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domenica 23 febbraio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "DOVE L'ERBA TRASUDA NARCISI", DI G. CECCAROSSI






Recensione
a
Giannicola Ceccarossi: Dove l’erba trasuda narcisi
Ibiskos-Ulivieri. Empoli. 2014. Pp. 52. € 13.00

La sacralità di un percorso che ci ha elargito affetti e memorie tanto solidi da  prolungare la vita



Scrivere sulla poesia di Giannicola Ceccarossi significa andare a fondo di quei tourbillons esistenziali che inquietano l’uomo in quanto tale. In quanto essere vivente in uno spazio angusto e senza certezze minime. È da là che deriva il bisogno del poeta di sfoltire quelle nebbie che offuscano la traiettoria del vivere:

… Ora sono un monaco
con la tunica sdrucita
e la ciotola
E sono ancora in cerca.

E ancora:

Madre
(…)
Aiutami a lasciare indietro
tutti i miei dubbi
e a dimenticare
quell’inferno confuso dalle stelle
 Aiutami a vivere
questo ultimo volo degli aironi

Questo l’autore. È il suo un volo che lo ri/vuole a terra, lì, proprio lì, dove il profumo delle piante selvatiche o il colore delle sere iridee contornano fiumi larghi che esondano in campi di girasoli. Prende forza da qui la poesia del Nostro. Da questa madre terra che, pur tenendoci stretti nella sua morsa, ci gratifica con la sua generosa offerta di respiri di allodole, e erbe che trasudano narcisi. Ma, quantunque preso da questo amore sviscerato per la vita ed i suoi doni, il poeta è cosciente, anche, della precarietà e della fuga inarrestabile di un tempo che tutto fagocita, e tutto consuma:

Si svolge il gomitolo dei giorni
e il cuore corre corre
 Corre all’impazzata
E  mi brucia

D’altronde sarebbe necessario un credo solido; una visione e una fede in un Dio a cui potersi agguantare nei momenti di svilimento vicissitudinale; quando i dubbi ti afferrano la gola e ti trovi sperso in una esistenza senza soluzioni ragionevoli. È da qui che una solitudine interiore si impossessa del nostro esistere, e anche se attorno la terra generosa si offre con tutti i suoi fulgori, è il brusìo di un vento solitario ad accompagnare il poeta; si fa simbolo della sua malinconia in una felice resa poetica di dicotomica valenza; di ossimorica rilevanza lirico-visiva:

Ombre e gelsomini
Vuoti e spezie
Odori odori
Nulla intorno
Solo il brusìo del vento
e la mia solitudine.

Un gioco di contrapposizioni, di polemos fra i contrasti, di cui è condita la vita: giorno, notte; pieno vuoto; bene male; vita morte. E chi dice che il vivere non corrisponda proprio a questo diacronico fluire di dualità che lo rende vero? A questa simbiotica fusione di poli opposti che ne determinano il cammino. D’altronde la morte  fa parte della vita, ne è componente essenziale. E cosa sarebbe l’una senza l’altra? Ma per Ceccarossi:

Si sono avvizzite le fronde del paradiso
ed è ora di aranci selvatici. 
Allora cammino nella scia delle comete
con le colpe che ritornano d’improvviso
e aspetto di udire il suono di due pietre
un fruscìo

Sì!, c’è, in questo poema, lo sforzo di penetrare oltre le cortecce dell’esistere. Una questione umana, troppo umana, che rende i versi del Nostro veri e toccanti; universalmente sentiti ed espansi:

Quelle cortecce che scorgo in penombra
e che non riesco a comprendere
Ma tutto questo quando finirà?

È allora che sorge nel profondo di un’anima l’interrogativo inquietante della vicenda terrena : “Sarò me stesso/ se i mulinelli mi trascineranno in fondo/ e la schiuma mi chiuderà la  bocca/ o se mi perderò tra i filari di nespoli/ come un fantoccio dalle ali spigate?”.
E in effetti esiste, per estrema necessità di completamento, l’aspirazione a un Dio a cui potersi rivolgere; la mente dell’uomo, in fin dei conti, non può accettare, né può contenere i termini risolutivi di inizio e di fine. Ed è qui il pascaliano dilemma dell’esistere: vivere a terra con lo sguardo ad una siepe che ostruisce il dilagarsi della luce in orizzonti senza fine. Forse è il sogno o lo slargo generoso dell’immaginazione ad elevarci verso cieli che sanno tanto d’azzurro. Ed il sogno fa parte della vita, ne è un completamento irrinunciabile. Abbandonarci nelle sue braccia tanto generose di spazi eterei significa trovare alcòve rigeneranti in questa vita costellata di tante sottrazioni:

