(Nel regno delle Eumenidi)
Avvenne proprio là. Nel punto in cui
scorre il diletto fiume, verdeggiante
nelle acque che rispecchiano le acacie
rigonfie e le betulle; quasi al termine
del suo fluire dove l’onda stenta
respinta dal libeccio; sulla sponda
rivolta alla marina, ormai matura,
mi apparvero dal volto minaccioso
tre fanciulle severe. Svolazzavano
sopra le loro forme le ampie vesti
sanguigne che cangiavano ora in nero
ora in bianco.
Furiose e pien di sdegno
con un unico suono a me si volsero
stridente ed infernale: “Erinni siamo
o, se ti aggrada, Nemesie; lo vedi
dall’abito di pece del momento.
Ci fu madre la notte e genitore
Acheronte che in animo portiamo
rigonfio di uccisione e di indicibile
rancore. Se placate, diventiamo
l’eburnee Eumenidi. Guardaci bene!
Restiamo sopra te sospese in aria
con le materne ali. E ci vantiamo
che serpi attorcigliate sopra il capo
rimpiazzino i bei crini. Illuminati
da fiaccole splendenti
ancor di più risaltano d’orrore.
Così disse di noi il grande poeta
vestendo i versi d’abito infernale:
-
(…) in un punto vidi dritte ratto
tre
furie infernal di sangue tinte
che
membra femminine avieno ed atto;
e
con idre verdissime eran cinte;
serpentelli
e ceraste avian per crine,
onde
le fiere tempie erano avvinte.
(...)
Con l’unghie
si fendea ciascuna il petto,
battiensi
a palme e gridavan sì alto
ch’io
mi strinsi al poeta per sospetto. – (1)
E nell’Edipo l’altro dei tuoi pressi:
-
Dietro all’orme funeste
vengon
l’insidie e l’ire,
pugne,
ruine, incendi;
voi
mille aspetti avete e tutti orrendi
(...)
A
voi diletta
di
chi delira il canto,
e su
pallide labbra inno di pianto:
raccor
vi piace in atri vasi il sangue
di
chi ferito langue,
svegliar
subiti affetti
negli
attoniti petti;
(...)
Le
negre ali spiegate, e la seguace
ira
dei serpi eterni
preme
il timido tergo
e
trema il cor sotto l’infido usbergo. – (2)
E il coro a rintuzzar l’atro terrore
-
Odi lo strepito
del
ferreo piede,
gli
atroci sibili
del
serpe eterno –. (3)
E avanti a loro scrisse di tristezza
chi tra i primi varcò i regni supremi:
-
Cui son l’ire, gli inganni, i tradimenti,
le
guerre, le discordie, le rovine,
ogni
empio officio, ogni mal’opra a core:
e
tale un mostro in tanti e così fieri
sembianti
si tramuta, e de’ serpenti
sì
tetra copia gli germoglia intorno;
che
Pluto e le tartaree sorelle
sue
stesse in odio ed in fastidio l’hanno. – (4)
Gli dei ci destinarono al castigo
degli uomini in vita coi flagelli
della celeste collera. A turbare
i loro sonni. Li perseguitiamo
con paurosi rimorsi e dilanianti
visioni. Perché soffrano di già
del tartaro gli eterni patimenti.
A noi, temute, omaggi singolari
furono offerti e tanto fu pauroso
il rispetto che nessuno si arrischiava
a nominarci o a porgere lo sguardo
ai nostri templi. Solo sia d’esempio
d’Oreste il gesto. Alzò in fondo all’Arcadia
un’ara per cercare di placare
i nostri tetri intenti. Di narcisi
e zafferano incoronò le nostre
statue; di frutta le cosparse e miele;
una pecora nera ci immolò
e consumò il suo corpo sopra un rogo
di cipresso, ginepro e biancospino.
Fu allora che commosse dai rimorsi
gli comparimmo con le vesti bianche.
Ci eresse un nuovo altare. Incoronò
noi Eumenidi di olivo e in sacrificio
due tortorelle ed una libagione
d’acqua di fonte in vasi con i manici
fasciati in pelle ovina. Proprio là
pretendevano i ministri il sacro vero”.
Intanto il sole deponeva in fondo
all’orizzonte i tiepidi languori
di sopore serale. Sopra il chiaro,
nel punto in cui il mio fiume ormai si annulla
nell’insaziabile gorgo dei pelaghi,
giacevano rosate d’occidente
animelle e poiane. Dalle sghembe
forcelle dei pinastri lacrimava
il pianto delle scorze ricamate
dei queruli richiami dei colimbi.
