Commento all'opera
Alla volta di Leucade
dell'autore
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Il viaggio tormentato di una memoria che dal ventre della terra
riesce a proiettarsi in mondi di onirica bellezza.
Che cosa sia la poesia è certamente uno degli interrogativi più annosi della storia dell’uomo. La sola certezza comunque è che necessita, volenti o nolenti, di realtà individuali, di singole esperienze, di vicissitudini ed emozioni personali, per aprirsi dal memoriale all’immaginario, dalla vita al gran senso. E questo volume io credo trovi la sua compattezza a proposito partendo dal sapore della realtà, da ciò che conserva di primitivo per ampliarsi sempre più verso prospettive di largo respiro, tese a farci aspirare a qualcosa che svincoli, sleghi. Il libro si articola in quattro sezioni: la prima Stagioni è legata in gran parte ai ricordi di esperienze giovanili maturate a contatto di ambienti terragni e assai difficili, dipinti con versi abbastanza crudi, anche se filtrati dal potere dell’immagine, e da un grande amore per la natura. Si chiude con l’aggiunta di quattro episodi sulla Liguria. “Perché mi parli sempre di una casa / di due stanze con nell’ombra un po' in disparte / un focolaio a struggere un gran ciocco / pigramente(...)” La mia casa. “Anche se acerbi / I frutti dei nostri anni li mangiammo / prima di maturare(...)” Zufoli e fili d’erba. “Ma non attecchivano / il pranzo con la cena. Non avevano / il coraggio persino di dormire / se guardavano languide che l’umido / tepore di lenzuola sul caldano / sortiva umor di pino.” Non ciurlavano nel manico le madri. “Mio padre / lo faceva lucente con i tonfi / d’arzilli correggiati.” L’aria è di cera. “Le mura sono scabre e le facciate / arse nel mio paese.” Facciate. Il filo conduttore continua nelle altre sezioni con un percorso ascensionale alla ricerca di una felicità laica: Poemetti serali, Fuga da settembre, Canti arcaici.E si fanno avanti il sogno, la fantasia, l’immaginario che non riescono comunque mai a liberarsi del tutto dal bagaglio del memoriale che ci portiamo dietro sempre più vago e nostalgico, ma vera vita, vita che resta, filtrata dal tempo, scampata e per questo degna di esistere in noi nel bene e nel male. E quello che ci tormenta è proprio il pensiero del suo destino. Chi lo affida ad una fede religiosa, chi al puro sogno, chi ad una fede poetica e chi laicamente ad un’isola quale potrebbe essere quella di Leucade, tentativo foscoliano come terapia al morbo del dubbio.
Sarà allora la poesia - mi domando - quella parte di noi che più si avvicina all’irraggiungibile? E Leucade rappresenta la purezza laica, la bellezza, l’isola dell’equilibrio classico, della realizzazione del supremo su questa nostra problematica terra, il tentativo di elevarci laicamente al sapore del durevole. E passando dalla prima alla seconda sezione è possibile cogliere quel senso di fuga dal colore vivo e vitale ma pur sempre mortale del terreno e l’inizio di un excursus verso un mito rappresentato già da Ulisse che riprende la sua navigazione. Non è soddisfatto di chiudere i suoi giorni nella staticità di un tramonto insulare. Riammaina le vele, impugna la scotta verso la demarcazione delle colonne. Impennata laica in un contesto medievale in cui primeggia la supremazia di un Divino intoccabile e imperscrutabile per chi che tenta l’avventura umana. - Ma come restare indifferenti all’impulso vitalistico che da tanti secoli l’Ulisse omerico e post-omerico ci trasmette invitandoci a tentare l’esperienza dell’eternità non attraverso l’immortalità, bensì tramite l’estrema intensità della vita? (F. Romboli) - “Ancora salperemo / oltre colonne, questa volta mitiche / d’impedimento ai sogni. Là più lucido / e più eguale all’eterno sarà il liquido / dell’Oceano aperto” Il ritorno di Ulisse, vv 43-47.
I poemetti costituiscono una commistione di mito, memoria, idealizzazione dell’amore, del sapere, dell’immagine di una terra quale la Campania , ad esempio, rivisitata in un’atmosfera di fantasia e di sogno; insomma determinano già una connotazione di distacco da un’esistenza di sapore troppo umano e ci introducono nella successiva sezione dal titolo di Fuga da settembre.
Ed è qui che si raggiunge dopo il percorso di una realtà settembrinamente idealizzata, e melanconicamente vissuta l’incontro con l’apparizione metaforica delle Eumenidi (Erinni nel libro Nerinni per accentuazione onomatopeica o Nemesie, male o bene, in me benevole in veste bianca per un immaginario compimento erotico paesaggistico) nella collocazione geografica del fiume paesano trasferito nell’isola di Leucade. Si chiede aiuto perfino a figure più e meno grandi che già si sono imbattute colla visione infernale delle tre donne, o col mito di Venere cipride o citerea. Incontri laici, comunque, sia coll’epicureismo di Lucrezio, sia col panteismo di Virgilio che nel VII dell’Eneide incontra le Erinni, sia con l’Ulisse di Dante, sia con le Grazie del Foscolo che con l’Edipo del Niccolini. Il linguaggio stesso subisce un’evoluzione di adeguatezza diacronica. Si insaporisce di termini arcaici, tende sempre più alla plasticità del distacco marmoreo. Ed è sullo scoglio di Leucade che si raggiunge il colmo di una scalata lirica che permette sia la dimenticanza degli affanni esistenziali, la ripulitura per così dire del vissuto, che l’amore del tutto, ora veduto con altra dimensione umana, direi quasi ebrietudine dell’immagine che si fa poesia.
La circolarità si compie nei canti arcaici. Dove tutto un mondo amato, in cui secondo me immensi erano i presupposti immaginativi e creativi, irripetibili per liricità poetica, dipana una visione superlativa di amor vitae che si fa plenitudine di canto e di filosofia laica dell’esistenza. Le traduzioni di Lucrezio e Virgilio sono tratte rispettivamente dal Carer e dal Annibal Caro, e non poteva essere altrimenti.
Arena Metato 30/11/2009
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