il messaggio supera le parole e tocca il cuore. I miei complimenti all’autrice Isabella Sordi, così come a Cinzia Baldazzi che le offre una meritatissima vetrina espandendo, nella sua disamina, ciò che viene efficacemente suggerito negli inquieti e per questo incantevoli versi. Con l’augurio che tanto l'una quanto gli altri riescano a raggiungere e toccare quanti più cuori possibili. Dora Laganà

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  27. Le rose di Isabella Sordi ti colpiscono subito per la piacevolezza estetica delle quartine di settenari rimati o assonanti. È la musica del verso che ti suona dentro creando una pioggia di emozioni sia nei cultori della metrica classica, sia nella mente e nel cuore di tutti gli amanti della Poesia. Non si può non avvertire la fluidità del ritmo compositivo intimamente connesso all’intensità del contenuto umano e poetico. Piacevole incontro, quindi, con immagini evocate con delicatezza dalla poetessa, senza sfuggire al tema funesto della morte, dall’orrore del femminicidio. Si avverte in tutta la sua drammaticità il sacrificio di quelle rose votate a scolorirsi, chiudendo le corolle in un gesto di ultima protezione; ma resta sospeso il senso di impotenza, violenza, incultura, che grida da quelle rose. Non si può uccidere la bellezza. Si sa: la cronaca imperversa, i cuori sono induriti, “l’educazione al bivio”, (citando J. Maritain, uno dei miei filosofi e pedagogisti preferiti). Naturalmente moltissimi spunti di riflessione e approfondimento nascono dalla lettura del saggio di Cinzia Baldazzi, dalla sua saggezza e sapienza critica, capace di condurre ad unità i lampi emanati dalla lirica di Ila. Cinzia si immerge con la forza della sua cultura nel disvelamento di tanti nodi cruciali. Sappiamo che la Poesia è misteriosa, ma l’Arte di Cinzia aiuta a penetrare nel tessuto tematico e apre a riferimenti letterari di notevole spessore. A Cinzia giunga il mio sincero apprezzamento per il suo brillante saggio, a Isabella i complimenti per le sue splendide rose e al Prof. Nazario Pardini un ringraziamento sentito per l’accoglienza su Léucade.
    Marisa Cossu

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  28. Cara Cinzia, grazie, perché vuoi dar voce alla mia anima e mai ho conosciuto persona così generosa e rispettosa del cuore altrui. Difficile esprimere un commento dopo aver letto il tuo saggio in cui tutte le corde, con misurata profonda passione, vengono toccate. Ogni verso, ogni parola viene accolta, indagata, scomposta nella sua essenza e riproposta, attraverso cuore e cultura, per esaltare il messaggio che nello scrigno di questa poesia, come perla, riposa, palpitante.
    Delle rose novembrine immagino sfiorire rossi petali nella lenta morte di un crudele inverno-inferno che è violenza e indifferenza. La tenerezza nei versi risuona di nostalgia, rimpianto, compassione, non più semplice parola ma mesta carezza che tutti raggiunge. Eppure, oltre il dolore, quanto indomito coraggio nella sfida al vento e al gelo, quanto inguaribile inarrestabile innocente amore. Si può morire di bellezza ma la bellezza non muore.
    Adriana Galano

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  29. La lettura della poesia Le rose novembrine di Isabella Sordi sorprende e incanta per la musicalità del verso che permette all’autrice di affrontare le spine con una grazia che pur nella consapevolezza dolorosa di un dramma, di una tragedia che oggi segna ahimè quasi ogni giorno con una ferita rosso magenta la vita di una donna e che quindi ci coinvolge tutti, e ripeto tutti, consente tuttavia di arrendersi alla bellezza, come scrive altrove l’autrice e che, come ci ripetiamo con sempre minor fiducia sulle orme del Principe Miškin, salverà (forse) il mondo.
    Ho sottolineato non a caso che il tema della violenza sulla donna è un tema assolutamente non “di genere”, anzi coinvolge e chiama all’assunzione di responsabilità anche, e direi soprattutto, gli uomini e questo è molto ben espresso nella recensione della professoressa Baldazzi. Più che di una recensione potrei qui parlare di un saggio, perché per profondità di analisi testuale e nel contempo ampiezza di riferimenti il testo della professoressa Baldazzi tale può essere considerato, con in più l’acume e la sensibilità al tema trattato che solo una competenza maturata negli anni possono consentire. Un occhio alla specificità del testo, un occhio sia a temi trattati nel tempo dalla classicità omerica sia a questioni più recentemente dibattute e presenti nel quotidiano panorama letterario-sociologico, la Baldazzi ci conduce con rara sottigliezza intellettuale e competenza di studiosa in un excursus affascinante e intrigante per i punti di vista suggeriti, per i nodi semantico-allegorici enucleati, per la complessità e la molteplicità degli scarti interpretativi in favore di una articolata lettura e godibilità di un testo che sotto l’apparente semplicità nasconde profondità e spessore non usuali.
    Silvana Leonardi

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  30. Una poesia struggente e un saggio che sa commentare e illuminare senza diventare mai un pezzo da addetti ai lavori soltanto.
    Direi che la poesia è il saggio si armonizzano meravigliosamente. Grazie a entrambe per questi doni!

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  31. Cara Cinzia, ho letto la poesia, ho letto la tua recensione e successivamente la miriade di commenti che essa ha ispirato. E in verità non ho nulla da aggiungere, se non unirmi ai tanti che hanno elogiato e condiviso le tue magistrali osservazioni.
    La poesia è decisamente bella; soprattutto la prima quartina destinata a lasciare il segno. Poesia apparentemente semplice, senza artifici, ma in realtà ogni parola, ogni verso, hanno un ritmo interno che denotano un raffinato mestiere. Lirica pervasa di dolcezza e di mestizia che non possono non scuotere gli animi più sensibili dinanzi al tema che in essa si adombra.
    E tu questo tema lo analizzi, lo svisceri, lo porti alla luce prima facendolo tuo in una sorta di simbiosi, di assonanze di genere che sfuggono ai più; e poi lo dilati rendendo universale ciò che prima era un intimo sentire. Lo dico da tempo.
    La novità maggiore di questo primo scorcio del secolo è rappresentata dalla miriade di voci che raffigurano il mondo al femminile, in maniera diretta, senza più deleghe per interposta persona. E quindi assistiamo ad una poesia più nuova, più fresca, dotata di una vitalità sorprendente in virtù di un sentire che, soppresso per millenni, ora d'un tratto prorompe, manifestando tutta la sua genuinità.
    E tu, Cinzia, fai bene a dare voce a queste voci, conferendo ad esse la ribalta che meritano. Perchè in esse è il futuro della poesia, non più legata a schemi tradizionali, ma fortemenete innovativa in virtù di una realtà coniugata al femminile. Mai prima era avvenuto nell'ultramillenaria storia letteraria, salvo quel breve periodo giunto fino a noi sotto il nome di Saffo.
    Antonio Damiano

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  32. La poesia Le rose novembrine di Isabella Sordi è di una profondità immensa: la rosa rossa bella che affila le spine inconscia di doverle poi utilizzare. La dottoressa Cinzia Baldazzi ne ha letto tra le righe ogni piccolo particolare per cui ha messo in rilievo il significato sociologico, filosofico, etico morale conducendo il lettore in una lettura consapevole a trecentosessanta gradi della stessa e portando alla luce di quanto si possa esprimere in pochi versi.

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