LA RESPONSABILITĂ SOCIALE DELLA POESIA
Premetto
che la poesia è, per quanto mi riguarda, un’esigenza dello spirito e, dunque,
essenzialmente connessa alla sfera individuale: si - ne sono convinto - il
poeta scrive per sé, per dare voce al proprio io interiore.
Ciò
detto, non vorrei tuttavia essere frainteso. Mi spiego: quando parlo
d’individuo non intendo qualcosa di separato dal tutto; al contrario,
rifacendomi all’etimologia stessa del vocabolo, voglio metterne piuttosto in
risalto il significato d’inseparabilità, di un’esistenza, appunto, che non può
essere non compresa nel tutto e comprenderlo a sua volta.
Perché
questo preambolo? Per chiarezza, perché - da subito - risultino, a chi avrà la
bontà di leggermi, sufficientemente esaustive le mie argomentazioni.
Il
tema propostomi è interessantissimo e fecondo d’infiniti collegamenti e
richiami. Desidero, comunque, partire da una constatazione: come può la poesia,
essendo l’espressione più autentica dell’universo-uomo, non incidere su quelle che
sono le sue scelte più importanti, i comportamenti, le abitudini di vita che lo
stesso si è dato? Volontariamente o meno, l’interiorità si riflette in ciò che
rappresenta il fuori, il mondo; e dico questo a tutti i livelli, così come lo
Spirito ha in sé la Materia e viceversa.
Ma
lasciamo da parte, adesso, questi ragionamenti (che ci porterebbero lontano) e
concentriamoci sul rapporto poesia/società. Il poeta - a mio avviso - è stato
sempre emarginato, ma non perché malvisto, semmai per essere inconsciamente
considerato come colui che distoglie dalle occupazioni pratiche della vita.
Apparentemente - ma solo apparentemente - questo è vero (non va dimenticato che
“l’essere con la testa fra le nuvole” vuol dire essere più vicini al cielo), ma
i piedi, come quelli di chiunque altro, sono qui, calpestano la terra e, sulla
terra, si muovono. Voglio dire: si sta disquisendo di un uomo che vive tra gli
uomini, che lavora, che mangia, che beve, che fa l’amore, che vota; insomma,
che partecipa al vivere sociale. Ma, allora, come può il suo operare non
condizionare la società? Mi chiedo - e vi chiedo - sarebbe davvero uguale il
sodalizio umano in assenza del suo apporto? Beh, a dispetto di quanto si possa
pensare, io rispondo decisamente: no.
E
qui, entriamo nell’attualità: mi spingo ad affermare che le aberrazioni, i
disastri, l’immoralità della società contemporanea hanno tra i responsabili
anche i poeti (oh, lo so, sento già sollevarsi i cori dell’indignazione), ma è
così, non può che essere così. Non possiamo - e mi rivolgo a chi, come me,
ascolta questa Musa - tirarci fuori: sarebbe un errore non dissimile da quello
che fanno coloro che ci emarginano. No, noi viviamo nel mondo, costruiamo la
società giorno per giorno facendo poesia, e ci dobbiamo, per primi, caricare di
questa responsabilità. Più di tutti, più dei politici, che hanno dimenticato il
fanciullino di pascoliana memoria che vive dentro di loro.
Le
brutture, le crudeltà del mondo che abbiamo voluto, devono far vergognare
tutti. E smettiamola di creare eroi o di sentirci ipocritamente addolorati:
Papa Francesco, francescanamente, lo ricorda ogni volta ma, attenzione, non
trasformiamo in eroismo anche il più alto esempio di umiltà.
“La
poesia salva la vita” - come ebbe a scrivere Donatella Bisutti - e, conseguentemente,
salva la società umana, le discriminazioni sempre più evidenti che la stanno
caratterizzando in questo scorcio del terzo millennio; ad una condizione, però,
che l’uomo si ricordi del suo primo vagito, del vagito della sua anima, e che
lo faccia più in fretta possibile, prima che un altro pianto (quello di Dio)
renda giustizia, con un estremo atto d’amore, alla nostra ed a tutte le
congregazioni degli esseri viventi.
Sandro
Angelucci
Condivido pienamente l'idea che Sandro Angelucci ha della poesia ( ed ovviamente di qualsiasi altra forma di scrittura ) come espressione d'impegno totale dell'uomo nella società. Sviluppando quel che non è esplicitamente detto e, tuttavia, si coglie facilmente attraverso una lettura non distratta, c'è in questo intervento una sorta di presa di posizione negativa nei confronti di quella poesia che si limita a fare da specchio ai mali della società, sottraendosi al suo ruolo propositivo e costruttivo. Se poesia vuol dire fare, il poeta deve "fare" la società, non deve fotocopiarla, ma ridisegnarla rinnovandone le fondamenta. Insomma, basta all'arte nichilista! Poiché l'arte nichilista distrugge la speranza, mentre l'arte "impegnata" crea speranza e futuro, Che l'impegno a cui Sandro allude non sia quello strettamente ideologico ( ed è curioso che per poesia impegnata si intenda, almeno dal secondo dopoguerra quella ideologica!) è cosa evidente. Si tratta piuttosto di un impegno etico, di un impegno dell'uomo per l'uomo. Attraverso quali valori si eserciti tale impegno, è anche questa volta chiaro: l'armonia, la bellezza estetica di un'autentica poesia difendono il bene.
RispondiEliminaEd allora da questo articolo dobbiamo trarre l'invito a ritornare ad una scrittura nuovamente "rivoluzionaria", come quella che è stata sempre guardata con sospetto dalle dittature di qualsivoglia genere, perché, essendo "bella" ed essendo "buona", coincide con la libertà dell'essere umano.
Mi sono prolungata. Me ne scuso. Ma l'argomento mi sta molto a cuore. perciò ringrazio Sandro Angelucci di avere sollevato una giusta questione.
Franca Alaimo