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mercoledì 31 luglio 2013

ESTER CECERE: "RICERCA SCIENTIFICA E POESIA"


Ricerca scientifica e poesia: un connubio possibile e felice!


Ester Cecere

martedì 30 luglio 2013

LORENZO SPURIO: "LA CUCINA ARANCIONE"

Un viaggio tra le pieghe disturbate dell’io
La cucina arancione: il nuovo libro di LORENZO SPURIO


Comunicato Stampa

La cucina arancione è la nuova raccolta di racconti dello scrittore marchigiano Lorenzo Spurio che nel 2012 ha esordito con Ritorno ad Ancona e altre storie (Lettere Animate Editore) scritto a quattro mani assieme a Sandra Carresi. Dopo essersi dedicato ampiamente alla critica letteraria, l’autore ritrova con questa silloge la sua forma letteraria espressiva più congeniale: il racconto breve.
La cucina arancione si compone di ventiquattro racconti di diversa lunghezza e il filo rosso della raccolta è l’analisi di “casi umani”, di personalità fragili o disturbate, personaggi apparentemente sani che, invece, celano al loro interno delle inquietanti verità o problematiche che restano latenti. Nella silloge si parlerà di violenza e solitudine, ma anche di pedofilia, ossessioni adolescenziali e tanto altro. Nella prefazione firmata da Marzia Carocci si legge: «Amori non ricambiati, nonne ricordate, morti improvvise, viaggi di speranza, pulsioni devianti, magie e luoghi incantati, occasioni perdute… Un’appassionante raccolta fantasiosa, dove l’autore con immaginazione, intelligenza e acutezza, propone al lettore vicende realistiche e chimeriche di una mente che va oltre il consueto, sottolineando, però, in questo percorso d’indagine psicologica anche pregi e difetti dell’umanità».
L’opera è edita da TraccePerLaMeta Edizioni, casa editrice dell’omonima Associazione Culturale all’interno della quale Spurio è socio fondatore. Il libro può essere acquistato mediante lo Shop Online dell’Associazione TraccePerLaMeta e a partire dalla prossima settimana su qualsiasi vetrina online di libri (Ibs, Dea Store, Libreria Universitaria,..) o mediante ordinazione in qualsiasi libreria.



LORENZO SPURIO è nato a Jesi (An) nel 1985. Ha conseguito la Laurea in Lingue e Letterature Straniere e si è dedicato alla scrittura di racconti e di saggi di critica letteraria. Ha collaborato con prestigiose riviste di letteratura italiana tra le quali Sagarana, Silarus ed El Ghibli. Per la narrativa ha pubblicato “Ritorno ad Ancona e altre storie” (Lettere Animate, 2012), scritto assieme a Sandra Carresi; per la saggistica ha pubblicato “Ian McEwan: sesso e perversione” (Photocity, 2013), “Flyte e Tallis” (Photocity, 2012), “La metafora del giardino in letteratura” (Faligi, 2011), scritto assieme a Massimo Acciai e “Jane Eyre, una rilettura contemporanea” (Lulu, 2011).
Ha curato, inoltre, l’antologia di racconti a tema manie, fobie e perversioni “Obsession” (Limina Mentis, 2013).
Nel 2011 ha fondato assieme a Massimo Acciai e a Monica Fantaci la rivista di letteratura online “Euterpe” che dirige e con la quale organizza eventi letterari su tutto il territorio nazionale.





SCHEDA DEL LIBRO




Titolo: La cucina arancione
Autore: Lorenzo Spurio
Prefazione di Marzia Carocci
Casa Editrice: TraccePerLaMeta Edizioni, 2013
Collana: Oltremare (narrativa)
ISBN: 978-88-907190-8-0
Pagine: 237
Costo: 10 €







Info:

info@tracceperlameta.org -  lorenzo.spurio@alice.it

domenica 28 luglio 2013

ROSARIO AVENI: "FIAMME TREMULE"



Rosario Aveni: Fiamme tremule. Ibiskos-Ulivieri Editrce. Empoli. Pp. 56


... E anche se dalla lettura complessiva emerge una chiara visione della vita come percorso di dolore e disillusione, in linea con le tematiche dell’ermetismo, del realismo, e post-realismo della letteratura contemporanea; e anche se la parola stessa è frutto di questo disagio nei suoi irritamenti contro le convenzioni, o nei suoi accostamenti ad una poetica di riflessiva inquietudine; tuttavia è nella poesia che il poeta sembra cercare un’àncora di salvataggio; è a lei che crede; è a lei che affida il suo taedium affinché lo gridi al mondo, e lo perpetui, forse, anche foscolianamente; è con lei che pensa di sopperire a quell’attimo sparuto in cui si sente condannato. E non è detto che quel suo ancoraggio non gli apra lo sguardo ad una sorgente rigenerante di luce:    

(…) Vengono da mondi sconosciuti
itinerari in cieli limpidi
cantano felici
Al tramonto mi chiederanno
di volare insieme a loro
lontano
Sole che vieni
inebriami di pace
alza antiche vele
e se gli occhi saran chiusi
spalancali per sempre
al tepore dei tuoi raggi (Dalla Prefazione di Nazario Pardini).
                                              

sabato 27 luglio 2013

M. GRAZIA FERRARIS: UN MESE DI POESIA

Caro prof. Pardini, che bel mese il suo blog ci ha regalato! Non so dirle altro che grazie, accompagnandolo da un piccolo commento.
A presto.

