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venerdì 18 gennaio 2013

GIANFRANCO MENGHINI: DA "IL DESERTO D'ORO"

GIANFRANCO MENGHINI è stato definito da alcuni autorevoli critici come uno scrittore di getto, cioè un narratore tout court che dà il meglio di sé nella presa diretta secondo la formula felice di trame e di suspence, con una scrittura leggibile e godibile, che lo rivela come un sicuro talento della narrativa che sa raccontare con i fatti il senso della vita.Menghini vive e inventa le sue storie nella sua amatissima Isola d'Elba. Dopo aver lavorato e scorrazzato per tutto il mondo negli anni d'oro del boom mondiale per conto di una grossa compagnia americana, ha creato e diretto un Tour Operator a livello internazionale per quasi trentanni. Ritiratosi a vita privata, ricapitola le sue innumerevoli esperienze in romanzi che vanno da quelli storici (è uno specialista del periodo napoleonico) a quelli della vita contemporanea. Ha al suo attivo una ventina di romanzi, di cui tre in lingua francese, di cui uno pubblicato in Francia ed uno in inglese. Vessato da qualche editore, rivolge la sua attenzione verso un pubblico vasto e qualificato che gli potrebbe riconoscere i meriti che, considerata la disorientata situazione editoriale italiana, nessun editore potrà mai dargli.






Su Amazzon Euro 3,90

IRINA
 
 
         Irina Demiorovna, dopo lo smantellamento di tutte le centrali spionistiche nell’isola di Cuba e il rimpatrio dei militari russi seguito dalla drastica riduzione del personale dell’ambasciata de L’Avana, fu invitata a preparare i bagagli per imbarcarsi sull’ultimo volo per Mosca.
         Non le dissero altro. Avrebbe ricevuto istruzioni solo all’arrivo nella capitale russa.
         Non fu un viaggio disagevole dato che era stata invitata a occupare una  delle poltrone da dirigente, rimaste libere proprio dietro il cockpit e l’aereo era un modernissimo Tupolev, sicuro e veloce, tanto che si posò leggero come un airone sull’aeroporto Sheremetjevo dieci ore dopo il decollo.
         Tuttavia la lieve apprensione di venire rimproverata per qualcosa, visto che non le era stato anticipato nulla circa lo scopo del viaggio, non l’aveva abbandonata un istante durante il lungo volo. Per quanto fosse stata istruita a non chiedere spiegazioni sugli ordini ricevuti, c’era sempre stato qualcuno che, seppure non palesemente, gliene aveva fatto capire la ragione. Di solito il dottor Gradinov, suo diretto superiore, la informava su tutto, salvo i segreti che poi, a dire il vero, tanto segreti non erano, poiché lei aveva capito che gli uomini li rendevano tali come fosse un loro divertimento esclusivo. Secondo le sue impressioni e conseguenti riflessioni logiche grazie all’intelligenza superiore di cui era dotata, aveva tratto le sue personalissime conclusioni. Tutti quei movimenti di uomini armati, l’installazione di rampe missilistiche, il via vai di navi spia mascherate malamente da mercantili e le navi da guerra, inclusi i sommergibili nucleari che giravano intorno alla grande isola caraibica,  altro non erano che pedine di un gioco alla guerra del tipo di quello da tavolo, gli pareva si chiamasse Risiko. Ma c’era davvero bisogno che gli Stati Uniti e l’URSS si spiassero in continuazione, sempre pronti a premere il bottone per scatenare una guerra termonucleare per poi, alla fine, annientarsi a vicenda? E le ragioni? Non le pareva fossero ideologiche né dettate dalla voglia di conquista di territori, visto che ne avevano da amministrare di immensi e, tantomeno per riservarsi ricchi mercati commerciali. Sarebbe stato troppo assurdo mettere in scena tutte quelle costosissime manfrine solo per assicurarsi la vendita di armi e incutere la propria  influenza sui paesi emergenti, abitati da popoli disorientati e pericolosamente impoveriti da certi satrapi che vi avevano cruentemente preso il potere, il cui unico interesse era di impinguare i loro conti nelle banche svizzere. Ma al suo Paese, alla Grande Madre Russia, a cos’era servito tutto ciò? Spreco di risorse umane e naturali, l’abbandono di intere popolazioni obbligate a vivere di stenti in territori inospitali. Quindi nient’altro che autodisgregazione, com'era stata informata anche se in maniera non troppo esauriente. Il Soviet non esisteva più. Gorbaciov, malgrado le sue aperture al mondo occidentale, era stato incruentemente defenestrato e il suo principale collaboratore in politica estera, colui che più di tutti lo aveva aiutato a mettere in pratica la Perestrojka, ora era alla presidenza della Georgia, già separatasi come l’Ucraina escluso, ma come ardentemente sperava accadesse presto, il Turkestan con la bella Taskhent dove vivevano i suoi genitori.
