Vogliamo
segnalare con piacere ma soprattutto con l'amore che si deve a un'amica e a un
autore caro alcuni inediti della mai troppo rimpianta Nina Maroccolo,
scrittrice, cantante, performer a tutto tondo toscana (ma da anni operante a
Roma) scomparsa prematuramente lo scorso anno. E' possibile leggerli infatti
sull'ultimo numero de "L'age d'or" rivista online diretta da Marco
Palladini a cui va il nostro grazie per l'attenzione e la cura mai banale delle
sue scelte. Sono tre pezzi in cui la scrittura visionaria, ipnotica e seducente
viene a rivelarsi all'interno di un dettato in cui l'affondo tra le pieghe e le
piaghe del dolore e delle aspirazioni umane sono sempre all'insegna di un
percorso di nudità e spoliazione verso quella creaturale cosmicità d'origine
del cui divenire la sua parola s'è fatta verso. Un percorso come detto fatto in
sinestesia d'accenti (a proposito del quale basti ricordare La rivoluzione degli eucalipti, opera
somma da cui è stata ricavata nel 2021 una preziosa mostra della Galleria
Comunale d'Arte Moderna di Roma) che il primo dei tre testi qui presentati, "Il
cavaliere azzurro" (il movimento artistico
d’avanguardia Der Blaue Reiter fondato
a Monaco nel 1911), ben sintetizza. A conclusione,
e a partire da questo verso: "Il suono è un'avventura adolescente narrata
per commuovere/ l'azzurro". Questo breve, incisivo, evocante testo la
ingloba, la ricorda tutta, soprattutto in chi avendo avuto l'opportunità di
conoscerla e frequentarla intimamente (come lo stesso Palladini per esempio) sa
perfettamente.
Ogni
manifestazione artistica nella Maroccolo, nel costume sapientemente e
asceticamente riportato nel rigore e nel cammino di un monaco che si sa e si
cerca nel trasfigurarsi misericordioso degli elementi di una terra amata,
sofferta e richiamata in tutto il suo incandescente stupore (e mai nel vezzo fine
a se stesso come di tanta espressione di questo millennio all'inizio). E nel
fuoco allora per quel che nel passaggio della carne è dato, un passaggio
profondamente e teneramente umano, e perciò nello strazio, anche, per quanto
proprio d'umano- sovente troppo, sovente sempre- affilato nella perpetuazione
degli sfregi. "Dove l'erba è premurosa" però, nell'indicazione della
direzione, come puro spirito varcando il
ponte (con lei e con Campana come da rimemorazione), nel lavacro prima però
non necessario ma in sé benigno, in sé vivo nella detersione delle/dalle
ferite. L'arte allora come fuoriuscita dell'anima dal bozzolo, finalmente
"farfalle giammai effimere". Come non effimero nel secondo testo (corredo alla prima
pubblicazione avente al centro la figura di Anna Franck) l'amore, di compagni,
di uomini e donne nella tensione di se stessi, dove la vita e la morte (che è
di ogni giorno) chiamano insieme a
dirsi. Ecco qui Peter il gemellino d'anima della Franck, nel bozzolo di cui
sopra, nel pensarsi e nel cercarsi di un maschile e un femminile di un Dio che
in loro si risolve nella casa celeste della grande anima che subito li ha se il
pensiero di Dio in loro è già Dio, nell'elevato discendere negli inferi poi di
quel secolo breve. Dio allora consorte l'uno dell'altro, l'uno
nell'altro consorte nel rovescio di un Dio che in loro si salva. Ed infine "L'antilope",
"parabola sapienziale,
simbolica e allusiva, facente parte di un massiccio, strepitoso incunabolo
tuttora rimasto inedito"così come presentato da Plinio Perilli nella cura
dei tre testi e nella forma degli jàtaka,
parabole sapienziali che "chiedono agli animali qui evocati di
antropomorfizzare a perfezione i vizi e i caratteri degli uomini" (ancora
Perilli). Non abbiamo altro da aggiungere se non invitare alla lettura e
all'approfondimento della scrittura e dell'opera di una donna che ancora molto
avrebbe avuto da chiedersi e dirci. Ciao Ninetta.
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