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martedì 18 giugno 2024

Maria Rizzi su " Sampietrini " di Luca Giordano edito da Marcianum Press

 

Il titolo dell’ultima Silloge dell’amico antico Luca Giordano è già promessa di scelta diversa, di salto nelle verità dell’esistenza. I blocchetti di leucitite utilizzati per realizzare il lastricato stradale del centro storico di Roma e di Piazza San Pietro ci introducono in un viaggio lirico di quattro sezioni: Sampietrini, Vivere, Nomi, Mare. Il libro è nudo. Bianca e semplice la copertina, nessuna prefazione, solo una breve post - fazione. Si evince la volontà del Poeta di dare voce soltanto ai versi e alla loro potenza. Luca, nella prima parte, presenta Roma, la città dei fasti e della gloria, da un nuovo punto di vista. La introduce, con la discrezione che lo caratterizza, come paese abitato da un milione di persone, come metropoli di giardini, quartieri e periferie e come città di persone comuni, di diseredati, di ultimi, senza arrogarsi mai il diritto di sentenziare, anzi riuscendo a vestire di poesia le immagini che passano inosservate o possono sembrare tristi. “Nella città la pioggia mattutina / ha colorato alcuni ciuffi secchi./ C’è un’aria mossa, come cristallina, / le pozzanghere sono degli specchi. / In due seduti su d’una panchina / si son scordati lì d’essere vecchi” - la lirica “Largo Ravizza”-.  Il distico finale di questo componimento di una purezza incandescente è rappresentativo del mondo di Luca. Due estranei seduti vicini dimenticano lo scorrere del tempo nella melodia di un giorno nuovo, dell’aria trasparente dopo la pioggia.  E la Silloge nuda è già vestita. Un ritratto comune, anonimo, che passa inosservato a tutti, viene sublimato dalla sensibilità del Poeta, e commuove. Luoghi che rendono la capitale ‘principessa’ sembrano trasformarla di colpo in cagna che si lecca le ferite. In realtà è solo il punto di vista che cambia. Diviene quello del romano, che guarda dal basso la città che ama. Struggenti i versi della lirica “Lungotevere degli inventori”, caratterizzati dall’arte della sottrazione, come moltissime poesie del testo. “Tremano le foglie al tocco del vento. / Un lampione è nuca che s’allontana. / C’è una tristezza che toglie il respiro, / i passi che hanno un ritmo conosciuto./ Alzo la testa: è arrivata la notte”. Le rare metafore sono incisive come lame e le chiuse hanno il sapore delle piccole grandi rivelazioni. Leggendo si ha sempre più l’impressione che il Nostro conosca i segreti dell’essere Poeta: sollevare i quotidiani veli di Maya evitando di calarsi nel mistero e nel confine . In “Portico D’Ottavia” la storia personale di Luca si affaccia timida e non gonfia d’orgoglio come potrebbe. “La patina antica delle rovine /graffiate dalle unghie dei deportati. / Io, muto come le colonne scure, / mi ricordo i racconti di cinque ebrei / nascosti a casa nostra e poi salvati.” I versi di una lirica di dieci versi, scandiscono a suon di ottonari il mondo sommerso di Roma: “…e continuo sulla strada. / Vedo un vecchio tutto rughe, le sue mani tartarughe, il Bastone fa da spada./ Poi il Foro, un po’ di cielo, / i barboni son vissuti, / i turisti un po’ sperduti, / i lampioni con lo stelo. / E nel flusso dei pedoni / tutti sembrano più buoni”. - la lirica “Via IV Novembre” - . Sento di dover riportare per intero alcune poesie, non solo in virtù della loro brevità, ma dell’importanza che l’Autore attribuisce a ogni parola. Nella sezione Vivere il viaggio di Luca si focalizza sulle persone. Straordinaria la lirica che apre la sezione “Passa dal corpo il cielo”: “Passa dal corpo il cielo / trova spazio e colore / la rete dei tessuti. / Non è solo terreno /la trama, questo intreccio / che pure mi attraversa”. Il pensiero va a Salvador Dalì, di fronte a questo dipinto. Egli asseriva che “Il cielo non si trova né sopra né sotto, né a destra né a sinistra, è esattamente nel centro del petto dell’uomo che ha fede”. Luca è uomo che scrive dal basso, ma è teso alla verticalità. Lo dimostrano i versi sugli