I Compagni di Liceo
Fra tutte le
persone che gravitavano nell’ambito dell’Istituto che frequentava, un discorso
a parte per la loro eterogeneità meritavano i personaggi che s’identificavano
nei suoi compagni di classe. Può sembrare strano ma, a distanza di cinquanta
anni, Marco ne ricorda solo alcuni, quelli che frequentava abitualmente e
qualche altro che si trovava vicino al suo banco di scuola.
Tra tutti, per
una sorta di priorità subliminale di sapore freudiano, egli comincia a
descrivere per primo, il suo compagno di banco ed amico. La loro solidarietà
era nata con il Ginnasio, stavano bene insieme e quell’amicizia si era
consolidata e rafforzata soprattutto durante il periodo dell’unica malattia di
Marco.
Era stato,
allora, il suo amico che era venuto a trovarlo, spesso, durante la
convalescenza a confortarlo psicologicamente e a spronarlo affinché si
riprendesse fisicamente da quella malattia che l’aveva molto provato. Egli gli
rammentava l’amore e la passione che entrambi condividevano per la bicicletta,
in una proiezione mentale importante, di ritorno alla normalità, dopo una seria
ed obbligata sosta.
Marco aveva
apprezzato molto il suo interessamento e gli serbava gratitudine per aver
contribuito, in modo determinante, alla sua completa guarigione.
Quell’amicizia, poi, sarebbe continuata, oltre gli anni di Liceo, durante gli
studi universitari. Il suo amico era più alto e, fisicamente più robusto di
Marco, con un grosso naso aquilino sul quale inforcava un pesante paio di
occhiali da vista con una corposa montatura di celluloide scura.
Il fatto che
portasse quegli occhiali scuri con affettata maturità, gli conferiva un aspetto
serioso che lo faceva apparire molto più grande di quello che, in effetti, era.
Aveva un’intelligenza vivida e sorniona, sapeva cogliere come pochi,
l’essenzialità delle cose, scoprendo gli aspetti positivi di ogni situazione
dei quali sapientemente si appropriava, dimostrando un opportunismo unico.
Difficilmente, se non mai, ammetteva di avere perso o d’avere sbagliato.
Marco era un
tipo diverso, non gli piaceva cavalcare le situazioni favorevoli o peggio,
cercare giustificazioni inesistenti, era schietto, un po’ introverso ma, leale
e spontaneo, non mentiva mai. Malgrado questa diversità d’indole, tuttavia,
andavano d’accordo e sono stati per lunghi anni amici inseparabili. Studiavano
insieme e, a Scuola, s’integravano a vicenda, coprendo alternativamente le zone
lacunose di ciascuno, sostituendosi nelle interrogazioni per surroga reciproca
e volontaria.
Faceva parte,
poi, del giro delle loro amicizie strette, una coppia singolare di compagni,
definiti scherzosamente come “la corda e il secchio” per il fatto che stessero
sempre insieme, quasi come gemelli siamesi. Uno, di qualche anno più grande di
loro, con le fattezze già acquisite d’adulto, era dotato di un’intelligenza acuta e brillante e
riusciva molto bene nelle materie scientifiche, soprattutto, nella matematica.
Purtroppo,
aveva un difetto fisico che, evidenziando i postumi funesti di una poliomielite
infantile ad una gamba, lo costringeva a muoversi claudicante. Eppure egli non
sembrava patire, almeno apparentemente, di questo suo deficit fisico, ché anzi,
aveva sviluppato un carattere molto forte, con una personalità naturalmente
aggressiva che tendeva ad imporsi sugli altri
lasciando loro poco spazio.
Di questo
stato di cose appariva essere vittima, seppure nel senso buono del termine,
l’altro amico che con lui si accompagnava, sempre volontariamente, fornendogli
anche e soprattutto un appoggio fisico alla sua difficoltà di deambulare da
solo, sembrava come se lo volesse proteggere dalla sua menomazione strutturale.
Quest’altro ragazzo, d’indole buona e remissiva, accettava di buon grado senza
mai opporsi alla supremazia, totale, dell’amico che a volte sconfinava nella burla
nei suoi confronti. Eppure, egli offriva sempre la parte migliore di sé,
facendogli in tutto e per tutto da “spalla” e riconoscendogli, anche, la
funzione di leader.
Questa
caratteristica di volersi identificare nel leader del gruppo, non fosse altro
per l’età più matura ma, anche, per le doti intellettive apprezzabili ed il
carattere molto forte, infine, gli fu riconosciuta anche da Marco e dal suo
amico. Fu anche questa una bella lezione di vita in comune, di solidarietà e amicizia pura e disinteressata,
che quel mite e generoso ragazzo seppe dare agli altri compagni di scuola. Si
formò così, un gruppo d’amici e compagni di Liceo che familiarizzò subito e
s’integrò nel tessuto antropologico della Scuola, una specie di piccolo “clan”
in divenire, a dimostrazione che, nonostante le difficoltà e le disgrazie,
l’amore, la solidarietà, i buoni sentimenti e la gioia di vivere vincono sempre
su tutto!
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