Ma c’era un sogno
che vagava nell’aria
e mi parlava
Quanti ne hai ancora di quei sogni?
Quanto i miei anni
E mi sono addormentato

E quanto è naturale rivolgersi alla madre, simbolo di forti ancoraggi, di verità e di pluralità emotiva! Forse anche perché in noi permane quel fanciullino che è nato con in bocca il suo nome;  o forse perché abbiamo bisogno che ci accompagni fino in fondo nella speranza di trovare un bilanciamento alle nostre esitazioni e alle nostre incertezze; lei ci può aiutare con la sua sacra voce che ci rimbomba nell’anima:

Madre
Aiutami a togliermi di dosso questa angoscia
e la paura di ritrovarmi solo   
Aiutami a lasciare indietro
Tutti i miei dubbi
E a dimenticare
Quell’inferno confuso dalle stelle…

Questa è la poesia di Ceccarossi; un poema carico di umanesimo ed umanità, un poema che affonda la lama nel mistero della vita, e nel fatto di esser-ci;  ed è infinitamente profondo il suo discorso; un verso alimentato da tutti quei quesiti che lo rendono fecondo di slanci iperbolici, di voli metaforici che vadano oltre la parola, oltre i nostri limiti di esseri umani. Un volo fatto di memorie, anche, su cui tessere una storia, una storia di fatti e momenti eccelsi che vincano le ombre delle nuvole:

E’ ora di ricordare!
In queste sere
voleremo stretti ad ali di farfalle
e guarderemo i figli dei nostri figli
crescere e amare
E’ ora di ricordare!
Di ricordare quanto
lasciammo al di là delle nuvole.

Qui è la vicenda del poeta. Qui la sostanza della sua poesia. Un cerchio che si chiude con un afflato ontologico-emotivo di grande impatto umano. E anche se la sua chiesa è vuota e senza tetto, e anche se la foschia si avvicina ad avvolgere i pensieri e il presagio di un lungo viaggio, alla fine è la vita che vince, è la sacralità del suo percorso, quella sacralità che ha elargito affetti e memorie tanto solidi da  prolungarsi, con il loro potere, verso un futuro zeppo di ore da consumare:

E quando il nevischio
bagnerà le mie gote
sorriderò    
Perché con te
avrò altre ore da consumare

Nazario Pardini         22/02/2014



1 commento:

  1. Ho letto anch’io l’ultima fatica letteraria di Giannicola Ceccarossi, e ho trovato inevitabile prendere atto dell’assoluta continuità tematica e ideale tra questa silloge e la produzione poetica antecedente, soprattutto quella più recente: “Aspetterò l’arrivo delle rondini”, “Ed è ancora così lontano il cielo”, “Casa di riposo”.
    E la continuità, il filo rosso che lega tra di loro le pubblicazioni citate e “Dove l’erba trasuda narcisi”, è rappresentata soprattutto da uno stilema ricorrente, che innerva stabilmente il poièin di Giannicola Ceccarossi, ovvero il réfrain del viaggio, quel viaggio infinito e misterioso che dall’ombra e dalla precarietà tende alla luce e all’assoluto; un viaggio che marca l’indecifrabilità dell’andare stesso, le ineludibili domande sulla “leggibilità” e sulla intelligibilità della vita e del mistero esistenziale. E qui sta il merito di Nazario Pardini, l’avere individuato con assoluta linearità e nettezza i nuclei essenziali della poetica di Ceccarossi, nuclei caratterizzati da dicotomie, dualità che sottendono una lotta senza fine tra bene e male, ombra e luce, realtà e sogno, vita e morte. Dualismi radicali e apparentemente inconciliabili che si ripropongono ad ogni passo, che segnano indelebilmente la vicenda umana del poeta, al quale non riesce di scorgere risposte risolutive, cosa che produce ansia, trepidazione, sofferenza indicibili. Di modo che egli vive drammaticamente il suo tempo, di fatto dando cittadinanza piena, anche se sofferta, ad entrambi i valori di ciascuna dicotomia. Non avendo però sponde, né risposte, per i suoi quesiti, il poeta si aggrappa alle memorie e si rifugia negli affetti che hanno dato senso e luce alla sua vita. Il ricordo dei suoi cari (di cui il poeta sente aleggiare una trepida, costante presenza) è l’unica certezza alla quale affidarsi, l’unica risposta, laica e struggente, agli interrogativi che rinviano al presente e al dopo, al contingente e all’assoluto, in un rincorrersi interminabile e straniante, in attesa di un approdo di cui gli sfuggono il fine, i contorni, il senso.
    Poesia del dubbio e dell’ incertezza, quella di Giannicola Ceccarossi, tuttavia sollevata da un lirismo fortemente “nobile”, alto, evocativo.

    Umberto Vicaretti

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