L'ULTIMA
GOMENA DELL'ANIMA
(...
dedicata a mio padre)
Ti
vedevo seduto su una panchina al parco
con
lo sguardo in attesa di un arrivo.
La
noia già ti vestiva d'inverno,
anche
se non v'era neve sulla lucida radura
che
il sole accoglieva generosa.
L'ultimo
autunno aveva ben pensato
di
spazzare via tutte le foglie dalla folta chioma
e
tu, approfittando del vuoto venutosi a creare,
sembravi
in cerca di qualcosa,
grattando
la testa di tanto in tanto.
I
silenzi di giorni affollati sulle spalle
ti
facevano la solita compagnia
ma,
come quando si passa troppo tempo
sempre
con gli stessi amici
e
non si ha più voglia di dirsi niente,
così,
la lingua se ne stava accoccolata
all'ombra
di un sorriso appena accennato.
Tu,
indifferente al passare delle ore
e
noncurante degli assonnati pensieri,
confondevi
memorie e realtà
e
rimanevi lì, perso tra profumi d'oleandro,
a
raccontarti chissà quale storia,
ripetuta
tante e tante volte fino a perderne il conto;
solo...
sempre più solo,
come
chi ha vissuto tanto... troppo tempo
e,
strada facendo, ha salutato d'eternità
la
sua conosciuta gente
là,
dove improvvise mareggiate del destino
rendono
difficile l'ancoraggio
e
l'uomo che nel volto ha scritto il “limite”
sa
già che prima o poi,
arriverà
un'onda... la sua onda
che
dovrà forzatamente cavalcare
e
che, con la furia dell'inevitabile,
spezzerà
l'ultima gomena ormeggiata nell'anima.
SOLO UN RESPIRO DI GINESTRA E FIORDALISO
Non ho più parole da impastare
con acqua e sale...
Non ci sarà pane per i rimpianti
affamati di nostalgiche brezze
a far rumore tra fronde di pensieri.
Sono rami sempreverdi i miei ricordi,
non temono il rincorrersi di stagioni.
Ben celate tra le foglie si annidano
sillabe e fonemi come piume,
a lasciare tracce di impavide ali
che hanno imparato a volare.
Chi potrà mai dimenticare
la generosa schiusa di uova
in quella primavera così lontana?
Fu destino o soltanto casualità?
Io credetti alla rondine affaccendata
con la pagliuzza nel becco
a rinsaldare l'amato nido
ed alla spiga che, gonfia dei suoi
chicchi,
si beava a dispetto del papavero
che, spettinato dal vento,
faceva boccacce al sole, tutto borioso.
Ora c'è solo fitta gramigna e ortica
tra l'arruffate zolle del mio arido
domani
e, a mani nude, mi ritrovo a frugare
fin dentro intrecci di rovi e stoppie
secche
alla ricerca di fugaci illusioni...
quelle illusioni che crescono ovunque,
sempre pronte a portare quaggiù in terra
le stelle
da afferrare al pari di lucciole tra
l'erba.
Negli occhi resta l'albeggio tenue e
delicato
di un'alba profumata
e nel petto... solo un respiro di
ginestra e fiordaliso.
E'
un'estate sfacciata, arrivata
a
solleticarmi, irriverente, le nari
con i
suoi appetitosi odori
e dei
ricordi… mi sovviene il gusto.
Facile è
abbandonarsi alla calura
di sudate
fantasie, giovani del tempo,
in questa
stanza vuota di parole
arrese alle tante correnti di finestre.
Tutt'intorno, nella campagna,
messi spettinate da giochi di vento,
come ciocche bionde di fanciulle
e, qua e là sparso, un fermaglio rosso,
a frenare la corsa di pupille
accecate dal luccichio dell'oro
su slarghi di terra brulla e scura
che, a guardarla da lontano,
sembra solo pelo arruffato di gatta.
Ed io lì, a cercare cicale canterine
appese a fragili steli di pensieri,
prima che di loro ne rimanga
solo un guscio vuoto di respiri,
tra silenzi di soffice pula e paglia
secca.
UN'ALBA DI EPIFANIE BAMBINE
Afferrerò al volo
una coda di rondine
e ne farò il mio aquilone
che terrò stretto nella mano.