Maria Grazia Ferraris.

Un mese di poesia.

Mese di luglio sul blog: mese di poesia, generosa, mese di letture e meditazioni: la Milano di N. D. STEFANO BUSA', il muschio colato alla ferita/ di un ontano gigante lungo il Podi CARLA BARONI, l’Epifania di sentimenti e le luci nella notte voce senza  parola di LIDA DE POLZER,  la stanza dove non filtra l'aria della sera,/ quell' atmosfera, come rarefatta,/ fatta di luce incerta e di bagliori di  R. VETTORELLO, l’ombra  di una quercia e il passato che si ricompone di G. RESCIGNO,  i commenti attenti, puntuali e penetranti di N. PARDINI, che si dipanano accompagnando il suo Luglio dal canto di stridenti cicale/  portato da brezze di sale/ lente, affannate di calura  mi fanno meditare sulla forza della poesia e sul poeta che, nella nostra  travagliata società, vengono dimenticati, disconosciuti.
La Poesia impone lentezza, riflessione, generosità, lentezza della vita e riflessione sui particolari che la quotidianità ci impone, generosità verso l’altro che soffre.
È il vello doro che Ermes donò a Nefele, secondo la mitologia greca, la pelle di un ariete alato, è  la capacità di volarela capacità dei poeti.
Dice il grande Zanzotto:
"Sì, finiamo dal "fiat" della poesia. Dalla sua costitutiva povertà e semplicità. Ma si tratta di farlo con modestia e assieme con tenacia. Ascoltando innanzitutto la potenza del genius loci. Almeno, questo è quanto io ho sempre fatto. Non per caso non mi sono mai potuto allontanare più di tanto dal mio paesello,  perché senza il canto dialettale di osteria si produceva in me un vero e proprio blocco della creatività.
La poesia, molto umilmente, deve "raspar su" tutti i materiali che trova a disposizione. I più inusitati, i più eterogenei. A partire da quelli che salgono dall'inconscio, da quella forza interiore inarrestabile e incontrollabile che poi si trascina appresso il carretto dei versi.
Tra la forza che deriva dalla poesia e la forza di dire alcunché per deprecare gli eccessi o le mostruosità che capitano, o anche riuscire a dimenticarle per un momento, o credere ancora come fa il mistico Jakob Böhme, che per rivelare la forza della divinità indica il flusso di un raggio di sole, su un piatto di stagno, forse ci resta la spinta a cercare i frustoli, proprio le cose più piccole, più insignificanti, a trovare, cioè, quei lampi in cui una certa forma di speranza possa assumere una espressione.
Occorre una deflagrazione dal di dentro di un pensiero cre-attivo che riporti l’uomo a se stesso.  Occorre la forza dei bambini e dei poeti: avrebbero fatto meglio dei nostri governanti.

 M.G.Ferraris




venerdì 26 luglio 2013

A SANDRA CARRESI IL CONCORSO DI CREATIVITA' LETTERARIA 2013

CONCORSO DI CREATIVITA’ LETTERARIA 2013
RISULTATI
SEZIONE OPERE EDITE



I dieci finalisti in ordine di classificazione
(i vincitori sono i primi tre classificati)


1°) Sandra Carresi 
(Le ali del pensiero)

2°) Rodolfo Vettorello 
( Discorso sul metodo)

3°) Sergio Cardinali 
(Il bambino che seppelliva chitarre)

4°) Vittorio Sartarelli 
(Eventi, rimembranze, e personaggi delle memorie)

5°) Luciana Baruzzi 
(La minestra matta)

6°) Francesco Cacciatore 
(La storia di Priscilla)

7°) Fernanda Rizzi 
(Poesie d’amore e libertà)

8°) Eleonora Marchese 
(Intimi solchi)

9°) Nicoletta Ricci 
(L’erede dei quattro elementi)

10°) Angelo Vetturini 
(La nostalgica fonte)





Come premio previsto dal regolamento, saranno dedicate due pagine promozionali sul sito Opera Uno, contenenti rispettivamente la presentazione del libro e un'intervista della scrittrice. Una autopresentazione del libro sarà pubblicata insieme ad un commento stilato dalla commissione del Premio e all'immagine di copertina. 


