a
Giannicola
Ceccarossi: Dove l’erba trasuda narcisi
Ibiskos-Ulivieri.
Empoli. 2014. Pp. 52. € 13.00
La
sacralità di un percorso che ci ha elargito affetti e memorie tanto solidi
da prolungare la vita
Scrivere
sulla poesia di Giannicola Ceccarossi significa andare a fondo di quei tourbillons esistenziali che inquietano
l’uomo in quanto tale. In quanto essere vivente in uno spazio angusto e senza
certezze minime. È da là che deriva il bisogno del poeta di sfoltire quelle
nebbie che offuscano la traiettoria del vivere:
… Ora sono un monaco
con la tunica sdrucita
e la ciotola
E sono ancora in cerca.
E
ancora:
Madre
(…)
Aiutami a lasciare indietro
tutti i miei dubbi
e a dimenticare
quell’inferno confuso dalle
stelle
Aiutami a vivere
questo ultimo volo degli
aironi
Questo
l’autore. È il suo un volo che lo ri/vuole a terra, lì, proprio lì, dove il
profumo delle piante selvatiche o il colore delle sere iridee contornano fiumi
larghi che esondano in campi di girasoli. Prende forza da qui la poesia del
Nostro. Da questa madre terra che, pur tenendoci stretti nella sua morsa, ci
gratifica con la sua generosa offerta di respiri di allodole, e erbe che
trasudano narcisi. Ma, quantunque preso da questo amore sviscerato per la vita
ed i suoi doni, il poeta è cosciente, anche, della precarietà e della fuga
inarrestabile di un tempo che tutto fagocita, e tutto consuma:
Si svolge il gomitolo dei
giorni
e il cuore corre corre
Corre all’impazzata
E mi brucia…
D’altronde
sarebbe necessario un credo solido; una visione e una fede in un Dio a cui potersi
agguantare nei momenti di svilimento vicissitudinale; quando i dubbi ti
afferrano la gola e ti trovi sperso in una esistenza senza soluzioni
ragionevoli. È da qui che una solitudine interiore si impossessa del nostro
esistere, e anche se attorno la terra generosa si offre con tutti i suoi
fulgori, è il brusìo di un vento solitario ad accompagnare il poeta; si fa
simbolo della sua malinconia in una felice resa poetica di dicotomica valenza; di
ossimorica rilevanza lirico-visiva:
Ombre
e gelsomini
Vuoti
e spezie
Odori
odori
Nulla
intorno
Solo
il brusìo del vento
e
la mia solitudine.
Un
gioco di contrapposizioni, di polemos
fra i contrasti, di cui è condita la vita: giorno, notte; pieno vuoto; bene male;
vita morte. E chi dice che il vivere non corrisponda proprio a questo
diacronico fluire di dualità che lo rende vero? A questa simbiotica fusione di
poli opposti che ne determinano il cammino. D’altronde la morte fa parte della vita, ne è componente
essenziale. E cosa sarebbe l’una senza l’altra? Ma per Ceccarossi:
Si sono avvizzite le fronde
del paradiso
ed è ora di aranci selvatici.
Allora cammino nella scia
delle comete
con le colpe che ritornano d’improvviso
e aspetto di udire il suono di
due pietre
un fruscìo
Sì!,
c’è, in questo poema, lo sforzo di penetrare oltre le cortecce dell’esistere.
Una questione umana, troppo umana, che rende i versi del Nostro veri e
toccanti; universalmente sentiti ed espansi:
Quelle cortecce che scorgo in
penombra
e che non riesco a comprendere
Ma tutto questo quando finirà?
È
allora che sorge nel profondo di un’anima l’interrogativo inquietante della
vicenda terrena : “Sarò me stesso/ se i mulinelli mi trascineranno in fondo/ e
la schiuma mi chiuderà la bocca/ o se mi
perderò tra i filari di nespoli/ come un fantoccio dalle ali spigate?”.
E
in effetti esiste, per estrema necessità di completamento, l’aspirazione a un
Dio a cui potersi rivolgere; la mente dell’uomo, in fin dei conti, non può
accettare, né può contenere i termini risolutivi di inizio e di fine. Ed è qui
il pascaliano dilemma dell’esistere: vivere a terra con lo sguardo ad una siepe
che ostruisce il dilagarsi della luce in orizzonti senza fine. Forse è il sogno
o lo slargo generoso dell’immaginazione ad elevarci verso cieli che sanno tanto
d’azzurro. Ed il sogno fa parte della vita, ne è un completamento
irrinunciabile. Abbandonarci nelle sue braccia tanto generose di spazi eterei
significa trovare alcòve rigeneranti in questa vita costellata di tante sottrazioni:
Ma c’era un sogno
che vagava nell’aria
e mi parlava
Quanti ne hai ancora di quei
sogni?