         Il gelido alito dell’incipiente inverno russo le sferzò la pelle ambrata del viso. Irina Demiorovna con un gesto istintivo se lo riparò con la mano libera, affrettandosi a entrare nell’aerostazione. Là dentro, un’atmosfera ormai solo vagamente familiare, che sapeva ancora di tè e di biscotti al burro, la fece ritornare alla realtà meno ovattata dell’esclusiva zona dell’aereo dove aveva trascorso le ultime ore. Il viso tetro e ambiguo di un uomo in uniforme che teneva un cartello con su scritto il suo nome, quasi la spaventò facendole credere che quell’improvvisa convocazione a Mosca avesse a che fare con il microfilm da lei fatto pervenire a Santo Domingo.
         Non poteva essere. Sapeva che in quel caso avrebbero usato altre maniere. E infatti così non fu, per quanto il tenente Bikov ebbe a spiegarle nient’altro che DI  avere ricevuto l’incarico di accompagnarla alla direzione degli Affari Esteri. Il soldato che gli faceva da attendente si occupò di portarle il bagaglio.
         La Zigulì nera era parcheggiata nella zona riservata al corpo diplomatico. Un giovane in divisa seduto al posto di guida, uscì immediatamente dall’abitacolo, irrigidendosi sull’attenti all’arrivo del suo superiore, che fece accomodare assieme alla ragazza nei sedili posteriori. Poi, imbarcato anche il collega, dopo aver sistemato le due valigie nel portabagagli, si immise con l’auto nel lungo vialone che si congiunge con la superstrada. La neve era già caduta abbondante e Irina notò gli ammassi grigiastri raccolti sui bordi, poi via via che procedevano, il solito paesaggio caliginoso si presentò appena ingentilito dal biancore indistinto della neve ricoprente i campi e le scarse costruzioni. Quando imboccarono la Leningradskoja Sosse, l’auto aumentò la velocità e, dato che il tenente Bikov se ne restava muto al suo fianco, Irina si distrasse nello scoprire qualche punto di riferimento notato quando due anni prima aveva fatto la medesima strada per un viaggio allora intrapreso con  gioia e molte speranze. Ma a esclusione dell’imponente manufatto dello Stadion Dinamo, quando confluirono nel lungo viale che conduceva verso il centro della metropoli, non riconobbe nient’altro fino a quanto la macchina si fermò sotto un austero palazzo che si ergeva maestoso a metà della grande via Novyi Arbat.
         Fintantoché il tenente Bikov non l’ebbe accompagnata nella sala di attesa dell’ufficio del dottor Vladimir Tulaevshenko, capo ripartizione agli affari esteri e che una segretaria dai modi accattivanti l'avesse fatta accomodare su di un vecchio divano in pelle, Irina Demiorovna non aveva fatto altro che pensare al peggio. Che cioé quell’ufficio fosse l’ultimo che avrebbe visto in vista sua, prima di essere spedita in qualche sperduta cittadina affogata nell’immensa steppa siberiana, nel gelo quasi eterno. Lei, che amava tanto il caldo e le comodità! Non era neppure immaginabile che avessero scoperto la sua azione a L’Avana, ma chi la stava spaventando in quel momento era la sua coscienza, di cui teneva talmente conto da credere fosse un’entità così concreta da accusarla implacabilmente di un grave crimine. Mentre invece, in un URRS in disfacimento dove non si usava neppure più tanto chiamare il prossimo compagno e compagna, pareva che ciascuno pensasse al proprio incerto futuro.
         Quando venne introdotta nell’immenso ufficio del dottor Tulaevshenko, un signore gentile, seppure la divisa di colonnello delle forze speciali dell’esercito la mettesse in soggezione, le andò incontro. Le strinse energicamente la mano e l'accompagnò fin davanti alla scrivania, facendola sedere su una delle poltroncine destinate agli ospiti.