Opera Uno



POMEZIA-NOTIZIE IN VERSIONE TELEMATICA



Per una più approfondita conoscenza di Pomezia-Notizie nella sua versione telematica si può utilizzare il seguente link che, una volta aperto, ne consente la lettura dei vari numeri in uscita:
issuu.com/domenicoww/docs/p_n._2013_n._7 
Il numero finale, che si riferisce al mese, permette, cambiandolo, di sfogliare i relativi mensili. Buona consultazione,

Nazario
              

giovedì 25 luglio 2013

MIRIAM BINDA: "PENSIERO D'AMICIZIA"

Pensiero d'amicizia


Se morisse il pensiero mio di te
il ceppo robusto
lasciato nel sordido camino
sfinirebbe di cenere
ed il vento porterebbe con sé
ogni plauso di calore
ogni petalo dischiuso
guizzante dalla luce.
Amico mio,
la nostra amicizia
passa l'oscurità.
E' una fiaccola accesa.



DA "GEMMA", SILLOGE INEDITA 3/a CLASSIFICATA AL PREMIO LETTERARIO "IL PORTONE/LETTERARIA", PISA, 2013. SEZ: SILLOGI INEDITE

LIDA DE POLZER: "EPIFANIA"

Epifania


Gocce bianche di pioggia
sui fili immobili dell'erba, chini
ad attendere il tempo. E batte forte
la musica muta dell'essere
nell'umido dolore dell'attesa.
Ancora non è l'alba, notti. giorni,
stagioni forse ancora ci separano.
Troppo brevi le mani
per afferrare l'attimo futuro
non altro che pazienza abbiamo in dono
per raggiungere l'ora.
Poi sulla pienezza dell'anima
l'epifania improvvisa dei misteri
la luce, le ali forti della gioia.
Alta nella memoria del dolore
la dignità del vivere.


DA "A VOLTE UNA FARFALLA", SILLOGE INEDITA 2/a CLASSIFICATA AL PREMIO LETTERARIO "IL PORTONE/LETTERARIA", PISA, 2013. SEZ: SILLOGI INEDITE

N. D. STEFANO BUSA': "MILANO SOTTO LA NEVE"




Milano sotto la neve




Milano nei suoi giorni grevi
è senza voce, scie di nomi
nelle piazze poco illuminate,
nelle strade battute dalla polvere
e dal gelo, viandante stanco
in preda alla bufera.
È come un luogo senza direzioni,
una mappa cancellata dalla neve
che copre le case e i balconi,
resta pulsante sotto manti illividiti
una sua vita sotterranea,
un cielo cancellato,
mentre acerba la stagione
si ripete sempre in corsa,
fuori da te, quasi altrove,
distante dall’asfalto,
tra maschere e avventure
tutto tiene come una nostalgia,
un silenzio di cose andate,
di altre che verranno, qualche ruga.




DA: "ELLITTICHE STELLE", SILLOGE INEDITA, VINCITRICE DEL PREMIO LETTERARIO "IL PORTONE/LETTERARIA", PISA, 2013, CON PUBBLICAZIONE. 
SEZ: SILLOGI INEDITE 

mercoledì 24 luglio 2013

CARLA BARONI: "I MIEI GIORNI REMOTI"




Carla Baroni: Versi d’ottobre. Edizioni Confronto. Fondi. 2012. Pp. 48




I miei giorni remoti


I miei giorni remoti, cantilena
senza acuti o gorgheggi a nota alta,
ombre lunghe curvate nella sera
a cercare ristoro dentro ai sogni.
Se poi verde rimane ancora l'olmo
che intravidi per caso a Castelvecchio
od il muschio colato alla ferita
di un ontano gigante lungo il Po
l'acqua scorre. Invano la marcita
dà asilo al ramarro e alla castagna;
l'acqua scorre, inutile clessidra
del mio tempo rimasto sulle sponde
di una cava dall'onda imputridita.

DA:


Carla Baroni: Versi d’ottobre. Edizioni Confronto. Fondi. 2012. Pp. 48.
Opera pubblicata come vincitrice del Premio "LIBERO DE LIBERO", FONDI, 2011.
3/a classificata al PREMIO "IL PORTONE/LETTERARIA", PISA, 2013, SEZ: LIBRI EDITI 


lunedì 22 luglio 2013

M. LUISA DANIELE TOFFANIN: "BIANCHE CRINIERE E FULVE"





M. LUISA DANIELE TOFFANIN: APPUNTI DI MARE. TIPOGRAFIA VENETA EDITRICE. Padova. 2012. Pp. 94. Euro 11.00



IX


Bianche criniere e fulve
forme pur vive, presenti
e remote nell'ora dei miti
- folata di vento dai Nebrodi -
apparse sull'orlo marino
in gioco con l'acqua
a fiutare il salmastro
a frantumare la schiuma
a mordere l'onda
ansanti dal ritmo.