Sembrava l’astro, nella sua metà
roventata di luce porporina,
volesse richiamare l’attenzione
delle ferali Erinni. Dai loro
occhi sanguinolenti trasparivano
tutti i martìri umani: di Megène
l’insaziabile invidia; il desiderio
più sfrenato di morte, di vendetta,
di uccisione da quelli di Tesifone;
mentre Aletto traspariva tutte quante
le nostre altre mestizie: solitudine,
spleen, tradimenti, indicibili affanni
dei poveri mortali. Mi sembrava
di essere il solo umano sulla terra
ad espiare i rimorsi. Mi rinchiusi
in un terrore infernale; era un sogno,
certo! oppure vivevo le invenzioni
che avevo immaginate più volte ai
limiti estremi della fantasia.
Si trasformava forse il quotidiano
in onirico irreale
e realtà in sua vece si faceva
l’universo pensato nei miei sogni?
Ma in quel momento vidi farsi verdi
i loro occhi profondi. Come il mare
nell’imo più lontano o come i bronzi
sottratti dopo secoli ai fondali
vidi farsi i loro occhi. Sulle teste
divennero le serpi rami fini
di fulve fioriture e poi capelli
fluenti come i grani dei declivi.
Le braccia glauche come i fondi cieli
opposti ad occidente. I seni ansiosi
si fecero rosati come dita
di un ultimo barlume trasparente
sulle sete nivali. Mi rapirono
le femmine vogliose e sensuali,
benevole oramai. Respiravo
tra i loro afflati e i crini di lavanda
l’aria del maestrale. Mi svanivo
gradatamente nei riflessi pallidi
dell’ultimo settembre. Quale pace
nel lieto regno! Essenza di trasvoli
di suoni, di silenzi, di dolcezze,
di estremi amori il regno delle Eumenidi.
___________________________________________________________-
(1)
Dante, Inferno, Canto IX, VV, 37
(2)
Niccolini da l’Edipo
(3)
Niccolini dal coro di Edipo
(4)
Virgilio, Eneide, lib. VII
Testi tratti dal libro: ALLA VOLTA DI LEUCADE...questo Pardini "classico" e' sicuramente il piu' mitico e, per me, il piu' complesso. Questo Pardini immerso nella profondita'"leucadiana" usa un simbolismo della forma mitologica che si manifesta in specifiche immagini psichiche e si narra nell'anima (quindi un linguaggio che non puo' essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale). Questo Pardini del mito usa gli universali dell'immaginazione e degli archetipi!!! Quindi cosa dire di piu'.....posso solo intuire queste forme e seguire, come posso, il suo viaggio.
Ogni tanto fugge dalla mitologica Leucade e fa qualche giretto al lago, nelle campagne e sulle montagne della Lunigiana, va a fare la spesa con l'ipad, ascolta la musica, anche quella pop, frequenta convegni e premi mondani, e poi......viaaaaaa ritorna nei suoi luoghi cari al tempio di Leucade.
Miriam Binda
Carissimo poeta Nazario Pardini, in questa esigenza di fondazione e di enunciazione si raccoglie la tua poesia che nel mito riverbera sovrana! Grazie per aver accolto, nel tuo blog, anche le mie parole. Miriam
EliminaLavoro intenso, metrica-suono di gande fascino, mito rilucidato da un sentire moderno, gusto di un classico che rapisce, memoria di figure di forme in equilbrio, poesia che induce a tanti ripensamenti su un modernismo assente di quel canto armonico che ebbe già il poema al suo nascere.
RispondiEliminaComplimenti
Arturo Messina
In questa classica composizione, il mito appare nella sua essenza eterna (eterna, per cui sempre attuale), al di là delle contingenze geografico-storiche che sembrerebbero legarlo a tempi e a luoghi del passato. In realtà, non c'è nulla di più presente del mito: quello sorgivo ed autentico, non quello favolistico e ripetitivo. Lo comprovano queste Erinni, giustiziere terrifiche, capaci di trasformarsi in dolcissime Eumenidi non appena l'uomo riesca ad evocare e a comprendere la gentile sete di giustizia e d'amore da cui sono animate. Dedico all'amico Nazario questi versi, tratti dalla poesia che s'intitola "L'ombra", dal mio "Ver sacrum": "I mostri che si svegliano nell'ombra / con ghigni rabbiosi ed ululati / e stridore sinistro di catene / sono angeli ribelli all'oblio, / bambini imbavagliati e allontanati / che vorrebbero giocare con noi".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie a tutti i miei carissimi amici per i loro interventi carichi di riferimenti storico-filosofici, poetici ed umani.
RispondiEliminaBelli e ad hoc i tuoi versi Franco. Versi che io conosco in tutta la loro plenitudine. E tu Miriam, che dire. Sempre presente a riflettere magistralmente sulla mia poesia. Sei grande per cultura e sensibilità. E grazie anche al sign. Messina.
Nazario
Se per i greci il dolore appartiene all'ordine della natura nel regno delle Eumenidi /si placano i nostri neri intenti/per me è una poesia da coltivare e riprendere con i nostri classici del passato che non sono mai trapassati, e tantomeno fuori moda.
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