         “Signorina Demiorovna,” incominciò a dire sorridendo e Irina, per il solo fatto che avesse usato l’appellativo di signorina anziché compagna, ebbe subito l’impressione di trovarsi di fronte a un bonario superiore che non aveva niente da rimproverarle, anzi forse…
         “Signorina Demiorovna,” ripetè il colonnello, guardandola fissamente negli occhi. “Posso farle i complimenti per la splendida abbronzatura? Purtroppo, come lei ben sa, abbiamo dovuto ridurre gli effettivi del nostro corpo diplomatico a Cuba ed io ho lo sgradevole compito di…”
         “Io veramente, dottor Tulaev…”
         “La prego, compagna Irina, sia così cortese da farmi terminare. Dunque, dicevo che, seppure abbia l’ingrato compito di destinare ad altro incarico il personale in esubero proveniente da Cuba, non è detto che chi si è comportato in maniera irreprensibile non possa scegliere una destinazione tra quelle che ho a disposizione.”
         “Ah, grazie, dottore!” esclamò d’un fiato Irina, che si aspettava ben altro.
         “Non le ho detto tutto, però, signorina!”
         “Oh, Santa Madre Russia, non vorrà dirmi che…”
         “Ma no, no signorina. Solo che la pregherei si essere meno irruente. Mi faccia terminare, la prego… compagna seconda segretaria d’ambasciata.”
         “Colonnello Tulaevshenko, davvero? Non ho capito male? Seconda segretaria d’ambasciata?”
         “Come al solito, cara dottoressa Demiorovna, ha capito benissimo,” rispose compiaciuto, sottolineando il titolo accademico di Irina. “Non solo, ma le lascio l’insolita scelta tra due destinazioni: Londra e Madrid. La prima tra un mese e la seconda dopo che avrà goduto di tutte le ferie. Dal suo dossier vedo che ne ha per quasi tre mesi.”
         Il cervello di Irina si mise a elaborare quei dati come un computer. Si immaginava che la situazione in Russia dovesse deteriorarsi da un giorno all’altro e chissà se tra tre mesi i suoi superiori non cambiassero idea, se non addirittura  rimossi dall’attuale incarico. L’impiego a Madrid sarebbe stato ideale. L’ambasciata russa nella capitale spagnola disponeva di personale ridotto, con conseguenti controlli meno pignoli. Sapeva quanto a Londra invece, il più importante centro nevralgico del controspionaggio russo in Europa occidentale, gli agenti segreti, anche se sotto strane qualifiche diplomatiche, fossero numerosi. Ma era pronta ad accettare il rischio, appunto perché in un solo mese sarebbe cambiato poco ai vertici del governo e quel lasso di tempo le era più che sufficiente per organizzarsi  affinché i genitori la raggiungessero, magari con il pretesto di una gita turistica.
         “Allora, compagna Irina, ha deciso? La vedo un po’ troppo titubante di fronte a un’offerta così vantaggiosa. Come si sarà resa conto, i tempi si sono fatti abbastanza difficili…”
         “No, no, mi scusi compagno colonnello. Ho deciso. Stavo solo valutando quale destinazione scegliere. Opterei per Londra. Il mio inglese si è un po’ arrugginito dopo due anni passati a Cuba a parlare quasi sempre spagnolo.”
         “Bene. Si ricordi però che la vita nella capitale inglese è molto più cara che in Spagna, per quanto per il suo nuovo incarico sia prevista la corresponsione di uno stipendio adeguato, ivi incluse le spese di alloggio.”
         Irina avrebbe voluto chiedergli che tipo di alloggio e quale fosse l’ammontare del suo assegno mensile, ma non voleva dare l’impressione di essere troppo entusiasta, per cui si limitò a ringraziare il colonnello che, forse per il piacere di conversare con lei, volle scendere nei particolari, iniziando prima dai complimenti.
         “Lei è proprio una bella ragazza, se mi concede questo apprezzamento, compagna Demiorovna, o posso chiamarla Irina?”
         “Certo compagno colonnello e… grazie per il gentile complimento.”
         “Quell’abbronzatura le dona molto. Peccato che a Londra, specie in  questa stagione, debba perderla in poco tempo, ma se lo desidera, entro un anno vedrò di trasferirla in qualche destinazione tropicale. Le andrebbero bene il Venezuela o il Brasile?”
         “Sono certa che mi troverò bene a Londra, compagno colonnello,” rispose asciutta Irina, per dare l’impressione di non gradire certe interferenze.
         Ma Tulaevschenko sorvolò sulla lieve sfumatura e, facendosi più insistente, proseguì: “Strano che non mi chieda dello stipendio che le verrà corrisposto né del tipo di alloggio riservatole.  Potrei migliorarli, lo sapeva?”
