Nazario
Pardini
su
Poesie
di Sandra Carresi (inedito)
Parlavo di te
proprio ieri
all’Estate
non ancora caldissima.
Pensavo
a quei bagni salati,
ai pesci colorati,
ai cornetti gelati,
alla spiaggia infuocata
all’abbronzatura
di cioccolata.
Che bella
L’Estate di sole,
di mare,
di niente da fare.
Solo ricordare…,
ed ha già,
il sapore
del sale (Parlavo
di Te).
Una
silloge, questa nuova di Sandra Carresi, vivace, intensa, di proteiforme
valenza, dove ogni emozione trova corpo in versi duttili e generosi, ora brevi,
secchi, ora ampi, aperti; disposti e disponibili a seguire l’ondulazione delle
intime vicende. Insomma una silloge che racconta la vita, in tutte le sue forme,
le più dolci e le più crude: sottrazioni, scottature, illusioni, speranze,
delusioni, rammarichi, quietudini; realtà quotidiane, minuziose, occasionali;
slanci onirici; un realismo lirico, comunque, di grande impatto umano, dove è
facile ritrovarci, dove ognuno di noi, leggendosi, ascolta un brandello della
sua storia. E mi piace iniziare la mia esegesi da questi versi incipitarî che fanno
da prodromico avvio ad una voce spontanea, libera, pulita, e architettonicamente
movimentata; una voce che sa raggiungere apici di non comune fattura ispirativa.
Sta proprio qui il momento essenziale
del poema: in quella confessione originale e carica di pathos ad un’estate che si fa altro ego di un memoriale rintuzzato da ritorni di reale concretezza: “Pensavo/ a quei bagni salati,/ ai pesci
colorati,/ ai cornetti gelati,/ alla spiaggia infuocata/ all’abbronzatura/ di
cioccolata”.
Un memoriale che nella poetica della Nostra ha
sempre contribuito al poieo con
generosa espansione lirica. È facile per la Carresi abbandonarsi a un tempo di
felici fughe emotive; assume quasi valore di alcòva rigenerante, dove ritrovarsi,
anche, sottraendosi a routines in cui
l’omologazione e gli stessi disvalori di un mondo socialmente iniquo e
indifferente alle sofferenze, la portano ad uno sperdimento etico, o a vere
invettive coscienziali:
Quando ci
scandalizzeremo?
Quando
indignati
urleremo
il
nostro NO
ai
signori
della
morte
e del dio
quattrino?
Quando ci
riprenderemo
la nostra
Terra
per
pascolare
coltivare
dormire
fare
l’amore
Tutto in
maniera sana?
Quando?
La nostra
Vita,
quella
dei nostri figli
e di
tanti innocenti
saranno
al sicuro?
Quando le
pecore
non
partoriranno
agnelli
deformi?
Quando?
…
Non ci
sarà
esistenza
se la
Terra
tentennerà
e
neppure
l’anima
sopravvivrà
in
assenza di onestà (Quando?).
Parole
di robusta energia esplicativa, sorrette da un credo di cospicuo impatto
emozionale, da risentimento e da un motivato afflato di dolore. E il dolore c’è
in questa storia, è preminente nello scorrere dei versi. E dalle plurime occasioni
ispirative, di perspicua frequentazione intimistica, e di profondo scavo psicologico,
fuoriesce una filosofia piuttosto negativa sul fatto di esistere. Una filosofia
che scaturisce da una sommativa di tappe da via
crucis, di inquietudini su un percorso di catartico affrancamento.
Inquietudini e risentimenti nati da rispetti mancati, da fiducie tradite, da
sogni sfumati; ma forse è proprio attraverso tali strade che l’anima acquisisce
una potenza umana tale da farsi nerbo di un poema; lava vulcanica ex abundantia cordis:
Lascerò leccare
le tue ferite
ai mie cani,
se le avrai.
Io, non lo posso
fare… (La
follia omicida dell’oggi).
Quanto dolore
ha causato la tua
partenza!
Certo,
tu hai solo dovuto
ubbidire.
E noi?
Qui nel disagio
ad affrontare
mille responsabilità.
E Lei?
Ancora giovane
e tanti problemi
caratteriali
oltre
ai cento giganti... (Disagio).
Ma è soprattutto il ricordo l’artefice
primo di una vis esistenziale foriera
di venature melanconiche; di un sapor
vitae condizionato da spazi umanamente disumani per una coscienza dell’ hic et del nunc; di un’ora che implacabile corre lasciando solo scorie che
tornano a galla pacate, silenziose, in punta di piedi, ma anche irruenti e
salate come l’acqua di un mare sapido di ardore allusivo a dirci l’amaro dell’esistere,
la precarietà dell’esser-ci, e le ingiustizie degli umani. Ma se il tempo
maturerà le sue spine, se il tempo, l’invincibile tempo, mostrerà tutto il suo
potere, non sarà certo sufficiente a spegnere quel fuoco ardente, profumato di
bosco e di salsedine, che alimenta l’anima della Nostra. Interverranno antichi
profumi, abbrivi di fantasia, volitivi azzardi verso antiche primavere a intrecciare
petali di rose fermandoli con aghi di spine:
Se il
Tempo
mostrerà
le sue spine,
chiederò
al vento
di
piegare
le rose.