Un gioco con ninfe
in mutati sembianti
una sfida al tempo:
memoria rapita
a molti eucalipti.

                               Oliveri, luglio 1999



Dall'opera: APPUNTI DI MARE. TIPOGRAFIA VENETA EDITRICE. Padova. 2012. Pp. 94. 
Euro 11.00
Seconda classificata a Premio Letterario "IL PORTONE/ LETTERARIA", Pisa 2013.  
SEZ: LIBRI EDITI

RODOLFO VETTORELLO: "MI CHIUDO AL BUIO"







 R. Vettorello: CONTRO IL TEMPO IL TEMPO CONTRO. Carta e Penna Editore. Torino. 2012. Pp. 56. Euro 10.00



Mi chiudo al buio



Mi chiuderò, da solo, in questa stanza
dove non filtra l'aria della sera,
quell'atmosfera, come rarefatta,.
fatta di luce incerta e di bagliori.
Lascio di fuori la mia voglia pazza
di correre nei prati e di pensarmi
giovane ancora e con un cuore folle
in cerca di avventure e di emozioni.
Mi chiudo al buio della quieta stanza
dove ho riposto il senso del mio stare
ad osservarmi vivere e pensare
che se finisce un atto della vita,
un altro ricomincia;
                                l'essenziale
è che non cali ancora giù il sipario.
Ho voglia di godere un altro poco
quest'atmosfera come rarefatta,
quest'ora incerta e la sua luce fioca.



Dall'opera: CONTRO IL TEMPO IL TEMPO CONTRO. Carta e Penna Editore. Torino. 2012. Pp. 56
Vincitrice del Premio "Il Portone/Letteraria", Pisa, 2013, sez. Libri Editi. 

sabato 20 luglio 2013

GIANNI RESCIGNO: "ALL'OMBRA DI UNA QUERCIA"

All'ombra di una quercia

Ho bussato e non c'eri.
Ho aperto e ho trovato il buio
(finestre e balconi chiusi)
e nel buio il tuo ricordo svanito.
Improvvisa la luce.
Dall'odore dei vecchi vestiti
(camicette e gonne svasate)
ha vibrato la tua voce.
S'è ricomposto il calendario
coi fogli andati via.
Ho messo insieme i passi
del ritorno. Sui sentieri
delle vipere t'ho trovata:
intatta all'ombra d'una quercia
coi cuori cancellati.




A l'ombre d'une chêne

J'ai frappé à la porte et tu n'y étais pas.
J'ai ouvert et trouvé le noir
(fenêtres et balcons clos)
et dans le noir ton souvenir évanoui.
Brusquement, la lumière.
Par l'odeur des vieux vêtements,
(chemisettes et jupes amples)
ta voix s'est mise à vibrer.
L'éphéméride s'est recomnposé
de tous ses feuillets envolés.
J'ai mis les pas de mon retour
dans les tiens. Je t'ai retrouvé
sur le sentier des viperères:
la même à l'ombre d'un chêne
où nos coeurs gravés s'étaient effacés.


Da: Sulla bocca del vento. Il Convivio. Castiglione di Sicilia. 2013


Un lavoro di diacronica complessità poetica, di rielaborazione intimistica, e di grande impegno strutturale, questo di Gianni Rescigno. Diversi rivoli confluiscono in un unico fiume che, scorrevole, armonico e cristallino, ben protetto da argini solidi, sfocia in un mare d’amore e di speranza. Un’Antologia poetica che rivela, in una successione di momenti espressivi, continuità d’intenti, di esperienze umane, e di tecniche prosodiche. Un’Antologia che riunisce piecès tratte da cinque sillogi che sanno trovare la loro unicità, la loro voce unisona, monocorde sia per tecnica che per ricerca poetica. É proprio la forza lirica di Rescigno, il suo stilema a mantenere il poiein su livelli di alto spessore etimo-fonico, linguistico-figurativo. E non di rado sia il verbo che la sintassi subiscono dilatazioni, e originali violenze creative per accompagnare quantità emotive che sgomitano per uscire: “Ci consegniamo muti/ al cammino dei sogni”, “La luce odorava d’umidore”, “Gonfio di spine/ ingrosso mare nello sguardo”, “e una mano amica che ti poggia/ sull’omero parole d’amore non dette”, “Sono filo d’erba/ sula bocca del vento”.
Ad arricchire l’opera, a renderla più preziosa, a livello filologico e linguistico, la traduzione in francese, testo a fronte, per mano di due autorevoli scrittori, quali Paul Courget e Jean Sarroméa. Traduzione che denota uno sforzo non indifferente. E rendere in altra lingua l’originalità dello stile di Rescigno non è certamente cosa semplice.  Comunque, considerando che la lingua d’oltralpe contiene già innate, nel suo substrato, grazia e armonia, e che tali peculiarità non sono secondarie nella cifra espressiva del Nostro, credo che questa lingua aiuti, non poco, il compito del traduttore. Ma si devono pur mettere in evidenza, obiettivamente parlando, le difficoltà verso cui si va incontro, dovendo rendere a livello etimo-fonico, tecnico-metrico, e più ancora emotivo-creativo, il messaggio originale. Visto che, non di rado, l’autore ricorre a forzature sintattiche volte ad assecondare le richieste del sentire. E che non sempre è facile reperire parole e sintagmi che accostino tanto patrimonio umano... (Dalla recensione di N. Pardini).

