FRAMMENTI AMETRICI (IVAN POZZONI)
(Ivan
Pozzoni)
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; si è laureato in diritto con una
tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati
a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su
etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste
italiane e internazionali. Tra 2007 e 2014 sono uscite varie sue raccolte di
versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente, Carmina non dant damen e Scarti
di magazzino con Limina Mentis, Lame
da rasoi, con Joker, Il guastatore,
con Cleup, Patroclo non deve morire,
con deComporre Edizioni; tra 2009 e 2014 ha curato le antologie poetiche Retroguardie (Limina Mentis), Demokratika, (Limina Mentis), Tutti tranne te! (Limina Mentis), Frammenti ossei (Limina Mentis) e Labyrinthi [I], [II], [III], [IV] (Limina Mentis) e Generazione ai margini (deComporre); nel
2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati
(Limina Mentis). Tra 2008 e 2014 ha curato i volumi: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale (Limina
Mentis), Cent’anni di Giovanni Vailati
(Limina Mentis), I Milesii (Limina
Mentis), Voci dall’Ottocento I II
e III (Limina Mentis), Benedetto Croce (Limina Mentis), Voci dal Novecento I, II, III
e IV (Limina Mentis), Voci di filosofi italiani del Novecento
(IF Press), La fortuna della Schola
Pythagorica (Limina Mentis), Pragmata
(IF Press), Le varietà dei Pragmatismi
(Limina Mentis), Elementi eleatici
(Limina Mentis), Pragmatismi (Limina
Mentis), Frammenti di filosofia contemporanea I e II
(Limina Mentis), Frammenti di cultura del Novecento (Gilgamesh), Lineamenti
post-moderni di storia della filosofia contemporanea (IF Press) Schegge
di filosofia moderna I, II e III (deComporre); tra 2009 e 2012 sono usciti i
suoi: Il pragmatismo analitico italiano
di Mario Calderoni (IF Press), L’ontologia
civica di Eraclito d’Efeso (Limina Mentis) e Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici
(IF Press). È con-direttore de Il
Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è direttore esecutivo della
rivista internazionale Información
Filosófica; è direttore delle collane Esprit
(Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh
Edizioni) e Fuzzy (deComporre
Edizioni).
LA DEMOCRAZIA DELL’AMPLIFON
La democrazia dell’amplifon corre tra i banchi dei
mercati rionali: «accattatev’illo!»,
urla il garzone dell’ortolano annunciando la
repubblica dei finocchi,
sbraita il tronista, intronato sul trono del Maria
De Filippi Show,
richiedendo telegeniche assoluzioni o condanne a
boati abbonati,
allo stadio, l’eccezione è un minuto di silenzio,
la norma il cantar nel coro,
in migliaia a strillare, a ritmo, come mongoli
dell’Orda d’Oro.
La democrazia dell’amplifon corre sugli scranni
parlamentari: «mortacci!»,
urla er
cafone de destra al baronetto (finocchio) di estrema sinistra,
sbraita il camorrista, nella gabbia del
maxi-processo, augurando il decesso
del giudice (comunista), davanti al sommesso ronzio
delle videocamere,
applausi ai funerali, alla performance del
defunto?, applausi ai generali,
applausi rumorosi al silenzio sulle centinaia di
vittime collaterali
dei rumorosi bombardamenti a tappeto, volante,
delle aviazioni liberali.
La democrazia dell’amplifon corre in mezzo ai
palchi degli artisti: «va’ in mona!»,
urla l’eminente scrittore (saccente), sbattendo la
porta del poetry slam
sordo al rumore di sfondo «poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve»,
sbraita il muezzin dal minareto a sponsorizzare
l’islam,
accompagnato dall’ingioiellato arcivescovo di
Milano, ite, missa est, e taches al tram,
strepiti ai semafori, grida ai cortei, alle
riunioni condominiali schiamazzi tipo duracell
la democrazia dell’amplifon si regge sulla
monarchia del decibel,
subordinando all’amplificazione il valore d’ogni
argomentazione.
L’OFFICINA
DEI MORTI DI FAME
Ai margini dell’ex-Brianza commerciale, oramai
fitta di capannoni sfitti
si erge nella sporcizia, morale e materiale, degna
di una fabbrica di catrame
l’Officina dei morti di fame.
