DA "LITORALE NEWS"
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Giorno del ricordo: il massacro delle foibe nei versi di
Nazario Pardini
Oggi ricorre una solennità civile e nazionale: il Giorno del ricordo. Esso venne istituito con la legge 30 Marzo 2004 n. 92 allo scopo di commemorare e non dimenticare le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, nonché i martiri delle persecuzioni, dei massacri e delle deportazioni occorse in Istria, in Dalmazia o nelle province dell’attuale confine orientale, durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi.
Per non dimenticare questi orrori abbiamo l’onore di ospitare le parole inviateci da uno dei più illustri scrittori e poeti italiani del nostro tempo: Nazario Pardini. In questa lirica l’autore descrive, con raffinatezza e rispetto assoluti, il senso di un infinito dolore paragonabile al vuoto, al bianco e nero, alla spaccatura nella roccia. Una sorta di nebbia capace di calare e ricoprire tutto, sino a restituire solo il silenzio doloroso di chi rimane. Tutto il resto assume un mutismo di morte e disumana barbarie.
Marco Mastrilli
Carso
(alla memoria di coloro che tragicamente finirono in quegli abissi)
Sopra i suoli innevati dei declivi
del Carso, ci apparve poi una donna
novantenne, coi fiori nelle mani
tremolanti e insicure. Tra la neve
(rossa neve di morte fu il suo dire
del quale noi restammo assai perplessi
e certamente avvinti) rovistava
per dissodare un varco. Poi si aprì
ai nostri occhi una voragine di un
cunicolo di monte. Sono tipiche,
in quei pianori carsici, le foibe.
Pochi i raggi di sole incastonati
in quei tepali brevi di stagione
tra la neve macchiata dal livore
delle rocce supreme. Lei, con voce
querula e stanca, volse l’occhio asciutto
al nascosto strapiombo: “Inverne fosse
che contenete i resti di mio figlio
in fondo al ventre buio, ricevete
questi colori memori di luce.
Fate che questi sprazzi di giardino
che vide i nudi piedi barcollanti
di lui che fu bambino, gli ricoprano
i resti mescolati assieme a tanti
di cui conosco i nomi. Il solo cippo
al quale posso dire una preghiera
è questa nuda pietra, silenziosa
compagna di due legni messi in croce
che solo io conobbi e solo io
ne eressi l’esistenza. Troppe voci
non si udirono più, troppo potere
si scordò di quel sangue”. La mia anima
si rivolse alla donna che in silenzio
chiedeva solamente
rispetto del dolore. Ripeteva
le solite parole un po’ sconnesse
e confuse. “Coi camion, mi dicevano,
li portano al lavoro. Camion zeppi
di giovani, di vecchi. Ma tornavano
vuoti. E vuoti ritornavano dai lividi
sentieri. Mi dicevano che i camion
li avrebbero portati sul lavoro
in cima al monte. E muti ritornavano,
ritornarono vuoti verso il piano”.
Da Nazario Pardini: Si aggirava nei boschi una fanciulla. Edizioni ETS. Pisa. 2000. Pp. 112
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