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sabato 30 giugno 2012

Premio Letterario "Il Golfo", La Spezia


Verbale di Giuria Il Golfo 2012

La Giuria della 18°edizione del premio nazionale di poesia e narrativa Il Golfo 2012 organizzata dal centro culturale Il Golfo.Ha concluso nella riunione tenutasi in La Spezia il giorno 8 febbraio 2012 l'esame dei testi dei poeti e scrittori concorrenti ai quali sono andati i premi in conformità delle seguente graduatoria.
Per la prima sezione -Silloge Inedita -la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio alla Silloge -Sopra l'erba di TRAINA TINO di Trapani.
Per la seconda Sezione -Poesia singola- la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio alla Lirica -Ode alla mia terra-di BACCINO PIETRO di Savona.
Per la terza Sezione-Libro ediito di Poesia-la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio al volume-L'ultima fuga-di QUIETI DANIELA di Pescara.
Per la quarta Sezione-Narrativa e Saggistica-la Giuria ha deciso all'unanimità di assegnare il primo premio all'opera -Scuola di Poesia-di SANNELLI MASSIMO di Genova.
Il primo premio della prima sezione -Silloge Inedita-consiste nella pubblicazione gratuita dell'opera presentata.(l'autore avrà diritto a quattrocento copie).
Il primo premio della seconda sezione -Poesia Singola- consiste in un assegno di 1,500,00€
Il primo premio della terza e quarta sezione -Libro Edito di Poesia e Narrativa-consiste in assegno di 600,00€
I vincitori dei primi premi di tutte le sezioni riceveranno inltre una Targa Artistica Personalizzata
Al fine di fornire un'immagine più completa della partecipazione ,la Giuria ha deciso di assegnare altri premi.
Sezione Silloge Inedita
Sono risultate assegnatarie del secondo e del terzo premio le sillogi-Per il colore del grano-di CACCIA ANGELA di Cutro e -Labirinti di ZANELLO DONATELLA di Lerici.
Menzione d'onore
Pizzeghello Margherita di Rovigo con Scrivere
Fattorossi Anna Maria di Genova con Frammenti
Menzione con Merito
Portunato Nadia della Spezia con Luce d'arcobaleno
Deluca Barbara di Roma con Lungo il viale dei tigli
Encomio Speciale
Barbetti Rita di Querceta con L'autunno
Prada Vincenza di Parma con Pensieri
Vannucchi Giulia di Viareggio con Fiore di luna
Sezione Poesia Singola
Sono risultate assegnatarie del secondo e terzo premio rispettivamente le liriche-S'accorda il verso libero e sincero di MARCONI FULVIA di Ancona e -Il giardino segreto di POGGI FABRIZIA della Spezia
Menzione D'onore
Maestroni Alfredo di Malnate con Dove il mattino
Galimberti Giuliana di Mozzate con Al di là delle onde
Maranca Mara della Spezia con Quel novembre di anni fa
De togni Mariangela di Piacenza con Un campo di girasoli
D'aleo Marco di Trapani con Tendenze del vivere
Rossi Daniele di Fivizzano con Quasi monet
Menzione con Merito
Viola Mario di Torino con Ritorno di alfama
Croce Francesca di Ceparana con Il temporale della vita
Melandri Stefano di Ravenna con Felicità
Salvini Francesco della Spezia con La pendola
Follador Clara di Musile di piave con I due cuori di giorgio
Selva Maria Concetta di Rimini con Golfo marino
Encomio Speciale
Garzella Renzo della Spezia con Fittizzio
Contoli Antonio di Roma con ...e non avremo più paura
Manzo Giovanni di Marino con Manto d'amore
Villa Renato di Genova con Papà
Scaturro Giovanni di Mazara del vallo con Tormento
Gelli Laura di Pisa con Campane lontane
Premio della Critica
Alessi Franca di Firenze con L'amore sconosciuto
Montacchiesi Mauro di Roma con Mamma
Maggiara Nicola di Itri con Magia d'ottobre
Oggero Lorenzo di Pisa con A mio padre
Pagliaccia Massimiliano di Perugia con Il veliero
Viviani Giuseppe della Spezia con Come quando fuori piove
Sezione Libro Edito di Poesia
Sono risultate assegnatarie del secondo e del terzo premio rispettivamente i volumi-Senza sponde -di GRASSI TIZIANA di Roma e Animamante di DI CASTRO FRANCESCA di Roma
Menzione D'Onore
D'ambrosio Fiorella di Chieti con Epifanie di cieli
Ghillino Federico di Genova con Rintocchi d'ombra
Perilli Tullio di Loreto Aprutino con Sapere amare
Menzione con Merito
Franco Nunziata di Catania con Il senso della vita
Pacetti Massimo di Roma con Tempo massimo
Venuti Silvia di Varese con Oltre il quotidiano
Encomio Speciale
Dal bo Michele di Verona con Il poeta e il guerriero
Piccoli Renzo di bologna con Cantar de mi amor
Zangheri Stefano di Montevarchi con Dissolvenze
Sezione Narrativa
Sono risultate assegnatarie del secondo e terzo premio rispettivamente le opere-Il manovratore occulto- di DISTEFANO SANDRO MARIA di Catania e-Noi ancora vivi 1987- di SCALAS ETTORE di Roma
Menzione D'Onore
Cristadoro Diana di Genova con Cardarelli poeta della memoria
Casali Vittorio di Roma con Un balcone sulla via merulana
Biggi Cecilia della Spezia con Benjamin
Soliman Lisa di Legnago con I trucchi di elly
Pizza Silvia di Pescia con Mi hai fatto volare cosi in alto come nessuno era riuscito prima
Menzione con Merito
Carosini Antonella di Livorno con Uno scorcio di vita
Cantalupi Germano di Reggio emilia con La luna spezzata
Valentini Amelia di Pescara con Scuola di campagna
Duronio Paride di L'aquila con Viole d'autunno
Encomio Speciale
Avanzini Piergiulio di Genova con Collasso 61
Asti Andrea di Volvera con Come toro in mezzo alpetto
Mattavelli Laura di Monza con I percorsi della natura istintiva e intuitiva
Pozzi Gabriella di Varese con Io amo la primavera
Permio della Critica
Bernardi Gaspare di Pievepelago con Interludia
Barbaro Carmelo di Bologna con Piccoli mondi
Capanna Daria di Cecina con Le foglie gialle di novembre
Barite Daniela della Spezia con Qull'intrigante paesino che si chiama "Schiara"
Premio Narrativa per L'Infanzia
Alciati Paola di Torino con La pulce che voleva vedere il mondo
La proclamazione ufficiale e la cerimonia della premiazione avrà luogo alla Spezia il Giorno 15 Aprile 2012 alle ore 15,30 presso la SALA CONGRESSI del JOLLY HOTEL (Via XX Settembre 2)
Il Presidente
(Dr.Arch. CRISTIANO RUGGIA)
La Spezia 8 Febbraio 2012

