Anna Magnavacca, Dell’amore, Guerra Edizioni,
Perugia, 2011
Nelle lunghissime, roventissime, dolentissime Lettere di Pirandello a
Marta Abba- insensatamente poco esplorate- il sommo Maestro, sommamente
innamorato della sua giovane prima attrice, la lombarda Abba( gli occhi
sporgenti..la bocca risoluta e carnosa, e un bel mento di ostinata) che
tiepidamente e interessatamente corrispondeva, condensa e compendia, in un
epistolario che non ha eguali nella nostra letteratura, la summa di una
passione amorosa illimitata e illimitante: abbandono fiducioso e sottile
perfidia ricattatoria, esaltazione e scoramento, tormento e appagamento,
travalicamento e contenimento.
Lo stesso trasporto, con morbidezze declinate tutte al femminile, la
stessa, ricchissima, unicità di voce, sembra rinvenirsi- nell’eleganza
stilizzata di contrattura di verso- nel poemetto Dell’amore, ultima,
felicissima uscita di Anna Magnavacca, poeta nota dalle tante, meritate
affermazioni.
Poema esile per paginatura, ma
potentissimo per ossatura contenutistica e collaudata dominanza lessicale e
stilistica.
Per il tramite di una fermentata carica scritturale, levigata da un uso
aggettivale minimale e finitissimo, Magnavacca edifica e vivifica catturanti
inquadrature, dal mobilissimo effetto filmico e sequenziale, dove l’ordinario,
domestico e quotidiano, si trasmuta in straordinario amoroso, so che l’amore
non dà spiegazioni, totalizzante e tormentante, e il tarlo tornerà a
rodere/ il mio cuoreamore e la mia pelle. In tensione che mai decresce, mai
decanta, ma- sapientemente- calibra e indirizza i codici poetici: pronunciatura
chiara di un accurato e sedimentato labor di limo e raschio, caro
a un Flaubert in forma massima.
Tutto svolto per istanze separate
ma concatenate, con lievi- sostanzianti- accenni al mito, al dramma, alla
farsa, alla pochade, in notevoli alternanze fraseologiche e azionali.
Focus of narration, angolo di ripresa privilegiato, nucleo
fondativo e fecondativo, protagonista assoluta, è la donna; Penelope( La mia
porta di casa/ né si apre né si chiude./ Non cambio stanza ) e Diana(
Vestirò io armi di fuoco/calzari appuntiti/ e al posto dei cembali il corno di
Orlando), in pari grado. E, ruolo primo, madre che stringe al seno il
figlio con qualche soffice dolore. Donna sempre e comunque, giornata
settembrina/ che non si dimentica, in cui si baciano furia e mitezza,
e che, in schiarita di chiusa, detta le regole e ricompone il giuoco.
Trionfando.
Agile e suadente è il verso: ricercato, affinato e puntualizzante in taluni
passaggi, libero e vagante -in arpeggio di punteggiatura a sospendere- in
altri, a imprimere sulla pagina, e farne immagine dicente, quel canto
d’emergenza dei pensieri generato dal memorabile sentire di Celan.
E davvero si avverte l’esigenza, quasi urgenza, dello scrivere in questo
poema; esigenza che è propensione e piacere mai fine a se stesso- come
coltivare le orchidee, direbbe Rex Stout- ma funzionale a un processo di
decostruzione e di recostruzione gemmante. Per addivenire e farsi parte, interagente e integrante, di quel luogo
dell’anima, vivente ed esprimente in totale assenza di dimensionalità
spaziali e temporali, dai molti alfabeti ma dall’unica pronuncia: poesia.
In Dell’amore, il viaggio si compie, si fa meta ultima, approdo.
In suprema sintesi di una grande, purissima, natura lirica.
Marina Pratici
Tante chiacchiere, poca sostanza.
RispondiEliminaA. S.