A braccia larghe,
ad imitare aperture d'ali,
sfiderò correnti ascensionali,
abbraccerò il sogno
di una nuvola bianca
strappata al sole
e ne assaggerò il sapore
prima che il gran calore
ne faccia della gola l'illusione.
E, per le mie labbra
avide del furtivo assaggio,
sarà come rubare
un fiocco di zucchero filato
dalla bocca di una primavera
arrivata tutta profumata
a stordire le nari e fiaccare i sensi
in un'alba nuova... l'ennesima
di epifanie bambine,
chiuse dentro scatole di latta,
già pronte a far baccano
sotto le dita tamburellanti
di un tempo sempre più fuggevole.
AZZURRE FANTASIE
Vanno lenti i giorni
tra singhiozzi di tempo
e sussulti di petto.
Graffia l'unghia del destino,
quasi a voler grattare via la noia
e... sono soffi di luna
a portare formiche sulla pelle.
Stride il ricordo
come verme rassegnato
nel becco adunco di un uccello.
Brividi di stelle s'accendono
a schiarire la notte nera
ed uno strappo di pensieri
lacera il drappo scuro.
Sanguina un'alba ferita,
laddove sarà forse la terra,
la sabbia o il mare
che mi parlerà di te
… di te che sarai vento
e poi nuvola ed ancora vento,
a muovere il bianco
delle mie azzurre fantasie
Poesie di grande intensità emotiva, dove la parola, con grandi allunghi etimo-fonici ben forniti di un palpitante ardore allusivo di metafore, abbraccia con generosità ogni abbrivo sentimentale, ogni sprazzo rievocativo, ogni sogno di nuvole bianche strappate al sole. E il tutto esala da un’anima zeppa di vita e di vitalità: amore, solitudini, voglia dell’oltre, di albe rigeneranti, di voli ascensionali con nel petto respiri di ginestre e fiordalisi. La poetessa fa della vita un filo da tessere in ricami ora in tinte rosse, visivamente forti, ora in tinte flebili, rievocanti le melanconie esistenziali, ora in tinte autunnali, tanto vicine al fluire inderogabile dell’ora e del tempo; al fluire di epifanie bambine, chiuse dentro scatole di latta, già pronte a far baccano sotto le dita tamburellanti di un tempo sempre più fuggevole. Grazia e delicatezza. Stati d’animo che scivolano morbidi su una versificazione armonicamente suasiva. C’è qui l’essenza dell’esistere con tutte le sue vicissitudini dolci-amare; con le memorie di primavere vergini dove le persone più care avevano gli occhi dei fanciulli e l’energia dei padri. E c’è la voglia di andare, di svincolarsi da un umano troppo umano, c’è il sogno, quel meraviglioso rimedio alle tante sottrazioni di uno stretto spazio, pur sempre meraviglioso spazio, in cui ci è dato vivere.
RispondiEliminaSanguina un'alba ferita,
laddove sarà forse la terra,
la sabbia o il mare
che mi parlerà di te
… di te che sarai vento
e poi nuvola ed ancora vento,
a muovere il bianco
delle mie azzurre fantasie
Nazario
Il poeta ha tasche vuote di monete e scrive perché non sa negarsi alla penna che il cuore muove. L'unico compenso che soddisfa i suoi “ingordi appetiti” è l'ardire di lingue intente ad articolar parole, spese generose da chi legge i suoi versi. Ebbene oggi, con grande gioia, lego il mio respiro a queste Sue righe e, senza dilungarmi in ossequiosi convenevoli, dico semplicemente grazie. Gli apprezzamenti sinceri di chi si stima riempiono i forzieri dell'anima.
EliminaBuon proseguimento di giornata!
