INtervista
A
FLAVIO VACCHETTA
A CURA DI
NAZARIO PARDINI
N. P.: Mi dica un po’: quali sono le
occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria?
quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza
fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo
un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento
tratti?
F. V.: Penso che la poesia sia sempre fondamentalmente autobiografica, anche quando
appare oggettiva o narrativa. Poi, con il complicarsi della vita moderna, anche
la poesia tende a complicarsi e a esaurire tutte le possibilità espressive, per
cui chi dice chiaramente, e magari
ingenuamente, ciò che pensa, passa, nella migliore delle ipotesi, per poeta
poco originale.
N. P.: La sua poetica, essendo un
interprete della poesia contemporanea, è in gran parte nota attraverso le
recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare
lei?
F.
V.: La mia poetica è quella dell'estemporaneità. In letteratura, sono fondamentalmente
un istintivo. Prendere o lasciare vale per ciò che leggo e per ciò che scrivo.
N. P.: Quali sono le letture a cui di
solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi
predilige? perché?
F.
V.: Boh?
N. P.: Fino a che punto le letture di
altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che
modo?
F.
V.: Oggi si parla di "contaminare"; si potrebbe dire
"ispirare", "insegnare", "arricchire". Le
possibilità sono infinite: ci possono essere assonanze stilistiche, di contenuto,
fino a inconsapevoli plagi, quando facciamo nostro qualcosa che è già stato
detto da altri, e senza accorgercene lo esprimiamo allo stesso modo, perché
quel qualcosa è diventato compiutamente nostro; solo che è già stato scritto
prima da qualcun altro... Certo, il criterio dell'originalità è spesso
ingiusto; si potrebbe leggere, in proposito, il Pierre Menard di Borges, per avere
un'idea di che cosa possa comportare la riscrittura; o anche si potrebbe
leggere La dea cieca o veggente di Landolfi
N. P.: Che cosa pensa
della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella
che si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio
intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o
a misure dettate da una rigida metrica?
F.
V.: Vale quanto detto sopra; volenti o nolenti, qualcosa della cultura del
passato emerge sempre, se non altro per osmosi, a meno che non proveniamo dalla
foresta amazzonica o dal deserto del Gobi. Uno può consapevolmente rifiutare il
passato, ma questo rientrerà in
qualche modo dalla finestra. Quanto più specificatamente alla metrica, io stesso
non ci faccio molto caso, ma certo non ho la pretesa di contrappormi a nulla.
N. P.: Cosa pensa dell’editoria
italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di case editrici?
di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio
nazionale?
F.
V.: L'editoria risponde a una domanda; anche i premi rispondono a una domanda.
Attualmente il mercato e la tecnologia cooperano in questo senso. Non penso ci
sia nulla di male. Basta non alimentare artatamente illusioni, e prenderla con
spirito dilettantistico. La Storia, giusta o ingiusta, penserà a far piazza pulita.
La stessa tecnologia sta imponendo una revisione del mercato editoriale, ma è
difficile prevedere gli sviluppi in un frangente così complesso.
N. P.: Certamente sarà legato ad una sua opera in particolare. Ne parli,
riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta
lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del
memoriale in un’opera di un poeta? e della funzione della realtà nei confronti
di un’analisi interiore?
F.
V.: Mi sento legato a quelle opere che nascono da momenti dolorosi, come quella
che sta uscendo ora presso Nerosubianco, la quale è dedicata a mio fratello
scomparso qualche tempo fa, ma è segnata anche da altri fatti dolorosi relativi
alla mia famiglia. Tralasciando l'aspetto dei contenuti, per me la parte più
difficile non è tanto quella della composizione, che viene da sé anche riguardo
alle scelte lessicali, ma della selezione successiva, dei tagli. Sono abituato
a scrivere molto, quasi per automatismo; poi, quando bisogna tornare a
riflettere su quello che si è scritto, e a selezionare, entra in gioco lo
spirito critico, e a volte si scopre che ciò che si
sentiva nel momento della stesura non si è salvato in alcun modo nella parola scritta, che rimane sbiadita, priva di vita, o tutt'al più può dire qualcosa a noi, ma certo non agli altri, come le vecchie fotografie di famiglia, che ci possono far sovvenire di molto a noi, e nulla dicono a coloro ai quali per caso le mostriamo.
sentiva nel momento della stesura non si è salvato in alcun modo nella parola scritta, che rimane sbiadita, priva di vita, o tutt'al più può dire qualcosa a noi, ma certo non agli altri, come le vecchie fotografie di famiglia, che ci possono far sovvenire di molto a noi, e nulla dicono a coloro ai quali per caso le mostriamo.
N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata
magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il
Rèpaci…? e del rapporto fra
poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo
disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa
che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi
problemi.
F.
V.: Tornando al discorso della Storia, noi siamo fortunati ad averne una sommamente
impegnativa. Ciò però può trasformarsi in un problema, quando si avverta la
sproporzione tra noi e la nostra grande letteratura (e cultura) del passato.
Oggi però non credo sia quest'ultimo il problema, anzi spesso la nostra
tradizione è sostituita dalle letterature e culture straniere (recepite magari
a brandelli e a pillole), e la lingua e la cultura letteraria italiana
rischiano di
diventare periferiche e colonizzate. Niente di male nell'aprirsi all'esterno,
ma oggi est'apertura "globalizzante" nasce spesso dalla vacuità della
cultura italiana. Mi riferisco in particolare ai
giovani. La maggior parte degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno. Quale
letteratura si può mai partorire in questo squallore? Ma è un discorso troppo
ampio. I premi, poi, come detto, sono più un fatto di mercato che letterario.
N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel
mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi
poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?
F.
V.: Tutto sommato ho fiducia nelle potenzialità delle nuove tecnologie. Pensiamo
alla facilità di circolazione di parole, suoni, immagini. Questo è un passo avanti
rispetto per es. a quando, secoli fa, i libri costavano un patrimonio, e
venivano censurati. Ma solo il filtro di un'autonomia culturale e, diciamo
pure, di una tranquillità interiore, ci possono permettere di godere di queste
possibilità. E qui sta il paradosso: il mondo contemporaneo sembra lavorare per
distruggere i presupposti che potrebbero consentire di godere delle nuove
occasioni di circolazione culturale che esso offre. In altre parole, non dico nulla
di originale: siamo bersagliati di informazioni e facciamo fatica a
selezionarle.
La ringrazio per la sua disponibilità.
La sua intervista verrà pubblicata sul
blog “Alla volta di Leucade”
Nazario Pardini
23/07/2012
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