Sandro Angelucci su "Intervista a Franco Campegiani"





Rispondere come ha risposto Franco Campegiani ad un'intervista letteraria (lasciatemelo dire, vista la fratellanza di pensiero che, con il tempo, ci ha sempre più uniti) non sarà usuale ma dimostra, inequivocabilmente, in che modo si possa parlare di poesia reperendo nella stessa le sue origini. Mi spiego: a Campegiani - sostanzialmente questo si evince - non interessa disquisire sugli argomenti di ordine "formale", egli vuole, per dirlo con le sue stesse parole, "superare il particolarismo, non certo per amore di astrazione, ma per cogliere...l'autentico valore della 'parte' nel cuore dell''universalità'..."Paradossalmente - sostiene - il poeta è deputato a scrivere solo per se stesso" ma è proprio così facendo che riesce davvero a comunicare: non con tutti, però,(questo, forse, spetta ad altri) ma con 'ognuno', non importa se diversamente, dei suoi interlocutori.
Era una premessa essenziale. Venendo alle domande, mi piace sottolineare ciò che afferma sulla contaminazione, che non può esistere laddove "esiste già 'in nuce' come valore" ciò che si apprende; il fatto di porre "innovamento e tradizione sullo stesso piano" perché non sia il manierismo il principale carnefice dell'espressione poetica; il parto gemellare della sua poesia e della sua riflessione filosofico-esistenziale, la loro indipendenza nella 'consanguineità'; mi piace rilevare un aspetto di estrema attualità, del quale tutta l'arte ha il dovere etico di farsi carico: "Oggi si deve comprendere che il destino dell'uomo e della terra è unitario": una presa di coscienza non più derogabile e vitale per chi si nutre (leggi poesia) della terra stessa. E, infine, voglio unirmi - fuggendo, come l'amico, da ogni retorica, a quello che più di un auspicio, anche per me, è una certezza: "la poesia salverà il mondo" - certo - "come del resto lo salva da sempre e lo ha già mille volte salvato".

Sandro Angelucci

venerdì 29 giugno 2012

Intervista a Franco Campegiani, di Nazario Pardini


Intervista
A
FRANCO CAMPEGIANI
A CURA DI
 NAZARIO PARDINI

                                                        
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento tratti?



F. C.: I dati biografici contano assai poco in poesia, dove si è chiamati a parlare della Vita, non della mia vita, o della nostra. Si deve superare il particolarismo, non certo per amore di astrazione, ma per cogliere il vero ed autentico valore della parte nel cuore dell’universlità. Paradossalmente ciò impone al poeta di scrivere solo per se stesso e al lettore di leggere solo per se stesso. La poesia, infatti, o più in generale l’arte, non parla al cuore di tutti, ma al cuore di ognuno. Sta qui la sua universalità. Superare il soggettivismo, o l’intimismo, è possibile soltanto se l’Io riesce a trascendersi, facendo spazio al Sé, all’essenza di se stesso che dimora dentro di sé. Il primo anello della catena relazionale è la comunione dell’individuo con se stesso. Se si salta questo anello, va in pezzi l’intera catena, in quanto la comunicazione diviene inautentica. Non è sufficiente sostituire l’Io con il Noi per ottenere un livello più universale della scrittura. Il Noi non offre alcuna garanzia di universalità, visto che è pur sempre una delimitazione soggettiva. La comunicazione poetica pretende comunione profonda, e questo non può avvenire ai livelli superficiali dell’Io o del Noi, dove il soggettivismo la fa sempre e comunque da padrone. E’ necessario che l’ego ponga fra parentesi se stesso per fare spazio all’alter ego (anticamente la Musa), immersa nel flusso misterioso dell’Essere e della vita. Siamo ben al di là del lirismo soggettivistico ed autobiografico, come anche al di là dell’impegno sociale o etico-civile. Tutto questo può costituire l’ambito in cui nasce la poesia, ma l’ambito non è che il recipiente deputato a raccogliere le essenze della poesia.



N. P.: Essendo uno degli interpreti principali della poesia e della cultura contemporanea, la sua poetica è in gran parte nota attraverso le innumerevoli recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei direttamente?



F. C.: In realtà non è molto ampio il bagaglio delle note critiche sulla mia poesia, per cui accetto di buon grado il suo invito a parlarne in prima persona. Con buona pace di Kant, ritengo che oggi non si possa più ignorare la cosa in sé e che occorra riprendere contatto con le profonde radici dell’Essere, senza per questo cancellare gli aspetti convenzionali della vita. Mi piacerebbe inoltre avvertire Wittgenstein che non tutto il linguaggio è tautologico o convenzionale, perché l’uomo ha la capacità, a seconda delle esigenze, di pensare non soltanto in fotocopia, ma anche in originale. Quando si abbandona alla mitopoiesi, egli davvero pensa ed opera in originale, giacché il pensiero che gli viene dall’oltre non fa che nominare per la prima volta il mondo. Ma è destino che ogni mitopoiesi si trasformi in mitologia, perché nessun poeta, come nessun uomo, può vivere in un perenne stato di grazia e deve assaporare la disgrazia per poter tornare nella propria grazia creativa. Il nostro pensiero ha bisogno di questa pulsazione. La creatività affiora improvvisa dalle zone segrete del nostro Essere per rivelare a noi stessi il senso arcano della vita. Sta qui la nascita del mito. Il quale inesorabilmente decade poi a fabula ripetitiva in attesa di nuove stagioni sorgive. La mia poetica punta a questo riscatto, a questo risveglio che si fa carico dell’oblio. E’ aurorale per certi aspetti e crepuscolare per altri. E’ elementare e problematica nello stesso tempo, per cui non ha nulla a che fare con lo spontaneismo espressivo.



N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?