Raccoglierò
i petali,
li
intreccerò
fra di
loro
fermandoli
con le spine.
La
collana
che
indosserò
non mi
pungerà
e
l’antico
profumo,
esalterà
la mia fantasia
fino a
renderla,
magia (Rose e spine).
Sì, il
sogno, gli onirici spazi più reali del reale, l’apertura di braccia ad
avvincere il tutto, l’oggi l’ieri e il domani, le tante connessioni che possono
inficiare le divergenze, o le divergenze stesse a recare dolori, le aporie,
l’ardire di sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo, tutto
contribuisce a dare vigore alla plurivocità della poesia della Nostra; una
poesia dove non possiamo non leggere l’articolato e complesso motivo della
tematica erotica. Un sentimento, questo, spiritualmente elevato che fa dell’amore
una trascendenza, della terrenità un trampolino di lancio oltre il temporale:
.… Lasci
la tua
solita
riservatezza
e mi dici
di venire
da te.
Socchiudo
la porta,
ti guardo
e
prima che
le tue labbra
si
schiudono,
i tuoi
occhi
hanno già
parlato,
stelle
nere che
illuminano
stanze grigie
e
raccontano
del nuovo
battito
che
cresce in te (Complicità).
Si
parte dalle piccole cose, dai minimi gesti, dalle effusioni più naturali, per
azzardare slanci emotivi tanto intensi da toccare l’azzurro, l’irrazionale, la
passione antecedente al pensiero. E questa è la vita, in tutta la sua complessità,
in ogni sua sottrazione e in ogni suo dono. Perché grande è il dono che ci ha
offerto. È senz’altro sufficiente a convalidarlo la sua venuta. E non vi è
distinzione fra il suo proporsi e la poesia. La
vita è l’arte dell’incontro, afferma un poeta brasiliano, Vinicius De
Morales; e in Sandra la vita e la poesia sono la stessa cosa. In più lei
impreziosisce il suo canto con figurazioni e cromie che mai sono oziose, ma
sempre funzionali a un dire abile nel dribblare il vacuo sentimentalismo. Lo fa
con argini verbali significanti ad esperire controllatissima effusività che
Contini definisce “pulizia dell’anima”. Una effusività che sa tradursi anche in
scene di polisemica significanza, di trasalimento panico, di cospirazioni
naturistiche a concretizzare intenti di speranze per rinnovamenti spirituali tesi
ad unire antichi appuntamenti col respiro del Mondo:
L’abbraccio
serale
del Sole
infuoca
il cielo
tingendolo
di arancio.
Promessa
solenne
di un
giorno nuovo.
Appuntamento
antico
di un
incontro
che si
rinnova
col
respiro del Mondo (Tramonto).
Commentando
la sua poesia ebbi già a dire: “La poesia di Sandra Carresi è piena di vita, di
amore e di dolore. È umana in tutte le sue vicissitudini. Si leggono
fatti e avvenimenti che ci rattristano. Ci sconvolgono, ci turbano. Si esiste e
ci poniamo i perché del nostro esistere. Tanti perché che lasciano dubbi,
incertezze. E quindi bramiamo parole, cerchiamo con impennate creative, con
vertigini paniche, con lo scandalo delle contraddizioni, quei verbi che
soddisfino il sentire. E questa è la sua poesia. Cosciente di esistere in un
tempo implacabilmente labile, e sottrattivo, si azzarda in voli che vadano
oltre i limiti, oltre la sintassi. Ma pur complesso il suo canto, pur sgorgato
da una sorgente che deve farsi spazio fra pietre dure e ricamate di muschio,
alfine trova luce. E scorre limpido e gorgogliante ai raggi del sole; scorre
limpido tra rive profumate di speranza; verso il mare: “Ma, non è così./ Il cielo,/ ha anche luce,/ non solo buio./ Al sole,/ o
coperto da nubi,/ parla d’amore,/ ed è forse più facile/ conservarne memoria/ nella grotta della vita”. E credo
che questa citazione contribuisca non poco a chiarire il dipanarsi della suo
pensiero poetico, il suo essere che mi piace vederlo volare libero,
nell’Immenso, in balìa del vento, di un sereno riposo, con in cuore un ritorno
vicino, un sole d’amore.
Libero poi me stesso
nell’Immenso, con il vento,
vivere la vita qui,
respirando te.
Calore adesso dal
camino,
sereno riposo
immaginando un ritorno vicino.
Nazario Pardini
18/01/2014
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