amici, ‘i suoi amici prediletti’, con i quali trascorre le ore libere, ovvero i disabili, coloro che sanno rendere le debolezze punti di forza. “Stessi sempre con voi, / amici, quando lui / ci ridarà il corpo, / che anche il suo amore / passa dalla bocca, / dagli occhi, le mani. / Percorre l’udito, / passa dalla pelle”. - la lirica “Stessi sempre con voi” -. Il Poeta, teso ad arco verso tutti gl aspetti dell’esistenza, è ovvio che scorga negli alberi, miracoli del creato, capacità d’espressione, che legga la loro anima. “Canta presto il pesco, / lancia un grido rosa / verso il cielo, brucia / subito il colore” - la lirica “Grido rosa” -. Luca sembra desiderare che la natura entri negli esseri umani come i raggi del sole filtrano le fronde degli alberi. I suoi versi parlano sempre più di pietas, di quel sentimento che etimologicamente indica amore, compassione e rispetto: “Non si nasconde tra la folla un corpo / che randagio per le strade è tradito / dalle tracce della solitudine. / Si ruppe come un oggetto fragile. / Poteva essere amica, uomo, / bambino da crescere, figlia amata” - estratti da “Vagabondi” - . Nella terza parte della Raccolta dedicata ai Nomi il Poeta offre ritratti di persone conosciute e di elementi poetici della natura, come “Daniela”, l’uccello dalle “lunghe zampe e becco grande”, che “salta nel cielo”. Quel cielo che passa attraverso i nostri corpi, è penetrato dalle grida del pesco, dai voli notturni di infinite ali … diviene nostra sostanza e terra di infinita scoperta per gli elementi della natura. Bellissima la figura di “Maria”  “Vivere diventa quasi morire, / come se non ci fosse altro da fare. / Ieri però è tornato quel ragazzo / venuto come acqua quando hai sete. / E finalmente ti sei presa il caffè. / La morte si è staccata dalla pelle”. La chiusa è in levare, ma racconta ancora la storia di una straziante solitudine interrotta da un gesto di solidarietà. Non si muore una sola volta. La fine è già nel derma delle creature abbandonate, rese scarti della società. Luca accarezza ognuno di loro e provoca in molti di noi, allenati all’indifferenza,  sussulti nelle coscienze. L’ultima sezione è per il Mare, elemento infinitamente caro al cuore del Poeta.”Avevo già quindici anni, / avevo il corpo asciutto. / Un vento senza soste / mi confondeva i sensi. Nel tuffo raccoglievo / frutti di mare al fondo. / Mi pareva che tutto / fosse per me: la terra / il mare, anche le stelle”- tratti da “Avevo già quindici anni -. D’altronde il mare permette la libertà dell’impossibile, dà alle braccia ciò che l’aria offre alle ali. Baudelaire scriveva: “Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio / contempli la tua anima / nello svolgersi infinito della sua onda”. E Luca gli fa eco: “Tempesta contro il solido strapiombo / soffiando forte il vento mi confonde. / Qui tutto si fa canto, non rimbombo” - tratti da “Sulla scogliera batte la risacca”- . La Poesia senza orpelli del Nostro cresce nelle varie sezioni e nell’ultima ci appare in abito da sposa, tra le creste delle onde, il fragore dei flutti, pur restando fedele ai concetti - chiave della Silloge. La distesa marina, infatti, non ha paese, è di tutti coloro che la stanno ad ascoltare, a est e a ovest, dove nasce e muore il sole. Il cielo, che si fa corpo nei versi di Luca, è l’altro volto del mare, l’uno continua a specchiarsi nell’altro in eterno, senza mai congiungersi. Ho l’impressione che l’amore del Poeta per l’azzurro infinito

esprima la convinzione che solo il mare possa perdonare i nostri inverni. La Silloge di Luca Giordano dimostra una volta di più che la Poesia è dentro, non fuori di noi. E che spesso sono i profondi solchi, le rughe dell’esistenza ad aprire la strada al suo cammino… 

 

Maria Rizzi

 

 

 

1 commento:

  1. Ringrazio il carissimo Nazario per aver pubblicato questo mio tributo all'Opeta del fraterno amico Luca Giordano. La Silloge contiene liriche incidive e dolci come poche. Abbraccio forte il Vale e l'autore.
    Maria Rizzi

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