F. C.: Sono profondamente colpito dal racconto edenico e mi catturano le culture native, così come quelle arcaiche, dove c’è un affiorare sorprendente di miti. Amo la cultura presocratica, antecedente la nascita del razionalismo antico. Mi avvince il mito omerico di Odisseo e quello dantesco del viaggio interiore. Mi affascina la poetica francescana per i contenuti catartici e verginali che propone. Nella letteratura contemporanea mi attraggono due poeti radicalmente diversi e opposti tra di loro, ma entrambi legati ad una visione a parer mio elementare della vita: Neruda, da un lato, per gli aspetti terragni e carnali della sua poesia; Tagore dall’altro, per gli slarghi e gli orizzonti cosmici del suo cantare. Materia e spirito, cielo e terra: polarità diverse ma allineate tra di loro. Al di fuori dell’ambito poetico, prediligo la letteratura scientifica che si avvicina alla spiritualità e viceversa, cercando il trait d’union, più che la cesura tra i due poli (anche se la cesura rimane). Un titolo emblematico? “Il Tao della fisica”, di Fritjof Capra. C’è un’ampia letteratura, diffusa soprattutto all’estero, su questo attualissimo capitolo di studi. Tuttavia il libro che prediligo più d’ogni altro ed al quale dedico le mie maggiori e migliori attenzioni è quello interiore, nemico acerrimo di ogni intimismo.



N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?



F. C.: Io credo nell’innatismo, non nello spontaneismo. La differenza è fondamentale giacché l’innatismo dà voce ai principi che vengono dall’oltre, mentre lo spontaneismo dà voce ai pregiudizi costruiti nel laboratorio storico-culturale. C’è un immenso lavoro da fare su se stessi per poter capire il proprio mondo interiore, ma se non si fa questo, la prospettiva è una soltanto: di venire rubati a se stessi e fagocitati sul piano culturale. Affinché le letture siano fruttuose, non si deve pertanto assorbire passivamente il pensiero altrui, ma bisogna cercarne il confronto con il proprio più autonomo pensiero. E dove risiede questo intimo pensiero? Socrate parlava di  maieutica, ovvero dell’arte di far partorire, di tirar fuori (ex-ducare) ciò che nell’individuo esiste già in nuce come valore. Va da sé che il problema non si pone per l’apprendimento della matematica e della geografia (ma potremmo anche fare altri esempi), in quanto questi non sono valori, bensì materie che si apprendono da chi già le conosce per averle studiate prima di noi.



N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta  ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?



F. C.: Non mi piacciono i pregiudizi. Di nessun genere, per cui pongo innovazione e tradizione sullo stesso piano. La poesia può nascere dovunque, se c’è il poeta in grado di cogliere i lati sottili della vita. Per me stesso rifuggo da una poesia troppo ricercata, con paroloni difficili, funambolismi stilistici ed elucubrazioni mentali. Tuttavia so bene che anche in quei campi può affacciarsi e si affaccia l’autentica poesia, come rivelazione gratuita ed improvvisa, non richiesta, di un qualche segreto senso della vita. Ciò che conta, a parer mio, è che non ci sia manierismo e che la poesia non venga costruita a tavolino. E’ fondamentale che venga rispettato l’impulso inconscio di partenza, rispetto al quale scrivere di getto sarebbe l’ideale. Essendo questo, tuttavia, un dono assai raro, ben venga il labor limae. Purché il fine sia di avvicinare l’espressione formale agli originari modelli ispirativi, e non al contrario di stravolgerli con manipolazioni successive.



N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di Case Editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?



F. C.: C’è una diatriba che si trascina da anni, riguardante la trasparenza dei premi letterari, le camarille, i giochi di potere delle Case editrici, eccetera. Tutte cose che sappiamo e che appartengono purtroppo all’andazzo generale dei tempi attuali. E tuttavia, a dispetto dell’andazzo, ci sono eccezioni di serietà. Si dirà che le eccezioni confermano la regola, ma in ogni caso non si può fare d’ogni erba un fascio. E soprattutto non si deve smarrire la fiducia di poter reagire a quest’andazzo, dando testimonianze dirette ed in prima persona di rigore professionale e di moralità. 



N. P.: Certamente sarà legata ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore?



F. C.: “Ver sacrum” è l’ultimo mio testo poetico, edito da Tracce Edizioni, ancora fresco di stampa. I tempi di scrittura sono stati alquanto lunghi: più di un decennio, alternandosi a sviluppi filosofico-metafisici del mio pensiero, che tra non molto vedranno la luce e che fanno seguito a La teoria autocentrica edita da Armando nel 2001. Ver sacrum può a tutti gli effetti essere considerato il contrappunto poetico di quella riflessione filosofica. Della quale, tuttavia, non è figlia, ma con cui nasce in parto gemellare. Identica è la matrice misterica delle due vie, una immaginifica e l’altra concettuale, indipendenti l’una dall’altra, ma ricche senz’altro della consanguineità. La struttura formale e lessicale delle poesie si è rinnovata e la costruzione del verso si è fatta più distesa, pur senza ridondanza alcuna, mentre la ricerca filosofica ha tratto giovamento dalla poesia, fino a configurarsi come una vera e propria teoria della creatività. Non sto parlando di teoria estetica, aspetto parziale dello studio filosofico, ma di teoria della creatività, proposta filosofica integrale. Che ruolo può giocare la memoria in questa visione del mondo, e più in generale nell’opera di un poeta? Fondamentale, direi. Purché non sia intesa come ricordo del passato, bensì come risveglio anamnestico di una coscienza universale caduta in oblio. Quando l’analisi interiore conduce a questo risveglio, ciò che si ottiene è un rinnovamento dell’intero campo della realtà. La quale nasce e rinasce in continuazione proprio a partire dal mito.



N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi?



