Rodolfo
Vettorello, Piaghe d’Amore, Leonida, Reggio Calabria, 2011
Nell’esile canzoniere -sei, quasi sette,
canzoni- di Jaufré Rudel c’è un componimento che è, forse, la più bella
dichiarazione d’amore mai scritta: Nessuno deve stupirsi se/ L’amore mio non
si vedrà/ Perché nel cuore felicità/ Mi dà colei che mai fu con me. Amore
lontano, inafferrabile ed ineluttabile, fine e principio, razo en si del
comporre stesso.
Per chi cantava il memorabile trovatore, uomo
molto nobile, principe di Blaia ( così, di lui, l’anonimo provenzale autore
della Vita ), che si fece crociato e si mise in mare?
Per
chi cantava, a maggio quando i giorni sono lunghi, allietato da un
canto d’uccelli lontano?
Forse
per Maria, la Madre per eccellenza, forse per Odierna, la celebrata contessa di
Tripoli sulla quale tanto si è favoleggiato, forse per Eleonora d’Aquitania,
moglie infelicissima, prima, di Luigi VII e, dopo, di Enrico II Plantageneto,
passata alla storia ed alla fantasia come Alienor, regina dei poeti.
Forse.
Probabilmente, per non dire certamente, l’amor
de lonh , vicino ma imprendibile, lontano ma raggiungibile, di Jaufré è la
poesia. Amante, sorella, madre, figlia, sposa. Poesia.
E per chi compone oggi Rodolfo Vettorello,
coinvolgente come mai in precedenza in questa nuova ed innamoratamente compiuta
silloge, se non per quel brivido lungo/ che ha nome poesia? Piaghe
d’amore porta inequivocabilmente le stimmate- le piaghe- dell’amore
per la poesia che, in illimitato volo, sa farsi poesia d’amore. E l’amore, considerato
e declinato in tutte le sue versioni attraverso il caleidoscopio dell’
avventura umana, viene descritto nella sua immagine più vera, duellante fra eros
e thanatos, fra philìa e neikos. L’amore, nei
differenti registri di quest’ottimo Poeta, è realtà-simbolo, materia-emozione,
allegoria, parabola, platea di varianti e di disuguaglianze, apertura
all’inconosciuto, al mutante, al trasformante.
È
amore. Geometrico, I miei pensieri e i tuoi, due righe pari ( Amori
paralleli, catturante lirica d’apertura), ed inquieto, Noi due chi
siamo?( Concerto di una nota sola, emozionale e vibrante).
È
amore. Timido, quasi cortese, Lungamente ho sperato di udirlo/ il suo
nome e sognato/ trattenerle per poco la mano( La sconosciuta, breve
ed intensa), e sensualissimo, E passerà da te, dalla tua bocca/ alla mia
bocca/ dolce di mimosa/ la tua saliva come un rivo d’acqua ( Favola
barocca, dove “Lei” è fata e fiore dalle labbra di corallo).
È
amore. Sororale, Ti ripenso al mattino/ che prepari il caffè con la moka(
Ali di seta ), e flagellante, So che stanotte tu/ farai l’amore,/ lo
dicono per te non le parole/ ma gli occhi che ti brillano di perle( Il
cuore piange sangue, dove la gioiosa consapevolezza della carne-
bella immagine di Giuseppe Conte- diviene desiderio inevaso, esaltante
tormento).
È
amore che soffonde e sovrasta, estendendosi a luoghi, strade, cose,
trasfigurati e rinnovati dai colori e dagli odori, dai dinieghi e dai dispieghi
di questa “Donna”, luce prima del mattino, capace di donare sogni
d’impossibile, in svelamento di un mondo ignoto/ dove si vive dentro un
incantesimo.
Il tutto, sempre e comunque, sapientemente
controllato, incanalato, guidato per quel sentiero vasto dove il balbettio
del cuore si alza e si sostanzia a farsi, irrinunciabilmente, Poesia.
E Vettorello, raffinato cultore e
frequentatore assiduo del grado massimo della metrica, l’endecasillabo, “gioca” questa volta con il verso,
lasciandolo talora andare in libertà. Gioca, intarsiando il suo bel canto con
settenari ovvero con altri versi brevi, sostituendo il prediletto
endecasillabo- che pure resta fondante- con soluzioni felici di ipometro o di
ipermetro. Gioca, con perfetta padronanza e finezza lessicale, come si gioca
con l’amata, per sedurre, conquistare, possedere.
Seducendo,
conquistando, possedendo.
Sul versante stilistico, meritano una
sottolineatura l’accurata attenzione a particolari minimi che sostengono e
rafforzano, con maestria scenica, l’impalcatura compositiva, le modulazioni
foniche, la tensione al recupero di rari accenti e sensazioni, la preziosità
tonale lievitante di evocazione. E poi, timbratura inconfondibile, quella
lievità di tocco, quella musicalità costante e naturalissima, così agilmente
accolta, frutto di sedimentazione e di riflessione specchiante ( non a caso, si
è partiti da Rudel: l’impareggiabile trovatore scrive in una lingua, la lingua d’oc
o antico provenzale, che è la più armoniosa di cui si conservi memoria. Il
rimando è chiaro ).
Che
della poesia- e dell’amore- è magico trasfigurativo, atto creativo, arte e
mistero.
Filippo Tommaso Marinetti, poeta quasi suo
malgrado ( e per questo poeta davvero), non ha avuto timore alcuno nel
sostenere: L’amore, guinzaglio immenso, ossessione romantica e voluttà, non
è altro che un’invenzione dei poeti, i quali la regalano all’umanità.
Continui
allora, un Poeta sublime quale è Rodolfo Vettorello, ad inventare.
Sarà
ancora Amore, sarà ancora Poesia. Alfabeto di pronuncia nuova. Ed eterna.
Marina
Pratici
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