Quanto i miei anni
E mi sono addormentato
E
quanto è naturale rivolgersi alla madre, simbolo di forti ancoraggi, di verità
e di pluralità emotiva! Forse anche perché in noi permane quel fanciullino che
è nato con in bocca il suo nome; o forse
perché abbiamo bisogno che ci accompagni fino in fondo nella speranza di trovare
un bilanciamento alle nostre esitazioni e alle nostre incertezze; lei ci può
aiutare con la sua sacra voce che ci rimbomba nell’anima:
Madre
Aiutami a togliermi di dosso
questa angoscia
e la paura di ritrovarmi solo
Aiutami a lasciare indietro
Tutti i miei dubbi
E a dimenticare
Quell’inferno confuso dalle
stelle…
Questa
è la poesia di Ceccarossi; un poema carico di umanesimo ed umanità, un poema
che affonda la lama nel mistero della vita, e nel fatto di esser-ci; ed è infinitamente profondo il suo discorso;
un verso alimentato da tutti quei quesiti che lo rendono fecondo di slanci iperbolici,
di voli metaforici che vadano oltre la parola, oltre i nostri limiti di esseri
umani. Un volo fatto di memorie, anche, su cui tessere una storia, una storia
di fatti e momenti eccelsi che vincano le ombre delle nuvole:
E’ ora di ricordare!
In queste sere
voleremo stretti ad ali di
farfalle
e guarderemo i figli dei
nostri figli
crescere e amare
E’ ora di ricordare!
Di ricordare quanto
lasciammo al di là delle
nuvole.
Qui
è la vicenda del poeta. Qui la sostanza della sua poesia. Un cerchio che si
chiude con un afflato ontologico-emotivo di grande impatto umano. E anche se la
sua chiesa è vuota e senza tetto, e anche se la foschia si avvicina ad
avvolgere i pensieri e il presagio di un lungo viaggio, alla fine è la vita che
vince, è la sacralità del suo percorso, quella sacralità che ha elargito
affetti e memorie tanto solidi da
prolungarsi, con il loro potere, verso un futuro zeppo di ore da
consumare:
E
quando il nevischio
bagnerà
le mie gote
sorriderò
Perché
con te
avrò
altre ore da consumare
Nazario
Pardini 22/02/2014
Ho letto anch’io l’ultima fatica letteraria di Giannicola Ceccarossi, e ho trovato inevitabile prendere atto dell’assoluta continuità tematica e ideale tra questa silloge e la produzione poetica antecedente, soprattutto quella più recente: “Aspetterò l’arrivo delle rondini”, “Ed è ancora così lontano il cielo”, “Casa di riposo”.
RispondiEliminaE la continuità, il filo rosso che lega tra di loro le pubblicazioni citate e “Dove l’erba trasuda narcisi”, è rappresentata soprattutto da uno stilema ricorrente, che innerva stabilmente il poièin di Giannicola Ceccarossi, ovvero il réfrain del viaggio, quel viaggio infinito e misterioso che dall’ombra e dalla precarietà tende alla luce e all’assoluto; un viaggio che marca l’indecifrabilità dell’andare stesso, le ineludibili domande sulla “leggibilità” e sulla intelligibilità della vita e del mistero esistenziale. E qui sta il merito di Nazario Pardini, l’avere individuato con assoluta linearità e nettezza i nuclei essenziali della poetica di Ceccarossi, nuclei caratterizzati da dicotomie, dualità che sottendono una lotta senza fine tra bene e male, ombra e luce, realtà e sogno, vita e morte. Dualismi radicali e apparentemente inconciliabili che si ripropongono ad ogni passo, che segnano indelebilmente la vicenda umana del poeta, al quale non riesce di scorgere risposte risolutive, cosa che produce ansia, trepidazione, sofferenza indicibili. Di modo che egli vive drammaticamente il suo tempo, di fatto dando cittadinanza piena, anche se sofferta, ad entrambi i valori di ciascuna dicotomia. Non avendo però sponde, né risposte, per i suoi quesiti, il poeta si aggrappa alle memorie e si rifugia negli affetti che hanno dato senso e luce alla sua vita. Il ricordo dei suoi cari (di cui il poeta sente aleggiare una trepida, costante presenza) è l’unica certezza alla quale affidarsi, l’unica risposta, laica e struggente, agli interrogativi che rinviano al presente e al dopo, al contingente e all’assoluto, in un rincorrersi interminabile e straniante, in attesa di un approdo di cui gli sfuggono il fine, i contorni, il senso.
Poesia del dubbio e dell’ incertezza, quella di Giannicola Ceccarossi, tuttavia sollevata da un lirismo fortemente “nobile”, alto, evocativo.
Umberto Vicaretti