F. C.: Non voglio ripetere quanto già detto a proposito dell’Editoria e dei Premi Letterari. La nostra è un’età di crisi e di mutazioni epocali e la letteratura (nazionale ed internazionale) non può non risentire di questo clima. A mio parere stiamo oggi vivendo nel tramonto dell’antropocentrismo, di quella cultura fondamentalmente razionalistica ed empiristica nata nella Grecia antica e tesa allo strappo dell’uomo dall’ordine naturale e cosmico al fine di garantirgli un autonomo destino. Oggi si deve comprendere che il destino dell’uomo e della terra è unitario. L’essere umano deve ristabilire quel patto di alleanza con le forze naturali e cosmiche che era proprio degli albori e che  pretende da lui di far girare i propri meccanismi psichici secondo ingranaggi universali. Non è un problema politico, come potrebbe sembrare. Politica ed antipolitica non caveranno un ragno dal buco. E’ dall’individuo che bisogna ripartire, e deve esser chiaro che lui soltanto può ricostruire se stesso,  nessun altro può farlo per lui. Fondamentale in questo processo sarà lo sforzo mitopoietico, l’impegno a farsi nuovamente illuminare dai Celesti per nuove stagioni aurorali del mito. In questo senso – senza alcuna retorica - la poesia salverà il mondo. Come del resto lo salva da sempre e lo ha già mille volte salvato.
   


N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?



F. C.: Non mi pongo il problema, se il riferimento è a poteri politici che non mi interessa assolutamente di avere. Ciò che mi piacerebbe, avendone le capacità, è invece di centuplicare i miei sforzi letterari nella direzione sopra affermata.

La sua intervista verrà pubblicata sul mio blog Alla volta di Leucade blog.

La ringrazio per la sua disponibilità.

Nazario Pardini                                                                                                        18/06/2012

Intervista a Sandra Evangelisti, di Nazario Pardini


Intervista
A
SANDRA EVANGELISTI
A CURA DI
 NAZARIO PARDINI

                                                        
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento tratti?



S. E.: Non ci sono state occasioni particolari. Mi è sempre piaciuto esprimermi attraverso la scirittura, fin da bambina. Ho iniziato a scrivere versi ai tempi del liceo in corrispondenza con l’inizio dello studio della lirica greca e latina del periodo classico. Sicuramente nelle mie poesie c’è una componente autobiografica, soprattutto nelle prime che ho scritto,  come credo sia naturale per tutti gli autori. La scrittura nasce come espressione della realtà della vita e del sentimento degli eventi vissuti, poi crescendo diventa sempre meno legata all’autobiografia per ricomprendere ed esprimere una realtà più universale, nella quale si possano riconoscere anche gli altri. Non credo, personalmente, nella classificazione in generi letterari della scrittura in generale, e non solo della poesia. Penso che quando ci troviamo in presenza di una scrittura creativa, anche il confine fra narrativa e poesia possa venire meno. Si tratta comunque di un’ espressione di creatività nell’uso della parola che richiede un’ armonia di espressione e una musicalità intrinseca, naturale.


  
N. P.: Essendo uno degli interpreti della poesia e della cultura contemporanea, la sua poetica è in gran parte nota attraverso le recensioni, le prefazioni, o le note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei direttamente?



S. E. : Credo che non sia facile definire le caratteristiche del proprio modo di scrivere. La scrittura per me è un  modo di vivere, un’ esigenza naturale. Nasce mossa da un impulso improvviso, un suono, un’idea, un’immagine e poi trova corpo nelle parole. Che a volte stanno a riposare per anni, e poi vengono riviste,rilette,rivissute e modificate fino a quando non trovano la giusta armonia espressiva. Quello che gli altri scrivono delle mie poesie, o che dicono, è sempre importante ed utile. Aiuta a crescere, a scoprire meglio se stessi, spesso rivela ciò che da soli non si riuscirebbe mai a vedere.

   
  
N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?



S. E. : Mi dedico a letture varie. Poesia classica e contemporanea, ma anche racconti, romanzi e saggi. Sono sempre stata molto curiosa, e quindi spesso inizio a leggere più libri contemporaneamente. Non c’è un libro in particolare, ma ce ne sono alcuni che tengo in evidenza e che mi piace riprendere in mano spesso per rileggerli più volte. Fra questi “Autoritratto”di Mario Luzi, e i racconti dei “Preparativi per la partenza” di Paolo Ruffilli. Sono per me testi assolutamente nuovi, stimolanti ed incisivi. Sto anche scoprendo e gustando meglio in questo momento la poesia di Giorgio Caproni. Attraverso letture e riletture del volume che ricomprende la sua opera in versi.



N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?



S. E. : Non credo che ci possa essere una contaminazione. Ogni autore ha un proprio particolare stile che non viene contaminato, ma invece arricchito dalla lettura di altri scrittori. Penso che la lettura sia importante e fondamentale per chi vuole scrivere. Non è possibile creare qualcosa di nuovo se non partendo dalla conoscenza di quello che c’è stato prima di noi e di ciò che ci sta attorno. E quindi la conoscenza di altri autori è una base ed uno stimolo fondamentale per tutte le arti, e in modo particolare nella scrittura.



N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta  ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?



S. E. : Penso che sperimentare sia importante, anzi indispensabile per progredire e andare avanti in tutti i campi. Trovo particolarmente interessante l’opera di Edoardo Sanguineti e la sua ricerca, perché spiazza  da ogni tipo di approccio razionale ai suoi versi. Cerco di spiegarmi meglio. Leggendo “Laborintus” sono riuscita anche solo in parte ad immedesimarmi seguendo il suono della lingua e delle parole, lasciando da parte il tentativo di un ragionamento sul significato letterale e sulla logica. Ho ascolato una musica, un’armonia che evocava contenuti nascosti dietro la parola. Credo che la parola poetica, in fondo sia questo: un’armonia che evoca significati fondanti e intrinseci alla realtà.



N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di Case Editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?



S. E.: Penso che spesso la qualità delle opere si possa trovare nelle Case Editrici più piccole che scelgono i manoscritti in base ad una selezione fondata sul contenuto più che su criteri ed esigenze di mercato. Non si può collegare immediatamente il valore di un autore alla notorietà e alle dimensioni economiche della Casa Editrice che lo pubblica. Spesso non c’è questa corrispondenza. Trovo che i Premi Letterari siano un po’ troppi, e anche qui non sono sicura che il numero corrisponda ad una reale esigenza di scoperta e di scelta di qualità degli autori. Mi viene il dubbio che qualche volta i Premi Letterari siano dettati da un’esigenza di interesse e di pubblicità degli organizzatori più che dei partecipanti. Questo, naturalmente, riferendomi alla nostra nazione e a questo particolare momento storico, che ho la possibilità di osservare anche da un punto di vista più attento e partecipe come operatrice nell’ambito dell’Amministrazione Giudiziaria.



