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lunedì 25 giugno 2012

Marina Pratici su "Piaghe d'amore" di Rodolfo Vettorello


Rodolfo Vettorello, Piaghe d’Amore, Leonida, Reggio Calabria, 2011

 Nell’esile canzoniere -sei, quasi sette, canzoni- di Jaufré Rudel c’è un componimento che è, forse, la più bella dichiarazione d’amore mai scritta: Nessuno deve stupirsi se/ L’amore mio non si vedrà/ Perché nel cuore felicità/ Mi dà colei che mai fu con me. Amore lontano, inafferrabile ed ineluttabile, fine e principio, razo en si del comporre stesso.
 Per chi cantava il memorabile trovatore, uomo molto nobile, principe di Blaia ( così, di lui, l’anonimo provenzale autore della Vita ), che si fece crociato e si mise in mare?
Per chi cantava, a maggio quando i giorni sono lunghi, allietato da un canto d’uccelli lontano?
Forse per Maria, la Madre per eccellenza, forse per Odierna, la celebrata contessa di Tripoli sulla quale tanto si è favoleggiato, forse per Eleonora d’Aquitania, moglie infelicissima, prima, di Luigi VII e, dopo, di Enrico II Plantageneto, passata alla storia ed alla fantasia come Alienor, regina dei poeti. Forse.
  Probabilmente, per non dire certamente, l’amor de lonh , vicino ma imprendibile, lontano ma raggiungibile, di Jaufré è la poesia. Amante, sorella, madre, figlia, sposa. Poesia.
  E per chi compone oggi Rodolfo Vettorello, coinvolgente come mai in precedenza in questa nuova ed innamoratamente compiuta silloge, se non per quel brivido lungo/ che ha nome poesia? Piaghe d’amore porta inequivocabilmente le stimmate- le piaghe- dell’amore per la poesia che, in illimitato volo, sa farsi poesia d’amore. E l’amore, considerato e declinato in tutte le sue versioni attraverso il caleidoscopio dell’ avventura umana, viene descritto nella sua immagine più vera, duellante fra eros e thanatos, fra philìa e neikos. L’amore, nei differenti registri di quest’ottimo Poeta, è realtà-simbolo, materia-emozione, allegoria, parabola, platea di varianti e di disuguaglianze, apertura all’inconosciuto, al mutante, al trasformante.
È amore. Geometrico, I miei pensieri e i tuoi, due righe pari ( Amori paralleli, catturante lirica d’apertura), ed inquieto, Noi due chi siamo?( Concerto di una nota sola, emozionale e vibrante).
È amore. Timido, quasi cortese, Lungamente ho sperato di udirlo/ il suo nome e sognato/ trattenerle per poco la mano( La sconosciuta, breve ed intensa), e sensualissimo, E passerà da te, dalla tua bocca/ alla mia bocca/ dolce di mimosa/ la tua saliva come un rivo d’acqua ( Favola barocca, dove “Lei” è fata e fiore dalle labbra di corallo).
È amore. Sororale, Ti ripenso al mattino/ che prepari il caffè con la moka( Ali di seta ), e flagellante, So che stanotte tu/ farai l’amore,/ lo dicono per te non le parole/ ma gli occhi che ti brillano di perle( Il cuore piange sangue, dove la gioiosa consapevolezza della carne- bella immagine di Giuseppe Conte- diviene desiderio inevaso, esaltante tormento).
È amore che soffonde e sovrasta, estendendosi a luoghi, strade, cose, trasfigurati e rinnovati dai colori e dagli odori, dai dinieghi e dai dispieghi di questa “Donna”, luce prima del mattino, capace di donare sogni d’impossibile, in svelamento di un mondo ignoto/ dove si vive dentro un incantesimo.
  Il tutto, sempre e comunque, sapientemente controllato, incanalato, guidato per quel sentiero vasto dove il balbettio del cuore si alza e si sostanzia a farsi, irrinunciabilmente, Poesia. 
  E Vettorello, raffinato cultore e frequentatore assiduo del grado massimo della metrica, l’endecasillabo,  “gioca” questa volta con il verso, lasciandolo talora andare in libertà. Gioca, intarsiando il suo bel canto con settenari ovvero con altri versi brevi, sostituendo il prediletto endecasillabo- che pure resta fondante- con soluzioni felici di ipometro o di ipermetro. Gioca, con perfetta padronanza e finezza lessicale, come si gioca con l’amata, per sedurre, conquistare, possedere.
Seducendo, conquistando, possedendo.
  Sul versante stilistico, meritano una sottolineatura l’accurata attenzione a particolari minimi che sostengono e rafforzano, con maestria scenica, l’impalcatura compositiva, le modulazioni foniche, la tensione al recupero di rari accenti e sensazioni, la preziosità tonale lievitante di evocazione. E poi, timbratura inconfondibile, quella lievità di tocco, quella musicalità costante e naturalissima, così agilmente accolta, frutto di sedimentazione e di riflessione specchiante ( non a caso, si è partiti da Rudel: l’impareggiabile trovatore scrive in una lingua, la lingua d’oc o antico provenzale, che è la più armoniosa di cui si conservi memoria. Il rimando è chiaro ).
Che della poesia- e dell’amore- è magico trasfigurativo, atto creativo, arte e mistero.
  Filippo Tommaso Marinetti, poeta quasi suo malgrado ( e per questo poeta davvero), non ha avuto timore alcuno nel sostenere: L’amore, guinzaglio immenso, ossessione romantica e voluttà, non è altro che un’invenzione dei poeti, i quali la regalano all’umanità.
Continui allora, un Poeta sublime quale è Rodolfo Vettorello, ad inventare.
Sarà ancora Amore, sarà ancora Poesia. Alfabeto di pronuncia nuova. Ed eterna.

                                                                                                                                         Marina Pratici 

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