EMANUELE MARCUCCIO: "MONTE OLYMPUS"








MONTE OLYMPUS[1]
(Poesia di Emanuele Marcuccio)


Marte
rosso pianeta
di sole abbacinato

monte
che ti slarghi
e in altezza
per miglia
e migliaia
di chilometri

solitario
fredda la cima
forse fuoco
ancora alberga
nei recessi


(9 giugno 2013)



I connotati indicativi di questa poesia si verticalizzano, consciamente, su una struttura metrico-simbolica di effetto contemplativo: rosso, abbacinato, slarghi, fuoco; e dominano, con un significante figurativo di labor limae, sul λέμμα[2] (lèmma)/solitario, che, citato una volta, anticipa il verso “fredda la cima”. E si sa che il fuoco è nel cuore delle cose. Nella pancia del cosmo. E si sa, anche, che il poeta è in continua tensione fra la coscienza dell’effimero e l’azzardo dell’oltre. Un azzardo che vorrebbe e bramerebbe realizzarsi in qualcosa di superlativo del sapore di cielo. Solitario. Forse solitario come ogni uomo che “sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole…”. E la solitudine fa parte della vicissitudine umana. Ed è motivo di stimolo, grande stimolo per la poesia. Segno che contraddistingue una stretta vicinanza fra il fatto di esistere ed uno stato interiore che coinvolge la filosofia del creato. Il tutto molecolare che non riesce a confondere l’unicità con gli insiemi. Climax, quindi, di grande impatto visivo ed emotivo; di un crescendo trascinante verso l’alto; e, volendo, verso un pianeta che non è più solamente quel corpo a noi, in parte, noto, ma, direi, verso un mondo che segna uno slancio, un abbrivio, un confondersi in stupefazioni a vincere l’πορία[3] (aporía); a limitare l’entropia[4] e la corruzione dell’uomo/tempo; leggo qui il desiderio di svincolarsi, in qualche misura, dal terreno; di sublimarlo, questo terreno, nell’immaginifico, in uno stadio dove la realtà stessa si coniuga in aspirazione, in avventura. L’ordine morfosintattico di estrema sottrazione, la  geometria verbale, la ricerca speculativa, l’inconscio propedeutico all’atto creativo, cristallizzano una emozione, che, attraverso un percorso allusivo, si generalizza in una scalata dell’anima verso le vertigini dei fuochi eccelsi. Fuochi sempre da scoprire, però. Luminosità verso cui poter penetrare scrostando il ghiaccio che nasconde il nerbo e il mistero del nascere umani. Esistono quei fuochi. Nel nostro animo vivi: forse vogliono combaciarsi con la totalità per tornare alle origini. Una ricerca continua verso quella pancia che contiene la luce accecante di un Marte/Universo e della Poesia.