N. P.: Certamente sarà legata ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore?



S. E.:  Non sono legata ad un’opera in particolare, ma istintivamente le direi che in questo momento ho a cuore la mia prima raccolta di poesie, Lascio al mio uomo, e l’ultima appena uscita Cuore contrappunto. Questo perché entrambe sono nate da una pressante esigenza di espressione interiore e perché le trovo molto semplici nei temi e nella scrittura. E la semplicità nello scrivere è un risultato, secondo me, difficile da raggiungere. E’ frutto di un cammino e di una ricerca, che a volte sembrano quasi circolari. Come se si ritornasse da un punto primitivo allo stesso punto, ma con un’espressione più completa e matura. I tempi di scrittura sono naturali, legati ad un’ispirazione che però ha necessità di maturare nel tempo, con riletture e riscritture continue e successive. Nella scelta delle parole seguo un’armonia e una musica istintive non dettate da regole e metrica, tendo a dimunire, a togliere parole nella revisione. Quasi per dare una capacità di incidere maggiore a quelle che restano. L’autobiografismo, come ho detto anche prima, secondo me è naturale nello scrivere almeno all’inizio. Si parte sempre dalla propria esperienza per arrivare ad un risultato più generale ed universale. La realtà, anche, è uno spunto necessario e un punto di partenza per l’analisi.



N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi?



S. E.: Penso che la letteratura contemporanea sia comunque ricca di spunti creativi senza distinzione fra nazionalità. La letteratura come l’arte in generale è in continuo divenire ed evoluzione, e richiede un’osservazione sempre molto attenta per poterne cogliere tutti gli stimoli e le potenzialità,e non  è sempre facile potere seguire e raccogliere tutte le espressioni. Non ho esperienza né conoscenza diretta della realtà dei grandi Premi Letterari e quindi mi riesce difficile esprimere impressioni su di essi. Sicuramente, come dicevo prima, credo che, purtroppo, il potere economico che troppo spesso è congiunto e si identifica nella nostra nazione con quello politico, abbia un ruolo importante anche nelle manifestazioni e negli eventi culturali a scapito della qualità e dei meriti effettivi. Penso che la poesia e l’arte in genere siano l’anima della cultura di una popolazione ed abbiano sempre la capacità di farci riscoprire i valori fondanti della vita e del nostro essere uomini. Se penso a questo mi viene in mente la figura di mio padre che quando ero piccola recitava a memoria la sera, tornato dal lavoro, versi di Dante, o di Leopardi o di Manzoni che gli erano rimasti impressi in modo particolare. Ripetere e riascoltare quelle poche armoniose parole era un modo per trasmettersi a vicenda affetto e valori fondamentali. Così ci si sentiva più uomini e più veri. Ricordo sempre quella voce paterna la sera, e mi fa ancora compagnia. Era bella. Vorrei che in tanti la potessero ascoltare, in modo particolare i più giovani, attraverso altre persone e altre voci, e si sentissero più uomini e più vivi.



N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?



S. E.: Non cambierei niente perché l’arte è un’ espressione naturale e innata nell’uomo, e tale rimane. Non può essere cambiata. E’ in continuo e naturale divenire come il vivere e come tutte le espressioni della natura. Bisogna essere attenti e ascoltare quel canto, quel dono e quella voce. Grazie.


  
La sua intervista verrà pubblicata sul mio blog Alla volta di Leucade blog.

La ringrazio per la sua disponibilità.


Nazario Pardini                                                                                                        278/06/2012

Lettura di: L. Nota. TRA CIELO E VOLTO. di N. Pardini


Luciano Nota. TRA CIELO E VOLTO. EDIZIONI DEL LEONE. Venezia. 2012. Pp. 74. Euro10

“Le puoi ancora incontrare

con bluse rammendate e scialli neri

poggiate agli usci delle case.

Col santino nel grembiule

parlano ligie dei figli lontani

limano con cura i grani dei rosari.”



Se  poesia è linguaggio quella di Nota è poesia; poesia zuppata di freschi sapori nativi decantati  nel cuore e nella mente e rinati a vita insaporiti di luci, di ombre, di suoni lucani. La decantazione è stata morbida e curata. Sì!, perché il poeta ha sempre saputo che quelle parole non erano solo sintagmi, ma involucri a rimarcare frammenti d’anima: “Sapevamo che dopo anni / ci saremmo ritrovati / piegati sugli arcioni / a lanciare i nostri palpiti agli aironi.” (AIRONI). Ed è l’ambiente, l’ambiente vissuto, con le sue realtà locali, con le sue tradizioni ancestrali, intatte nella loro virtù campagnola, a venire incontro al poeta. A porgersi alle richieste dell’anima: offerta benevola e sincera. Anche se stravisata da un tempo che inesorabile fugit.

Il mare, Il paese, L’inverno, Le rondini, Le anziane lucane, Gli aironi sono tanti momenti sentimentali concretizzatisi in corpi e in figure desiderosi di tornare a vivere. La realtà stessa è rivissuta quasi oniricamente. E’ traslata nel mondo poetico del Nostro e di questo mondo si vernicia e di tutte le sue valenze.  Se ne impossessa l’autore, rendendola sua, la vuole sua, fino ad offrirsi, però, in un impeto di trasfusione e di metamorfosi: “Per una volta / una volta soltanto / veleggiare con te / sull’arca dei venti. / Diventare io fronda / feconda chimera / sradicata dai sensi.” (A UN ACERO). E’ lì il paradiso, nel succedersi dei giorni, nell’alternarsi dei colori, nelle tensioni dell’amore: tutto terreno è l’afflato che lega l’autore alla vita. Eterno e immortale sa tanto di tristezza! “Che triste / una betulla immortale / mai scossa dal vento.” (PARADISO).

Direbbe il poeta: “La realtà, la memoria e il sogno cercano la parola per farsi vita”.  E questa è la poesia di Nota: una parola fresca, guizzante, nuova, ampliata, accorciata, a volte dilatata per andare incontro alle richieste umane e disumane di un sentire bisognoso di stilemi voluminosi e debordanti per contenerlo.