         “Certo compagno colonnello, ma vorrei tranquillizzarla nel dichiararle che sono al servizio della Patria e il compenso per l’opera da me svolta, come pure i privilegi che ne derivano, sono solo secondari al conseguimento degli alti ideali…”
         “Irina Demiorovna...” replicò con un sorriso ironico il colonnello, “tutti siamo al servizio del nostro grande Paese, ma bisogna pure campare e poi, come lei avrà bene appreso, specie all’estero dove le esigenze di vita sono ben diverse dalle nostre, non bisogna dare l’impressione di condurre un train de vie troppo modesto.”
         “Questione di rappresentanza, no?”
         “Esattamente, ma anche, vorrei dire, di non rifuggire una certa agiatezza. Non starebbe a me dirlo, ma i cambiamenti avvenuti sono talmente evidenti che chissà se questo stato cose non vada peggiorando, di conseguenza…”
         “Vorrebbe dire che ne dovrei approfittare?”
         “Del tutto legittimamente, cara Irina,” rispose, dando alle sue parole un’inflessione un po’ troppo familiare per i gusti della ragazza che, paventando un'insinuante richiesta, non alimentò la conversazione, standosene zitta.
         Rimasto a bocca aperta in attesa che Irina gli rispondesse, Vladimir Tulaevchenko, indugiò qualche secondo a leggere nei due fogli che aveva dispiegati davanti a sé, le note caratteristiche della ragazza, nella speranza di attingervi quelle informazioni che gli dessero lo sprone ad avanzare la proposta che stava escogitando.
      “”Non ha legato con i nostri giovani agenti dell’ambasciata, preferendo la compagnia di qualche amico che si è fatta nella capitale cubana. Niente di compromettente per gli affari della nostra legazione, dato che si è sempre limitata a farsi accompagnare nei luoghi turistici della città, a frequentare con una certa assiduità l’Hotel Habana Libre dove qualche volta vi ha pernottato, certamente in compagnia di qualche giovane.””
           
Ah, dunque!’ esultò tra sè il colonnello, ‘non dovrebbe essere difficile.’ Poi rivolgendosi alla ragazza: ”Che ne direbbe, compagna Irina di pranzare assieme questa sera? Dato che le è stata riservata una camera al Mezhdunarodnaya Hotel sul romantico porto canale di Krasnopzesnenskaya, potrei venirla a prendere alle otto per recarci insieme al Babochka, uno dei migliori ristoranti della città che, trovandosi in Bolshaya Ordynka, non è molto distante dal suo albergo. Là potremmo gustare le tipiche specialità moscovite o, se lei non le gradisse, tradizionali piatti della cucina francese.
         Quello che aveva temuto, si stava avverando. Cosa rispondere a colui che aveva in mano il suo futuro? Non le rimaneva altro che accettare e ci sarebbe pure andata a letto, purché il compagno Vladimir l’autorizzasse a farsi seguire dai genitori nella nuova destinazione e, forse, anche qualcos’altro.
         “Grazie, colonnello, lei è molto gentile. Accetto il suo cortese invito.”
   Irina aveva ottenuto più di quello che si era prefissato di avere. La prima volta aveva dovuto superare un lieve ribrezzo, ma quando  si  spogliò dell’uniforme, Valdimir Tulaevshenko le mostrò un corpo asciutto e, nei limiti della sua età, una muscolatura abbastanza su di tono. Nel fare all’amore, poi, era stato sensuale e delicato. Non le era  saltato subito addosso. Sarebbe stata una reazione normale, giacché quei pochi uomini che erano andati a letto con lei, avevano avuto quando appariva loro nuda nelle sue bellissime forme. Lo sapeva, ne godeva e in più ne approfittava, presentandosi in quella postura per sbigottirli e prendere lei il comando delle operazioni. Che erano sempre appaganti per il partner.
         La prima volta che lo fece con Vladimir - da quella notte lo chiamava soltanto per nome dandogli del tu - colui che le era dapprima apparso un rigido militare, la fece godere. Prima esplorandola con gli occhi per mettere a fuoco le zone più erogene del suo corpo, poi accarezzandola con mani abili fino ad arrivare al punto cruciale della piccola escrescenza clitoridea che, quando iniziò a lappargliela, prima con una lingua guizzante e dopo  strofinandogliela lievemente tra il pollice e l’indice inumiditi di saliva, la fece impazzire di desiderio.