Loretta
Non ho il piacere di conoscere questa poetessa ma spero di incontrala in qualche prossima fortunata occasione letteraria, oppure di leggere ancora le sue poesie, che mi sembrano davvero ottime. Sono robuste, come dire, intense, sia dal punto di vista del contenuto che per l'afflato emotivo, ma intelligentemente contenuto e misurato, che le sorregge: senza cioé mai cadere nel facile trabocchetto della banalità, specialmente quando si tratta di sentimenti (dedicata a mio padre...). Insomma, poesia certamente di qualità, di spessore, e si nota anche dalle belle e ardite figurazioni che costellano il suo dire poetico. Complimenti! E bravo sempre al nostro caro amico Nazario che sa dove attingere la buona poesia per la soddisfazione di tutti noi! Un caro saluto,
RispondiEliminaGiuseppe Vetromile
Un sentito ringraziamento al noto poeta e scrittore Giuseppe Vetromile. Molto gradito il suo giudizio.
EliminaCon sincera stima,
Loretta
Autentica poesia, questa di Loretta Stefoni. Non c'è nulla di studiato nel fluire delle metafore, che sgorgano incessanti e sorgive. L'andamento è quello di un'onda lieve, capace di cullare e massaggiare l'anima, quasi a volerla coccolare. Il tema ricorrente è quello della giovinezza perduta, della primavera che passa, lasciando profumi intensi, memorie struggenti e tenerissime. Il cuore è sospeso tra questo ricordo vivo, ruggente, e l'attesa di altre, ignote, stagioni. Nessuno sconforto, tuttavia. Nessuna amarezza, nessuna disperazione per il tempo che fugge. Piuttosto, direi, un affidarsi dell'anima al mistero.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Che dire?... Un'altra bella penna giunge a spendere parole per la mia poesia, ne sono comprensibilmente compiaciuta. Signor Campegiani, il suo occhio critico mi ha spogliato per vestirmi di verità. Onorata del suo giudizio, la saluto cordialmente,
EliminaLoretta
Mi pare che queste poesie siano caratterizzate da un'accesa carica emozionale, che genera immagini spesso inedite e singolari, e da spiccate potenzialità linguistiche, che dettagliano ogni sfumatura della visione poetica. E nell'atto creativo prende forma un'avvincente realtà lirica ora evocativa ora memoriale, talvolta metaforizzata ( e in modo brillante), ma sempre sorvegliata nei sentimenti, detti con misura e pacatezza, e palpitante di vita.
RispondiEliminaBella poesia, forte e insieme delicata, che osserva la vita con una certa rassegnata stupefazione, ma anche con quel guizzo di ribellione che alimenta il fuoco della creazione artistica.
Pasquale Balestriere
Gentile signor Balestrieri, ho avuto modo di apprezzare le sue poesie nel corso di mie letture estive, pertanto, essendomi già nota la sua bravura, sono ben felice delle acute e lusinghiere osservazioni fatte alle mie liriche. La ringrazio caldamente e, cordialmente, la saluto,
EliminaLoretta
Esaustive - a mio parere - queste cinque liriche di Loretta Stefoni per avere un'idea della poetica alle stesse sottesa. Credo di poter asserire, con una certa sicurezza, che il tema della fugacità esistenziale sia al centro della sua riflessione ispiratrice. Esemplare, al riguardo, mi appare la chiusa de "Un'alba di epifanie bambine", dove il "furtivo assaggio" diviene sonoro: quelle "dita tamburellanti" che esprimono, con il loro "baccano", le sempre nuove primavere della vita.
RispondiEliminaEcco: anche se, della cicala, resta solo "un guscio vuoto di respiri", un altro corpo, altra materia riempiono l'assenza. E prendono a cantare.
Desidero (prima di chiudere il commento) soffermarmi sul testo "L'ultima gomena dell'anima" perché mi sembra rilevante come la poetessa colga nello sguardo paterno l'"attesa di un arrivo", come si accorga di quella solitudine che, al tramonto, spinge a salutare "d'eternità". Tutto riferito, raccontato - lasciatemi dire - pavesianamente: non emulando, però, ma con una propria, ben precisa cifra stilistica.
Sandro Angelucci
Particolarmente gradita questa breve nota critica che abilmente tratteggia la mia poetica. Onorata per l'accostamento fatto con il grande Pavese, un poeta e scrittore a me molto caro. Un ringraziamento non tanto dovuto ma, sinceramente sentito, signor Angelucci, pertanto, la saluto cordialmente, nell'attesa di leggere qualche sua opera che mi sarà sicuramente d'insegnamento.
EliminaLoretta