Nazario Pardini                                                                             29/06/2012

giovedì 28 giugno 2012

PREMIO LETTERARIO THESAURUS


mercoledì 27 giugno 2012

Cristiana Attinà, dal romanzo "Tutto da ricominciare"


Sono alla mia prima esperienza letteraria, per cui non ho biobibliografia degna di nota. Sono nata in provincia di Torino, dove risiedo, nel 1969. Mi sono laureata in Scienze Biologiche e ho esercitato la professione di informatore medico scientifico, fino al 2008, quando l'Azienda di cui ero dipendente pose l'intero organico in Cassa Integrazione Staordinaria. E così che in questo periodo di inattività professionale decisi di rispolverare dei vecchi appunti e provare a trasformarli in romanzo. In verità, senza molto impegno, decisi di inviare la prima stesura che ne seguì, all'editore Gruppo Albatros che la trovò degna di pubblicazione.
La ringrazio per l'ospitalità e Le invio cordiali saluti.
Cristiana Attinà 

TUTTO DA RICOMINCIARE


Camminavamo fianco a fianco, con lo sguardo rivolto verso la sabbia che si faceva mano a mano più granulosa, fino a diventare ghiaia e poi ciottoli. Scalammo le collinette sassose che il corso d'acqua dolce aveva creato con il continuo accumulo di detriti che portava al mare e che questo, con insolenza, gli restituiva. Giungemmo sulla sommità di quella più alta, ancora riscaldata dagli ultimi raggi del tramonto ma con l' incombente sagoma delle ombre dei pini marittimi che avanzava lentamente. La invitai a sedersi, ricordandole di fare attenzione ad eventuali aghi di siringhe nascosti fra le pietre. Una leggera brezza ci accarezzava il viso e fra le ciocche dei miei capelli scorsi quel suo ginocchio sbucciato. Era stata colpa mia, quella notte: era tardi e stavamo rientrando di corsa a casa in bicicletta. Io ero talmente euforico, come tutte le volte che mischiavo lei con l'alcol, che persi il controllo del mio mezzo e infilai la mia ruota sotto la sua. Qualche secondo e finimmo rovinosamente a terra sull'asfalto ruvido e a tratti ricoperto di sabbia, schiacciati dalle bici e incastrati sotto la siepe. E lei, invece di arrabbiarsi per la mia imprudenza, rideva così tanto da non riuscire a sollevarsi. Adoravo questa donna che alternava momenti di assoluto candore e dolcezza infantile, ad un fascino malizioso e maliardo. Ogni tanto desideravo di averla con me, nella mia Terra, di mostrarle i deserti e gli immensi spazi, di trascinarla sulle mie montagne, con i miei cani. Le confidai che avevo nostalgia dei miei paesaggi e glieli descrissi, rievocandone i profumi. Lei mi ascoltava quasi commossa, come se la condivisione di un momento per me così intimo, la gratificasse. Mi voltai verso il suo sguardo che era colmo di tenerezza e sembrava volesse dirmi “Abbi cura di te”, ma le sue labbra non parlarono, si poggiarono con delicatezza sulle mie. Il sole scomparve dietro la collina, lei infilò una mano tra il pantalone e il suo fianco ed estrasse un foglio bianco ben piegato. Mi pregò di leggere quella lettera l'indomani. La riaccompagnai alla bicicletta e continuai ad osservarla allontanarsi sinuosa sul lungomare finché il giallo della bici e il nero dei suoi capelli non si persero nell'imbrunire.


Naturalmente non ascoltai la sua richiesta, mi piazzai su una vecchia barca rovesciata sulla spiaggia, illuminata dal faro dello...

Brunello Gentile, La ladruncola (Racconto)



