Colloquio con il mare e con la vita
UN TUFFO NEL MISTERO DEL CREATO
A Nazario Pardini il Premio "Libero
De Libero" 2012
Le Edizioni
Confronto hanno pubblicato "Colloquio con il mare e con la vita" di
Nazario Pardini, vincitore della Sezione Opere Inedite nella XXVIII edizione
del Premio "Libero De Libero" (anno 2012). Questa la motivazione
della Giuria: "In una sinuosa linea melodica, sorretta da una padronanza
metrica, la raccolta di Nazario Pardini "Colloquio con il mare e con la
vita" esprime tematiche esistenziali, senza retorica e con immagini
suggestive. E' un abbraccio sincero quello di Pardini, come sincera è la sua
poesia, tra il mare e Delia, in una intesa di dolore condiviso e custodito per
sempre in questi versi".
La golosa primizia -
corredata da sei foto ispirate al paesaggio marino scattate dall'autore (di cui
una in copertina), nonché arricchita da motti e dotte citazioni (Catullo,
Eraclito) - propone un tuffo nel mistero del mare e del creato, come è consueto
nella poesia del poeta toscano. Un'avvertenza è d'obbligo: lo sguardo sulla
natura non è di tipo arcadico o idilliaco, georgico o pastorale. Non è
esteriore o superficiale, ma scava nelle viscere profonde per cercare le leggi
fondamentali della vita. Così il mare
diviene uno specchio dove si riflette l'animo umano in cerca di
rispondenze con gli arcani sensi dell'essere universale.
E' questo che da
sempre fanno i poeti e gli artisti più autentici, ponendosi con le loro opere
sulla scia della creazione universale. La creatività umana non può che trarre
origine dal fondo originario del creato, dalla potenza creatrice della vita. E
il mare... tutto ingoia e tutto genera, il mare! E' un laboratorio immenso di
morte e di vita, di dolori agghiaccianti e di ineffabili esultanze. In esso si
consumano tragedie e si accendono speranze, si conservano i misteri originari
ed essenziali, si svolge e si propaga l'orgia dolcissima e crudele della vita.
Tutto ruota intorno al principio dell'armonia dei contrari: quella legge che
troviamo poeticamente espressa nelle liriche pardiniane.
Si pensi al sogno e
al dramma dei migranti che muoiono in mare: "Come era bello! Come era
bello il cielo!". Si pensi al "singhiozzo di un settembre
stanco" che suscita nel poeta "un senso di distacco dalla vita":
c'è forse un inno alla vita più esaltante di questo struggente "singhiozzo
di stagione morente"? Quando Pardini nomina il nero, è al bianco che pensa
e che fa pensare. Viceversa, il bianco evoca il nero, perché negazione e affermazione
sono l'una nell'altra, come il Tutto e il Nulla, il Vuoto e il Pieno, il Finito
e l'Infinito, il Bene ed il Male. E' all'Assoluto che potentemente alludono
questi versi, tenendo presente che nell'Assoluto risiede il Relativo (come è
pur vero il contrario).
Così le stagioni
sfumano l'una nell'altra, in metamorfosi perenne, in un processo inesausto di
rinnovamento e consunzione: "E' febbraio. Non vedi per i campi / traccia
di paesani; tutto è fermo / ... / Ma è il mese che si avvia / a promettere speranze;
la mimosa / staglia il suo giallo sopra la campagna / e ricorda il colore di
ginestra / che gonfierà l'estate". Il poeta si immerge nel mistero di
trasformazione e di ciclicità della vita. Mistero che lo porta a ritroso nel
tempo, "tra i fiordi del passato", a salutare una persona amica per
poi di nuovo andare... ma dove andare? "Davanti a me c'è un guado, / un
guado che riporta / quest'uomo ormai attempato / all'altra sponda".
E' tutto un
peregrinare, un divenire, un viaggiare verso mete sconosciute e lontane. La
vita è come l'andirivieni del mare, come il mulinello di sabbia di vento e di
onde che il poeta osserva attonito sull'arenile. E i ricordi non sono memorie
ma visioni, bolle di vita vissuta, immagini di vita reale che l'occhio (non la
mente) coglie come astronavi fantasma nel loro volare infinito. Tutto è nella
realtà: "Che cosa sia vero, poi non sai più: / o se la vita reale che ogni
giorno / consumi senza rendertene conto / o quel bel senso di malinconia / che
ti è compagno / in questa ricordanza". Ed il tempo è un eterno presente:
"il suo futuro è là col suo passato; / e il divenire continua nel vasto /
mistero che torna sorgente".
Non di memorie
quindi si deve parlare, ma di evocazioni. La differenza è abissale, perché si
ha memoria solo di cose assenti, mentre ciò che si evoca viene ripescato
dall'invisibile e si presenta vivo di fronte a noi. Così è per il ricordo del
padre, cui il poeta chiede perdono per non avergli saputo esprimere in vita
tutto il suo amore. L'assenza si trasforma in presenza, il distacco in unione.
Ed ecco i "Canti per Delia": undici tempi per evocare amori giovanili
amaramente trascorsi, in struggente unione con il mare e con la terra, con la
selva e con l'orto, con la pineta e l'arenile. Il sogno è più vero della vita
reale: "Non ho tempo di vivere, / voglio solo rivivere con te / nei miei
pensieri".
Franco
Campegiani
13/02/2014
Nessun commento:
Posta un commento