         Donna di grande intelligenza, seppure avesse mancato d’ingegno nell’applicarla per una carriera che non poteva che essere sfolgorante, sapendo però che per la sua condizione femminile in Russia quel culmine le sarebbe stato precluso, fredda e calcolatrice ormai per i radicali insegnamenti ricevuti, possedeva pure il raro dono di ammaliare gli uomini. Se fosse nata in un’epoca antecedente in un  paese del corrotto occidente, sarebbe diventata una cortigiana che avrebbe lasciato segni tangibili nella Storia.
         Ma come il tallone di Achille, anche Irina aveva il suo punto debole. Non che gli uomini non lo sapessero, poiché in genere tutte le donne sono sensibilissime in quella delicata parte del corpo, ma nessuno era ancora riuscito a titillarlo come fece Vladimir quella notte, per cui non fu lei a dirigere l’amplesso, ma l’attempato uomo che, dopo averla fatta godere in quel modo, la penetrò con insospettata energia. Il suo pene sembrava una trivella a espansione. Quando arrivava nel più profondo si enfiava, riempiendo completamente il cavo vaginale e trasmettendole una sensazione così orgasmica che i muscoli del collo uterino si contraevano per non lasciarlo uscire. E ciò ogni qualvolta si ritirava, per ridiscendere più baldanzoso che mai, impedendo lo scoccare della scintilla che le avrebbe fatto esplodere il godimento. Allora, per fermarlo quell’attimo di più nel suo più profondo, si avvinghiò con le gambe attorno alle scarne natiche dell’uomo e gli serrò la schiena con le braccia. In quella posizione gli impedì il continuo beccheggio per cui, presa nel turbine del godimento parossistico, fu lei a dimenare i fianchi con frenesia come volesse fuggire da quel vortice profondo che la privò per brevi attimi di ogni facoltà raziocinante, facendola urlare di piacere.     Dopo, entrambi ansimanti, si divisero e rimasero quieti qualche minuto per riprendere fiato.
        “Vladimir, posso chiederti di farmi ottenere una cosa?” disse.
        “Tutto quello che vuoi,” rispose Tualevshenko, ancora ebbro di piacere.
        “Non credo tu possa concedermi tutto quello che vorrei. Anche tu, compagno colonnello,    hai limiti che non puoi travalicare.”
         Vladimir si mise sulla difensiva. Ora il piacere provato stava annebbiandosi. Si mantenne prudente. “Bè, allora chiedi e, se potrò, lo farò volentieri.”
         “Bravo. Niente di impossibile. Le mie sono esigenze molto modeste. Ma prima chiariscimi bene una cosa: l’incarico di seconda segretaria d’ambasciata comporta il compito di fare da assistente all’ambasciatore, vero?”
         “Certo, Irina. Si tratta di una promozione e, nella tua carriera, è un bel passo avanti. Nel giro di un anno, se sarai in gamba come non dubito, ascenderai al posto di primo segretario.”
Irina prese al volo le due parole indicanti la qualifica maschile, per ribattergli: “Che, nella gerarchia diplomatica, sarebbe il massimo livello per una donna.”
         “Solo per il momento. Le cose stanno cambiando, Irina.”
         “Ed io anticipo quei cambiamenti, caro Vladimir,” rispose guardandolo negli occhi. “Non desidero quel posto.”
         “Noo… nooo! E a quale ambiresti?” chiese l’uomo, con un’inflessione nella voce che tradiva il timore di ricevere una richiesta che lo mettesse in difficoltà.
         “Quello di livello inferiore che, a quanto mi hai riferito, è disponibile a Madrid tra un mese. Il tuo intervento dovrebbe far sì che io lo occupi al più presto e…”
         “E…?” Vladimir si erse a sedere sul letto, guardandola con gli occhi sgranati dalla meraviglia, “e quale altra stranezza, Irina Demiorovna?”
         “L’autorizzazione di trasferirmici, con al seguito i miei genitori.”
         “Dove vuoi arrivare, compagna, con queste strane richieste?”
         “Lontano, compagno Vladimir. Molto lontano. Dall’altra parte.”
         “Quale altra parte? Non mi dirai che…” nella mente selettiva del colonnello si era aperta la strada giusta. “Non vorrai, per caso, tradire?”
         “Ci mancherebbe altro, compagno colonnello. Amo la mia Patria più di me stessa e non la tradirei mai per nessuna cosa al mondo. Per questo ti chiedo di concedermi lo stesso incarico che ricoprivo a Cuba. Semplice segretaria con nessuna conoscenza di segreti o di cose riservate. Impiegata d’ordine. Così quando ti chiederò di lasciare il servizio per emigrare negli Stati Uniti, non sarò un soggetto a rischio. Non ti pare?”