Nazario Pardini


NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DELL’AUTORE


EMANUELE MARCUCCIO (Palermo, 1974), scrive poesie dal 1990, nell’agosto del 2000 sono state pubblicate sue poesie, presso Editrice Nuovi Autori di Milano, nel volume antologico di poesie e brevi racconti Spiragli ‘47. Partecipa a concorsi letterari di poesia ottenendo buone attestazioni e la segnalazione delle sue opere in varie antologie.
Nel marzo 2009 esce la sua raccolta di poesie e opera prima Per una strada, SBC Edizioni, recensita da vari studiosi e critici tra cui Luciano Domenighini, Alessandro D’Angelo, Lorenzo Spurio, Nazario Pardini e Marzia Carocci.
Una sua poesia edita è stata pubblicata nell’agenda 2010 Le pagine del poeta. Mario Luzi, da Editrice Pagine di Roma.
Nel 2010 ha accettato la proposta di collaborare con una casa editrice per la scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e novembre 2012 ha presentato quattro autori, riuscendo così a far pubblicare cinque libri di poesie e, dal 2011 è consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione editoriale ospitante le collane di opere da lui curate.
Dal 1990 sta scrivendo un dramma in versi liberi, ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico.
Ha inoltre scritto vari aforismi, ottantotto dei quali sono stati raccolti nella silloge
Pensieri minimi e massime, Photocity Edizioni, edita nel giugno 2012. L’opera è stata recensita da vari studiosi e critici tra cui Patrizia Poli, Marzia Carocci, Michele Nigro e Natalia Di Bartolo.
Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti su blog letterari. È collaboratore della rivista on-line di letteratura Euterpe. È stato ed è membro di giuria in concorsi letterari nazionali e internazionali, dal 2012 a oggi.
È presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary.it”, con una scheda bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. È presente su L’evoluzione delle forme poetiche, Archivio storico e consuntivo critico (realizzato per le scuole) dell’ultimo ventennio poetico (1990-2012), Edizioni Kairòs, 2013.
Finalista nel 2013, con dieci aforismi, alla settima edizione del Premio Nazionale di Filosofia
“Le figure del pensiero”, ha ideato e sta curando la sua prima antologia poetica, Dipthycha, che lo vede presente con ventuno titoli, accompagnato in dittico di uguale tema, da altre poesie di autori vari.
Di prossima pubblicazione un ampio saggio monografico sulla sua produzione, curato dallo scrittore e critico letterario, Lorenzo Spurio.
Ha in programma la pubblicazione di una seconda silloge di poesie.




[1] Ispirato dal vulcano “Olympus Mons”, il più grande rilievo del pianeta Marte e di tutto il sistema solare, con i suoi venticinquemila metri di altezza e i seicentomila di larghezza. [N.d.A.]
[2] Dal greco λέμμα (lèmma), involucro; guscio; lessema di una parola.
[3] Dal greco πορία (aporía), difficoltà; disagio; incertezza.
[4] Dal greco εντροπία (entropía), disordine.

venerdì 19 luglio 2013

LORENZO SPURIO: "IAN MCEWAN"







IAN McEWAN: SESSO E PERVERSIONE
DI Lorenzo Spurio

COMUNICATO STAMPA

Lorenzo Spurio, scrittore e critico letterario marchigiano, ha ampliato la sua tesi di laurea magistrale conseguita all’università degli studi di Perugia nel 2011 sul tema della “devianza sessuale” nella narrativa dello scrittore britannico Ian McEwan e questo ne è il prodotto finale.
In questo ampio saggio, che si apre con una prefazione dello scrittore Antonio Melillo sul ruolo dell’amore nella letteratura, Spurio sviscera alcune delle problematiche sociali proposte dall’autore inglese tra le quali la follia, le aberrazioni, il perturbante, il deviato e la degenerazione di alcuni atteggiamenti frutto di una psiche malata. Il percorso che il lettore è chiamato ad intraprendere è agevolato da un ricco apparato di critica e di note esplicative o di riferimento che rimandano ad altrettanti testi ai quali Spurio si rifà.
Il saggio affronta il tema della sessualità vista dagli occhi allucinati di giovani senza regole (come avviene nel romanzo The Cement Garden) o nei suoi aspetti deleteri di una bieca perversione (come avviene in The Comfort of Strangers) e in varie altri narrazioni l’autore lo impiega, invece, per chiarire l’austerità dei tempi in cui ambienta le sue storie, la contrapposizione tra visione patriarcale e il nascente femminismo.
Questo saggio è una ricca e propedeutica analisi critica allo studio della narrativa di Ian McEwan.




Scheda del libro


Titolo: Ian McEwan: sesso e perversione
Autore: Lorenzo Spurio
Prefazione: Antonio Melillo
Genere: Critica letteraria
Casa Editrice: Photocity, Pozzuoli (Na), 2013
ISBN: 978-88-6682-463-3
Costo: 10 €







Info: lorenzo.spurio@alice.it

mercoledì 17 luglio 2013

FRANCO CAMPEGIANI: "Doxa ed Epistéme"

