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sabato 9 novembre 2013

P. BASSANI: SU G. BONO MARCHETTI

GIOVANNA BONO MARCHETTI
poetessa della Val di Vara
note di Paolo Bassani



E’ stato presentato recentemente nella Sala consiliare della Provincia della Spezia “Quaderno a righe”, volume di Giovanna Bono Marchetti, insegnante e nota poetessa della Val di Vara. Il libro, scritto nei  dialetti della media Valle (Ferriere, Castello di Carro, Ziona, Mattarana, Corrodano), riporta pagine della memoria della realtà vissuta dall’autrice nell’antica civiltà contadina. Accanto al testo in vernacolo è posta la “traduzione”.


Giovanna Bono Marchetti è nata alle Ferriere di Carrodano (SP), ha insegnato nelle scuole della Val di Vara e alla Spezia dove vive. Fin dall’adolescenza scrive poesie. Partecipa a concorsi nazionali ottenendo significativi riconoscimenti. Desidero ricordare alcuni primi premi conseguiti:
Nella sezione poesia singola: “Il Picchio-Lipu – Trento 1996”,  “Città di Santelia Fiume Rapido 2006”, “A.N.C. Adria (RO) 2001”, “A. Giovannitti – Oratino (CB) 2006”, “Macchia D’Isernia (IS) 2008”, ecc.
Nella sezione silloge inedita ed edita: “Val di Vara 1998”, “Camelot 2005”, “Pablo Neruda 2008”, ecc.

Dalla silloge “I giardini del vento”, vincitrice del Premio Pablo Neruda 2008 – sez. libro edito, ho tratto alcune liriche.


              PARTIRE

Io non ho voce più per raccontare
né chi m’ascolti in questa grande casa
cui il tempo ruberà anche le memorie.
Come il mio canto muti, alle pareti,
amati volti mi lasciate andare-
- Pensierosa di me, madre, posasti
la sporta del dolore.
Maggio in fiore splendeva sul ciliegio.
Lievi, tinnule ai vetri alate fronde
d’acero annoso che cullaste sogni,
dolce crinale d’Appennino, chiari
declivi erbosi dell’Agnola d’argento,
su quante vite chiudo questa porta!
Volgo le spalle, so di non tornare.
Terra di sole e di silenzi quieta,
nel respiro dei pini sarò fiato
lungo i tuoi fianchi, d’altre primavere.


            LA RUOTA

Sono rimaste sagome deserte
impresse  in negativo alle pareti:
qui l’antica credenza di carrubo,
qui la vetrina grande genovese,
i ritratti, le stampe incorniciate.
Venivano voci dai poderi
e il bianco fratello marinaio
a soglie di speranza. Graziosa
fasciavi la tua bambola di pietra.
C’era un lillà sul poggio e di pervinche
una cascata azzurra.
Questo silenzio spoglio è ritrovarsi
dolente di respiri, esile fila
d’anime che chiamate mute e miti,
che chiamate benigne: - Non lasciare
la nostra che fu bella, fu pulita,
fu sulla piazza la più luminosa
casa quieta d’affetti, inondata
dal suono di campane e dal profilo
arioso d’Appennino. Non lasciare…
               Povere ombre dei miei cari morti,
potesse colmare quest’assenza
il cinguettio d’un bimbo che somigli
in una nota a voi! Avreste pace
sul colle resinoso e assai più lieve
io vi raggiungerei.
Ma già riprendi, moto inarrestabile,
insidia di rovi ai davanzali.


    SU QUESTA SPONDA

Non è gioia di vivere, Bahia
non è vacanza , dice il missionario
che bambini di rua e umbù bisticciano
per il boccone nella spazzatura.
e l’altro dice non esiste casa,
s’ammassano a decine nel tugurio,
la milizia coglie a mitragliate
le minibande a Lima o altrove e questo
è appena un cenno a pizzicare corde
vibranti sul momento. Che in Centrafrica
non hanno acqua e devono urina.
Però tu dici – Anche su questa sponda
c’è chi ha fame, chi vive una pudica
realtà di stenti; so d’una miseria
anche più nera dietro le facciate.
Entrare è impresa sempre disperata
se non vuoi comprometterti, se manca
il coraggio d’imbrattarsi le vesti.
E’ questa vigna vasta quasi gèrbida
come qualsiasi altra di missione,
terra da coltivare spesso atroce
quanto quel grumo che chiamiamo cuore.
E mi ricordi che il tutto è in ogni parte,
l’infermo ovunque, come il paradiso.

                                          Giovanna Bono Marchetti




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