         “Emigrare, Irina Demiorovna? Ma non otterrai mai un permesso del genere!”
         “Per questo, compagno colonnello, ti chiedo di inviarmi presso la nostra ambasciata a Madrid dove lavorerei per qualche mese…” ma si corresse subito, “anche un annetto se ciò dovesse metterti in difficoltà e poi…”
         “E poi? Cazzo, ragazza, sono già in difficoltà, io!”
         “E dopo, amico mio, presenterò le dimissioni. Che tu accetterai,” rispose serafica, niente affatto impressionata dall’ira nascente del suo superiore. “E sarò libera di andare dove voglio. Niente mi legherà a questo paese in disfacimento nel quale non vedo alcun futuro per me e la mia famiglia.Allora, sei sicuro che verranno accettate?”
         “Certo! Forse è meglio così. Se tu le avessi presentate con il tuo nuovo incarico, avresti dato adito a sospetti. Approfitta delle ferie che ti rimangono e fatti un viaggio turistico in Italia con i tuoi. Ti assicuro che nessuno ti controllerà. Come premio, ti farò concedere i passaggi aerei con Aeroflot per Roma. Ma, mi raccomando, non restare nella capitale italiana, ma prendi il treno e raggiungi Firenze dove ti fermerai fino al giorno prima della partenza e nella notte antecedente, raggiungerai Malpensa e da là volerai negli Stati Uniti.”
         “Senza pericolo? I miei genitori sono persone semplici, che non sono mai uscite dalla Russia. Non vorrei che rischiassero qualche grave incriminazione.”
         “Senza alcun pericolo, stai tranquilla ma, mi raccomando, prima di partire da Firenze invia la lettera di dimissioni alla nostra Ambasciata a Roma, dicendo che hai trovato lavoro in un’industria italiana.”
         “E se dovessero cercarmi?”
         “Perché dovrebbero fare una cosa del genere, Irina? Con tutti i guai finanziari che abbiamo, figùrati se sprecano denaro per cercare una semplice segretaria. Sarai né più né meno una dei tanti che hanno lasciato la Russia per andarsi a guadagnare uno stipendio dignitoso.”
         Il rublo valeva ben poco e fortuna aveva voluto che Irina Demiorovna avesse tesaurizzato i dollari guadagnati a Cuba. Aveva a disposizione quanto le serviva per mantenere lei e i genitori in Italia, pagare i tre passaggi aerei fino a New York e sopravvivere una settimana a Newark. Giusto il tempo per venire in possesso dei cinquecentomila dollari. Dopo, un certo Donald Grey, probabilmente un nome in codice di un agente della CIA, si sarebbe messo in contatto per istradarla verso la destinazione definitiva. Si era raccomandata che quella località non si trovasse in una regione dove l’inverno fosse rigido come in Russia. Se non clima tropicale, perlomeno temperato.
         Era contenta della soluzione suggeritale dal colonnello Tulaevchenko, il quale era arrivato a quella determinazione dopo l’ennesimo amplesso. Si erano lasciati una settimana dopo il suo rientro a Mosca. Era stato gentile a farle da cavalier servente per tutto quel periodo, portandola a cena nei migliori ristoranti, ma sembrava non dovesse mai accontentarsi di fare l’amore. Non che a lei dispiacesse, ma alla fine, nella sua ripetitività, era diventato davvero faticoso. Vladimir si era fatto perdonare con un bel regalo. Un girocollo in platino con tre brillanti solitari di tre carati ciascuno, contornato da altri piccoli diamanti a digradare, probabilmente oggetto di qualche requisizione forzata. Era impossibile trovare un gioiello del genere nei negozi russi, se non attraverso un personaggio della nuova mafia che, giorno dopo giorno, diventava sempre più forte, eccessivamente ricca e troppo arrogante. Si sapeva che molti dei suoi elementi acquistavano a suon di milioni di dollari prestigiose proprietà in tutta Europa, in particolare in Italia e in Francia. Che il compagno Vladimir fosse coinvolto con i loro traffici… o perlomeno tenesse i legami con loro, era indubitabile. E quel favoloso gioiello, ne era quasi certa, era un compenso per qualche favore ricevuto o forse l’aveva preteso apposta, in luogo di una mazzetta, per regalarlo a lei…
 
 Brano tratto da IL DESERTO D’ORO (inedito provv. su amazon)
 
 
 

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