Doxa ed Epistéme



Franco Campegiani 

Ha scritto Marcel Proust, ne Il tempo ritrovato: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Un pensiero, questo, che Davide Rondoni ribadisce ne Il fuoco della poesia: “Quando si ascolta una poesia di Leopardi o di un vero poeta, non ci si commuove per la vita di lui, ma per la propria”. Quello che ci interessa realmente, attraverso la lettura, è di capire chi siamo noi. L’opera pertanto, se genuinamente creativa, non stabilisce una relazione del fruitore con l’autore, ma del fruitore con se stesso. E in fondo ciò riguarda lo stesso autore, come primo fruitore di quello che lui stesso scrive.
Non dice nulla – l’opera – della biografia, della personalità esteriore di colui che la scrive (né di colui che la legge), bensì dell’uomo che, nell’interiorità profonda, è ciascuno di noi. Tanto più si può capire un autore, quanto più quell’autore si eclissa dietro ciò che scrive (o dipinge), lasciando che l’opera faccia da specchio per il fruitore, specchio dove costui possa vedere riflesso qualche segreto e ignoto aspetto di sé. Paradossalmente ciò impone allo stesso autore di scrivere (o dipingere, scolpire, eccetera) solo per se stesso, per la propria festa spirituale. L’arte non parla infatti a tutti, ma al cuore di ognuno, a partire da quell’ognuno che in primis l’autore stesso è. Sta qui l’universalità dell’arte e della poesia, la sua capacità di superare il particolarismo, l’intimismo, eccetera.
Non è sufficiente sostituire l’Io con il Noi per ottenere un livello più universale della scrittura. Il Noi non offre alcuna garanzia di universalità, visto che è pur sempre una delimitazione soggettiva. Universalità non è sinonimo di totalità. La Divina Commedia non è universale perché ottiene il consenso di tutti, o di molti, come in un’elezione politica, ma perché riesce a toccare le corde più intime del singolo, nella sua interiorità. La comunicazione poetica pretende questa comunione profonda, e ciò non può avvenire ai livelli superficiali dell’Io o del Noi, dove il soggettivismo la fa sempre e comunque da padrone. E’ necessario che l’ego ponga fra parentesi se stesso per fare spazio all’alter ego (anticamente la Musa), immerso nel flusso misterioso dell’Essere e della vita.
Occorre, in altri termini, che l’Io riesca a trascendersi, facendo spazio al Sé, all’essenza universale che dimora dentro di sé. E’ questa la modalità della comunicazione artistica, dove il primo anello della catena relazionale è costituito dalla comunione dell’autore con se stesso. Se si salta questo anello, va in pezzi l’intera catena, in quanto la comunicazione diviene inautentica. E se ciò può essere accettabile nell’eloquio convenzionale, non può assolutamente esserlo nel linguaggio creativo, dove ad esporsi sono le regioni più profonde del nostro essere, che impegnano la nostra autenticità, la nostra universalità, la nostra verità.
Ciò capovolge l’antico pregiudizio greco, di cui è permeato l’intero tessuto della nostra civiltà, secondo cui la poìesis, il mythos, sarebbe il campo per eccellenza del soggettivismo umano, mentre l’epistéme, la verità, si manifesterebbe nel logos, peraltro confuso con l’intelletto razionale. Il mio punto di vista si trova agli antipodi di questo assioma, le cui formule non credo fossero nelle corde del substrato più arcaico della grecità, che fu profondamente misterico prima dell’insorgere del pensiero metafisico. Io ritengo che le cose si diano così come sono al nostro intelletto, senza manipolazione alcuna, soltanto nell’attività mitopoietica, ovvero nel mito allo stato sorgivo (ovviamente non parliamo di mitologia, dove il mito si presenta decaduto a favola ripetitiva).
Ha scritto Umberto Galimberti ne “Le origini della filosofia greca”, primo capitolo della “Storia del pensiero occidentale” diretta da Emanuele Severino (Armando Curcio Editore): Nel raccoglimento del logos, l’uomo, con la sua parola, dice come le cose nella loro esposizione si danno. Mentre nel mito le cose sono usate per dire il vissuto dell’uomo, nel logos sono lasciate essere così come sono, senza alcuna manipolazione (poiéin). La parola poiéin in greco significa “produrre”. Da poiéin deriva la parola poìesis da cui la nostra poesia. La poesia, di cui si alimenta il mito, è una produzione di significati che non lascia parlare le cose come sono, ma impone alle cose il parlare dell’uomo. Questa imposizione non è l’imporsi delle cose, ma ciò che l’uomo impone alle cose, in altri termini è la violenza poetica sul contenuto quale si dà. La filosofia rappresenta il tentativo riuscito di liberarsi da questa imposizione… La parola greca che nomina l’imporsi di ciò che ha la forza di farlo senza ricorrere alla manipolazione poetica è epistéme”.
