lunedì 23 luglio 2012

Intervista a Flavio Vacchetta


INtervista
A
FLAVIO VACCHETTA
A CURA DI
 NAZARIO PARDINI


N. P.: Mi dica un po’: quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento tratti?


F. V.: Penso che la poesia sia sempre fondamentalmente autobiografica, anche quando appare oggettiva o narrativa. Poi, con il complicarsi della vita moderna, anche la poesia tende a complicarsi e a esaurire tutte le possibilità espressive, per cui chi dice chiaramente, e magari ingenuamente, ciò che pensa, passa, nella migliore delle ipotesi, per poeta poco originale.

N. P.: La sua poetica, essendo un interprete della poesia contemporanea, è in gran parte nota attraverso le recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei?


F. V.: La mia poetica è quella dell'estemporaneità. In letteratura, sono fondamentalmente un istintivo. Prendere o lasciare vale per ciò che leggo e per ciò che scrivo.


N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?


F. V.: Boh?


N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?


F. V.: Oggi si parla di "contaminare"; si potrebbe dire "ispirare", "insegnare", "arricchire". Le possibilità sono infinite: ci possono essere assonanze stilistiche, di contenuto, fino a inconsapevoli plagi, quando facciamo nostro qualcosa che è già stato detto da altri, e senza accorgercene lo esprimiamo allo stesso modo, perché quel qualcosa è diventato compiutamente nostro; solo che è già stato scritto prima da qualcun altro... Certo, il criterio dell'originalità è spesso ingiusto; si potrebbe leggere, in proposito, il Pierre Menard di Borges, per avere un'idea di che cosa possa comportare la riscrittura; o anche si potrebbe leggere La dea cieca o veggente di Landolfi

N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta  ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?


F. V.: Vale quanto detto sopra; volenti o nolenti, qualcosa della cultura del passato emerge sempre, se non altro per osmosi, a meno che non proveniamo dalla foresta amazzonica o dal deserto del Gobi. Uno può consapevolmente rifiutare il passato, ma questo rientrerà in qualche modo dalla finestra. Quanto più specificatamente alla metrica, io stesso non ci faccio molto caso, ma certo non ho la pretesa di contrappormi a nulla.

N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di case editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?


F. V.: L'editoria risponde a una domanda; anche i premi rispondono a una domanda. Attualmente il mercato e la tecnologia cooperano in questo senso. Non penso ci sia nulla di male. Basta non alimentare artatamente illusioni, e prenderla con spirito dilettantistico. La Storia, giusta o ingiusta, penserà a far piazza pulita. La stessa tecnologia sta imponendo una revisione del mercato editoriale, ma è difficile prevedere gli sviluppi in un frangente così complesso.



N. P.: Certamente sarà legato ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e della funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore?


F. V.: Mi sento legato a quelle opere che nascono da momenti dolorosi, come quella che sta uscendo ora presso Nerosubianco, la quale è dedicata a mio fratello scomparso qualche tempo fa, ma è segnata anche da altri fatti dolorosi relativi alla mia famiglia. Tralasciando l'aspetto dei contenuti, per me la parte più difficile non è tanto quella della composizione, che viene da sé anche riguardo alle scelte lessicali, ma della selezione successiva, dei tagli. Sono abituato a scrivere molto, quasi per automatismo; poi, quando bisogna tornare a riflettere su quello che si è scritto, e a selezionare, entra in gioco lo spirito critico, e a volte si scopre che ciò che si
sentiva nel momento della stesura non si è salvato in alcun modo nella parola scritta, che rimane sbiadita, priva di vita, o tutt'al più può dire qualcosa a noi, ma certo non agli altri, come le vecchie fotografie di famiglia, che ci possono far sovvenire di molto a noi, e nulla dicono a coloro ai quali per caso le mostriamo.


N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…? e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi.

F. V.: Tornando al discorso della Storia, noi siamo fortunati ad averne una sommamente impegnativa. Ciò però può trasformarsi in un problema, quando si avverta la sproporzione tra noi e la nostra grande letteratura (e cultura) del passato. Oggi però non credo sia quest'ultimo il problema, anzi spesso la nostra tradizione è sostituita dalle letterature e culture straniere (recepite magari a brandelli e a pillole), e la lingua e la cultura letteraria italiana rischiano di diventare periferiche e colonizzate. Niente di male nell'aprirsi all'esterno, ma oggi est'apertura "globalizzante" nasce spesso dalla vacuità della cultura italiana. Mi riferisco in particolare ai giovani. La maggior parte degli italiani non legge nemmeno un libro all'anno. Quale letteratura si può mai partorire in questo squallore? Ma è un discorso troppo ampio. I premi, poi, come detto, sono più un fatto di mercato che letterario.


N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?


F. V.: Tutto sommato ho fiducia nelle potenzialità delle nuove tecnologie. Pensiamo alla facilità di circolazione di parole, suoni, immagini. Questo è un passo avanti rispetto per es. a quando, secoli fa, i libri costavano un patrimonio, e venivano censurati. Ma solo il filtro di un'autonomia culturale e, diciamo pure, di una tranquillità interiore, ci possono permettere di godere di queste possibilità. E qui sta il paradosso: il mondo contemporaneo sembra lavorare per distruggere i presupposti che potrebbero consentire di godere delle nuove occasioni di circolazione culturale che esso offre. In altre parole, non dico nulla di originale: siamo bersagliati di informazioni e facciamo fatica a selezionarle.




La ringrazio per la sua disponibilità.

La sua intervista verrà pubblicata sul blog “Alla volta di Leucade”



Nazario Pardini                                                                                                        23/07/2012











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