 La ladruncola

Il Nostalgia, splendido ketch di 15 metri, doppiato Cabo de Gata, giunse ad Almeria verso le 18.00.
Le tre coppie che avevano noleggiato la barca, sfinite dal vento e dal sole, decisero come sempre di cenare nelle vicinanze e rientrare subito per un ammazzacaffè in pozzetto. La camminata in città subì un inesorabile rinvio. Angelo, armatore e skipper del Nostalgia, dopo le solite insistenze accettò ospitalità al ristorante e ricambiò offrendo bevande più o meno alcooliche negli attimi di pigrizia prima del riposo. Da 15 anni proponeva crociere nel Mediterraneo spagnolo, dalla Costa Brava a Gibilterra. L’atmosfera confidenziale con ogni equipaggio pagante era una prassi, ma questa volta, per una reciproca simpatia, era nata quasi un’amicizia. In quei finali di giornata era bersaglio di domande sulle più svariate esperienze da skipper, spingendosi, soprattutto le donne, a curiosare sulle sue avventure amorose. Notarono tutti che lui, quella sera, era insolitamente distratto; non la smetteva, in piedi da solo, di guardare il mare oltre le dighe. “Quale grande amore ti ricorda questo porto?”, lanciò Nadia per prima. “Non era un grande amore, era una piccola ladra”, fu la risposta. Il silenzio prolungato che seguì lo costrinse a confidarsi. “Sei anni fa gli ospiti che avevo portato a Casablanca erano tornati con l’aereo e mi trovavo qui, in rientro a Barcellona da solo. Nel porto c’è un famoso velaio e mi sono fermato alcuni giorni per farmi realizzare una nuova randa. Un primo pomeriggio rientravo con la mia vela appena consegnata, deciso a provarla subito per far apportare eventuali modifiche. Scoprii immediatamente che c’era qualcuno sotto coperta e usai ogni precauzione per coglierlo di sorpresa. Era un grazioso visetto di ragazza quello che mi guardava sorridente e senza paura. Una borsa di tela su un divano della dinette era colma di oggetti che mi appartenevano. - Non denunciarmi, ti prego. Tu hai un sogno di barca, io rubo per vivere. - Svuota la borsa sul cuscino e vattene prima che cambi idea! - Eh, no! Devi lasciare che ti rubi qualcosa, altrimenti come mangio stasera? - Ti darò della frutta che ho in frigo. - Sarebbe elemosina, il cibo me lo devo guadagnare. O la prendevo a schiaffi o scoppiavo a ridere per quella sua strana logica. Non so perchè le feci una proposta altrettanto insensata. - Vieni in mare con me per darmi una mano. Ti pagherò facendoti rubare qualcosa; però dovrai dirmi cosa vuoi e deciderò io se lasciarti o no la refurtiva. Gli occhi della ragazza si inumidirono per la commozione. - Sono nata in Sierra Morena. Fino a 3 mesi fa non avevo mai visto una spiaggia. Davvero mi fai navigare? Liberò in fretta la borsa sul divanetto e mi guardò preoccupata. - Non è che vuoi gettarmi a mare? Non credo di saper nuotare. - Non dire fesserie. Togli la camicetta e indossa questa maglietta. Uscito all’esterno per predisporre l’uscita, apprezzai che ci fosse un bel libeccio per fare le prove necessarie ma non sospettavo davvero un mare così mosso; probabilmente risulta di qualche burrasca lontana. Appena lasciate le dighe giudicai un forza 5; la barca l’avrebbe affrontato agevolmente, per la ladruncola era un altro discorso. Mi consolò vederla uscire esibendo ancora un sorriso convinto. Corsi a recuperare una cinghia che le fissai addosso agganciando il moschettone al cavo d’acciaio. - Così non finirai in mare. Paura? - Perché? Non ebbi tempo di rispondere e fu raggiunta dagli spruzzi. Anche la gonna fu sostituita con un asciugamano di spugna. Continuò a sorridere felice nonostante ad ogni onda la barca venisse investita da una montagna d’acqua. Dopo un po’ era fradicia all’inverosimile. L’unico indumento che le restò fu la maglietta; bagnata com’era si trasformò in un velo sopra un corpo proporzionato ma ancora acerbo benché mi avesse confessato che stava per compiere 19 anni. Avrebbe potuto spostarsi per ripararsi in qualche modo, invece rimase tutto il tempo in piedi, tenendosi stretta ad una sartia, attendendo la sferza delle onde. Di tanto in tanto si voltava ridendo dimostrandomi tutta l’emozione che stava provando.
La randa funzionava perfettamente, ma i miei occhi erano puntati solo su quella visione di felicità; la ragazza sembrava dialogare con il mare, urlandogli addosso e provocandolo con la forza di una divinità; anche le onde sembravano giocare con lei come bambine dispettose e divertite. Io sono profondamente innamorato del mare e ho conosciuto altri che lo sono altrettanto, ma tutti per certi versi gli riserviamo un rispetto che deriva dal timore della sua imprevedibilità. Non avevo mai visto esternargli un amore spontaneo e sconfinato, senza remora alcuna. Quella ragazza sembrava volerlo abbracciare senza rendersi conto della sua immensità, tanta era la sua gioia di averlo incontrato per la prima volta nella vita. Una pioggia di gocce raggiungeva anche me al timone e questo confondeva le lacrime della commozione che a mia volta provavo. Rientrai in porto un paio d’ore più tardi e le ho fatto fare una doccia fin che io lavavo la coperta per togliere la salsedine. Al momento del commiato mi chiese solo di tenere per ricordo la maglietta ancora bagnata e se ne andò in fretta. Mentre mi riprendevo dagli effetti di quell’incontro ricordai che nel cassetto del tavolo da carteggio avevo 10 banconote da 100 dollari. Come supponevo le aveva scoperte, ma ne mancava una sola, sostituita da un biglietto scritto a mano. Ogni giorno devo guadagnare l’equivalente di 20 dollari per sopravvivere. Ne rubo 100 per permettermi 5 giorni da sola sull’estremità della diga ad incontrare il mare come oggi. Sono certa che me li avresti dati anche tu. Grazie.... Le parole di Angelo tradivano emozione. “Ti è andata bene che quella ragazza ti abbia rubato solo 100 dollari”, esclamò Luca. “Non mi ha portato via solo quelli. Mi ha rubato anche l’immagine del mare che io conservavo fin da bambino. Da quel giorno ogni volta che interrogo l’orizzonte mi appaiono solo il suo sguardo e il suo sorriso”....

   Dott. Brunello Gentile

PROFUMO DI NEVE, di Nicla Mati (Racconto)


Profumo di neve
di Nicla Mati

Stanotte, senza ragione, mi sono svegliata. La casa era immersa in un silenzio irreale. A piedi scalzi mi sono avvicinata alla finestra e ho guardato fuori dai vetri leggermente appannati. Quando ho aperto, il freddo non mi ha disturbato perché ero assorta ad assaporare il profumo particolare nell'aria.
E' nevicato,” ho pensato, “solo la neve ha quell'odore impalpabile e i rumori sono soffocati e attutiti come se tutto fosse avvolto nell'ovatta.” Ho visto il mio paese sonnecchiare sotto una candida coltre mentre lontano il cielo cominciava a tingersi d'alba. Da noi nevica raramente e, quando succede, le case coperte di bianco assumono un aspetto diverso e le luci che bucano le ultime ombre della notte ti ricordano che sei viva perché altri uomini si preparano ad affrontare il nuovo giorno.
Un aspetto diverso.
Sfumato come un ricordo lontano...