Non mi trovo d’accordo con questa impostazione di pensiero. Quando Eraclito nomina la maestà del logos, contrapponendolo al favolismo della mitologia, in realtà non fa che esaltare la potenza della mitopoiesi, che allo stato sorgivo non manipola un bel nulla, in quanto è totalmente nelle mani del logos, quando questi si affaccia negli orizzonti dell’intelletto umano. Sta qui l’ispirazione delle cosiddette Muse, qui il carattere universale della poesia (e dunque epistemico, se epistéme significa “ciò che sta sopra”). La ragione dell’uomo è sempre schematica, pretestuosa, partigiana. Essa tende a distinguere, a dividere, a separare, per cui resta costituzionalmente impermeabile all’universalità.  Nel particolarismo sta la sua più vera natura. Essa è sempre e comunque doxa (opinione), e vano risulta qualsiasi tentativo di trasformarla in epistéme.
E’ giunta l’ora di dire che non c’è nulla di universale nella ragione umana, per sua natura settaria, mentre l’universalità prende corpo esclusivamente nella mitopoiesi, nel mythos, ossia, non ancora decaduto a mitologia. Ciò che è costruito, prodotto, manipolato dall’uomo è frutto del suo intelletto razionale, non certo frutto di quella verginità dell’intelletto, aperto verso il logos, che è invece tipica della mitopoiesi creativa. E’ certamente vero che la poìesis (da poièin, fare) impegna la sfera dell’agire umano, ma occorre distinguere il fare dallo strafare: l’azione secondo natura (cosmocentrica), dall’azione (antropocentrica) dettata dall’intelletto razionale. L’uomo diviene creativo nel momento in cui pone le mani in pasta nei processi creativi del creato. E’ quello il momento in cui si lascia veramente ispirare dal logos, che è intelligenza pura, aschematica, fuori dai pregiudizi e dalle gabbie della razionalità.
Non è vero che lo sguardo del mitopoieta si distragga nelle variazioni del molteplice, che si perda nella frivolezza del mondo esteriore. Egli, al contrario, ha sguardi tutti puntati sull’unità del molteplice (o, se si preferisce, sulla molteplicità dell’uno). Ciò che gli interessa è di immergersi nel mondo fenomenico per prendere contatto con la radice stessa da cui la vita viene. E’ la cosa in sé a catturare le sue attenzioni: quell’inseità, quella verità, che giustamente Kant ha dichiarato inaccessibile alla ragione umana. E tuttavia, con buona pace di Kant, sarebbe ora di comprendere che la cosa in sé non può più venire ignorata. Oggi, più che mai, occorre ristabilire un contatto con le profonde radici dell’Essere (che è poi l’Essere che noi stessi siamo), dando corpo ad una nuova spinta mitopoietica, di inusitate ed inedite proporzioni. Solo così potremo tentare di uscire dall’impasse culturale in cui ci troviamo.
E sarebbe opportuno avvertire Wittgenstein che non tutto il linguaggio è tautologico o convenzionale, perché l’uomo ha la capacità, a seconda delle esigenze, di pensare non soltanto in fotocopia, ma anche in originale. Quando si abbandona alla mitopoiesi, egli davvero pensa ed opera in originale, giacché il pensiero che gli viene dall’oltre (che è poi l’oltre di se stesso) non fa che nominare per la prima volta il mondo. Al di fuori di questo dire non c’è davvero nulla da dire, giacché c’è solo il detto e ridetto, o come suol dirsi il fritto e rifritto, utilissimo nella vita pratica, ma distante dalla vita reale, dalla vita delle origini, dove tutto è assolutamente originale. Socrate parlava di maieutica, ovvero dell’arte di far partorire, di tirar fuori (ex-ducare) ciò che nell’individuo esiste già come valore.
Ci sono valori innati nell’uomo, che soltanto l’attività mitopoietica, la cultura creativa, ha il compito di rintracciare. Naturalmente non parlo di spontaneismo, ma di una facoltà anamnestica, autoanalitica, capace di riportare in vita valori totalmente dimenticati. Non dunque di una memoria, privata o collettiva, che conserva e tramanda eventi del passato. I valori innati appartengono ad un passato ancora più remoto, totalmente rimosso e caduto in oblio. L’innatismo dà voce ai principi che vengono dall’oltre (che è poi l’oltre di se stessi), mentre lo spontaneismo, con la variante dell’intellettualismo, dà voce ai pregiudizi costruiti nel laboratorio storico-culturale.
Si sbaglia a credere che nell’intellettualismo ci sia problematizzazione: quella facoltà critica, ossia, che si ritiene fuori dagli orizzonti creativi, qualora si pensino ispirati dalla Musa. C’è un immenso lavoro da fare su se stessi affinché appaia la Musa. Questa, infatti, non è altro che un particolare volto o aspetto di se stessi, non ancora conosciuto. La vera attività critica risulta pertanto essere strettamente connessa con l’attività creativa, mentre nell’intellettualismo non si dà alcuna problematicità, giacché si viaggia a senso unico sul terreno dell’acquisito. Soltanto l’originalità è problematica, in quanto ha bisogno di essere corteggiata per concedere le proprie grazie e le proprie attenzioni. Colui che non coltiva le origini (le proprie origini), non ha un pensiero proprio, autonomo, ossia un pensiero problematico, lungamente sofferto e meditato, ma un pensiero duplicato su quello altrui.

                                                                 Franco Campegiani