E' il quindici dicembre 1951. I miei settant'anni hanno lasciato il posto a una vivace bambina di dieci. Mi trovo all'Istituto Ortopedico Toscano, dove soltanto due mesi prima ho subìto un intervento alle gambe in uno squallido e affollato stanzone di terza classe. Il tanfo di urina e di escrementi che proveniva dai nostri letti permeava l'aria di tutto il reparto; tutti noi eravamo adagiati su materassi privi del lenzuolo sottostante, con un buco nel centro. Là, stava infilato un vaso da notte, dove veniva raccolta la nostra sporcizia, e che le infermiere svuotavano una volta al giorno. Per mia madre c'era solo uno sgabello a tre gambe su cui sedersi e riposare. In quel luogo, era palpabile tutta la terribile realtà della sofferenza umana. Due mesi dopo, mi trovo invece in una spaziosa e luminosa camera di seconda classe, con solo quattro candidi letti che profumano di pulito e una comoda poltrona dove mia madre può finalmente riposare e anche dormire durante i lunghi giorni della mia degenza, in attesa che mi vengano tolti i gessi e possa tornare a camminare. Solo un letto della stanza è occupato, là dove gioca un bambino vivace, Gabriele, mio coetaneo. Facciamo amicizia, mi colpiscono i suoi capelli ricciuti e lo sguardo birichino quando gli offro una delle bamboline di celluloide che ho portato da casa perché mi tenessero compagnia. La stanza adiacente è occupata da tre grandi invalidi di guerra soli al mondo, che si trovano lì in attesa che lo Stato Italiano dia loro un'adeguata sistemazione. Fra questi c'è Alberto, il mio amico grande, un tipografo bolognese che durante un bombardamento è rimasto schiacciato sotto una pressa, e da allora è costretto a camminare con le gambe rigide e ruotando quasi completamente su se stesso. I segni della guerra sono impressi a fuoco nella sua carne; queste cicatrici, tuttavia, hanno lasciato intatto il suo cuore. Alberto non ha perso la voglia di sperare, e soprattutto la capacità di amare. E' un uomo di media statura; ha trentotto anni, i capelli biondi ondulati e due bellissimi occhi azzurri. Ogni volta che entra nella mia stanza, un sorriso tenerissimo gli fiorisce sulle labbra e sale fino agli occhi, rendendoli simili a due laghi di montagna baciati dal sole. Non so perché Alberto mi abbia scelta fin dal primo momento, ma ho trovato in lui il calore, la tenerezza e le attenzioni di quel padre che non ho mai conosciuto, e lui la figlia che forse avrebbe voluto avere. Alberto riempie le mie giornate; quando torno in camera è lì che mi aspetta e il solo vederlo mi fa dimenticare la fatica e il dolore che devo subire giornalmente per poter correre di nuovo. Passa tutto il suo tempo con me, mi racconta storie fantastiche e sempre diverse, che mi portano in luoghi meravigliosi e lontani, distanti dalla mia sofferenza quotidiana. Spesso giochiamo a carte, sfidandoci in modo infantile. Quando siamo insieme tutto sparisce. Rimangono solo una bambina di dieci anni e un uomo che, chissà perché, la ricolma di amore. Passano i giorni, Gabriele viene dimesso e torna a casa, ma io non rimango sola: Alberto, il mio Alberto, escogita ogni giorno nuovi modi per farmi sorridere e gioire. Fra fisioterapia, racconti e giochi arriviamo alla vigilia di Natale. Al mio risveglio, all’alba, da uno spiraglio della finestra penetra un profumo inconfondibile... Profumo di neve. A piedi scalzi mi avvicino al finestrone della mia camera; gli alberi del giardino sono completamente coperti di bianco e intorno a me c'è un silenzio irreale che mi avvolge come una coperta calda. Ritorno a letto a godere di questa sensazione di quiete e di calore finché non viene giorno pieno e non mi portano la colazione. Visto che sono l'unica bambina rimasta nel reparto, la direzione dell'ospedale ha permesso a mio fratello Bruno e alla mamma di rimanere con me per le feste. Dopo colazione arriva Alberto e insieme con Bruno ci mettiamo a giocare senza accorgermi che mia madre si è allontanata uscendo sotto la neve, ed è rientrata portando un piccolo abete artificiale. Insieme all'albero, una scatola di palline che mi lasciano a bocca aperta: ognuna di esse rappresenta una fiaba: la scarpetta di Cenerentola, il fuso della Bella Addormentata, la casetta di Hansel e Gretel, i nanetti di Biancaneve, la lampada di Aladino e altre ancora. Tutto ciò è certamente costato una piccola fortuna che mia madre non potrebbe spendere in questo momento, ma il suo amore per me lo ha reso possibile. Passiamo il pomeriggio ad ammirare e addobbare il piccolo abete, mentre la mamma con pazienza spezza dei cioccolatini e li avvolge in carta stagnola rossa, appendendoli all'albero perché io possa trovare i doni di cioccolata a cui sono abituata. Quel Natale nasce sotto i miei occhi stupiti di bambina. La sera, con mia madre e mio fratello, ceniamo da soli serenamente. Tutta la mia famiglia è con me, poco importa il luogo in cui siamo. Subito dopo cena appare Alberto. Porta trionfalmente una torta ricoperta di panna, la mia preferita. Come ha fatto a indovinare? Che ci sia lo zampino della mamma? La torta e l'albero: due miracoli di questo Natale così pieno di magia. Ho l'onore della prima fetta. Più tardi, mentre stiamo giocando, volgo gli occhi verso l'albero e vedo sul tavolo due pacchetti apparsi come per incanto. Mia madre ha due amici fraterni, Gino e Marina: lui, falegname, ha costruito per me un lettino in miniatura per le bambole completo di rete e materasso, e un salottino rosa imbottito composto da due poltrone, un piccolo divano e un tavolo rotondo, mentre lei ha completato l'opera confezionando un paio di lenzuola con la trina e la coperta per il lettino, due cuscini ricamati per il divano, un centrino per il tavolo e un minuscolo vaso di porcellana. E’ il terzo miracolo di questa giornata da favola. Giochiamo tutti insieme, poi, quando le luci del reparto vengono abbassate, Alberto torna nella sua camera, mio fratello e mia madre si addormentano nei letti vicino al mio, ma io rimango a lungo sveglia a contemplare il mio albero che brilla silenzioso nella penombra, come una piccola stella. I giorni successivi riprendono il loro ritmo. Fisioterapia, fiabe e giochi colmano la mia giornata. L'otto gennaio 1952 torno a casa, finalmente in grado di camminare di nuovo, ma come tutti i bambini non sono del tutto consapevole della dolcezza e importanza di quei giorni vissuti in ospedale.
Sono stata felice e con questo dono nel cuore la vita riprende il suo corso quotidiano.

La neve ha smesso di cadere. Chiudo lentamente la finestra e accarezzo il vetro che è freddo e pungente sotto le mie dita. Il mio cuore però è riscaldato da una luce che viene da dentro.
Molti anni sono trascorsi da quella lontana neve di Natale; la consapevolezza e la coscienza della maturità mi hanno fatto capire il valore di tutti coloro che furono artefici della mia gioia in quei momenti. Vorrei poter rendere loro tutta la tenerezza che mi è stata data, ma molte di quelle persone se ne sono andate, alcune forse per sempre. Di Gabriele e Alberto non ho saputo più nulla. Il primo avrà certamente realizzato la sua vita come abbiamo fatto io e mio fratello. E Alberto? Se fosse vivo avrebbe ormai novantotto anni. Molto probabilmente ha raggiunto gli altri in un mondo che spero migliore. Mi addolora, però, che non abbia potuto leggere nei miei occhi di donna il valore che lui ha avuto, e ha ancora oggi, per me. Questo è l'unico rimpianto e rammarico che offusca il ricordo di quel Natale speciale. Molti altri Natali sono trascorsi da quel lontano giorno. Alberi più grandi e maestosi hanno sostituito il piccolo albero da tavolo, che ormai non esiste più. Alcuni dei suoi ornamenti tuttavia hanno resistito al tempo, e ogni anno brillano della loro magica luce nella mia casa a testimonianza di quel Natale unico, simile a una fiaba. La mia fiaba di Natale.