Sognando di avere creato un impero industriale
degno d’un Ferrero
verrà ad accogliervi, all’entrata, in sella
all’inseparabile muletto
un omino tutto nero, voncione cromatore, crapapelada col baffetto,
d’etimologia hitleriana, sdrucito maneggione finto
burbero,
arricchito dai famosi anni ’70 crestando su
stipendi e tasse,
con cinque o sei operai scazzati a sbrogliare ogni
tipo di sua impasse.
Voncione il cromatore è l’arroganza dei dementi
che alzano la voce con i deboli leccando i culi dei
potenti,
è sintesi dell’ignoranza dell’uomo che ha sempre in
tasca una soluzione
truffare il fisco, fare nero, inquinare, scampando
sempre la prigione,
grazie ad appoggi comunali e a un esercito di
ragionieri, dotti consulenti,
vantandosi d’un’azienda che ha come massimi clienti
vecchi collezionisti di cianfrusaglie bisognosi di
cromar bulloni.
Pontifica su tutto, dalla contabilità semplificata
alla calligrafia
e a scrivere un’email di tre righe, sgrammaticata,
ci mette il tempo d’una serigrafia,
mischiando orografia e ortografia, voncione il
cromatore,
confonde i monti con Tremonti, la valle con la
torta
che si spartisce insieme al figlio Topgàn, maestro di gestione e controllo
sulla carta,
la carta dei vini al ristorante, dove trascorre le
giornate a non far niente.
Chi si avvicini alla Cascina adotti massima
attenzione
alla famiglia milionaria di voncione il cromatore,
capostipite, in un magazzino colmo di ciarpame,
dell’Officina dei morti di fame.
ROCAMBOLE
C’è chi mi chiama Rocambole,
senza che io incarni eroismo alcuno,
se non l’eroismo deleterio, tutto milanese,
di alzarmi, giorno dopo giorno, alle 07.00 del
mattino,
affrontando ogni sorta di avventura rocambolesca:
tipo dribblare le auto di dementi assonnati e
contenti di realizzarsi in azienda,
tipo fingere di dar retta a un capufficio pedante,
assorbito dalla forma di una lettera commerciale
(in endecasillabi rolliani),
tipo organizzare incontri di soccer tra morti viventi e vivi morenti,
tipo ricordare di spegnere il gas prima di andare a
dormire.
Magari un Rocambole delle officine dei morti di
fame,
un Rocambole dei supermercati della Lombardia,
o, forse, un Rocambole dell’area di rigore?
Rocambole nell’arte e nella cultura,
distruttore che diventa costruttore
in tempi di ricorrenti fallimenti delle imprese
edili,
sabotatore che si rinnova in sabotier,
grazie alla durezza complice del legno,
Pinocchio che si risveglia Harry Potter,
declamando i miei versi con bocca colma d’aglio,
- forse, tutto qui, ho l’acidità satirica di una
rocambola-
e non digerendo chi canta nel coro, facendomi di
Malox,
non so se augurarmi di smettere di deridervi,
di un riso «che non si cuoce», Nobis docet,
o di deridermi d’avere smesso di rocambolare.
DALL’EURO
ALLA NEURO
Sto ancora a battere sui tasti, in cerca di una
rima telefonata,
una rima che a volte viene, a volte rimane a letto,
mai alletta,
in certi casi allatta, vittima dell’amara
guasconata,
del farmi rimanere umile scrittoruncolo in
bolletta.
Dalla bolletta dell’acqua alla bolletta
dell’elettricità
da disoccupato sperimento la mancanza di celebrità,
senza fame di fama, continuo ad ingrassare
nessuna canna (del fucile),
essendo un mero alternativo, esente dall’urgenza di
rubare.
Prima i caffè costavano 1.000£, e adesso 1€,
cose, che a rifletterci, dovrebbero mandar tutti
alla neuro,
neurodeliranti in Stato neuro vegetativo,
nipoti di uno stato che fatica ad essere in attivo,
viviamo, giorno dopo giorno, in completa
assuefazione
del fatto d’esser mantenuti dalla precedente
generazione,
complice del dissesto, attraverso decenni d’urne
accomandatarie,
che, speriamo, non si trasformino a breve in urne
cinerarie.
Dall’euro alla neuro, in Deutschland (über alles) non succede,
noi terroni d’Europa non abbiam diritto d’uscire
dalla recessione
accompagnati al baratro da una classe indiligente
in malafede,
essendo terre ricche d’acque, meritiamo solamente
stagnazione.
QUI
GLI AUSTRIACI SONO PIÙ SEVERI DEI BORBONI
L’austriaco, di vera stirpe ariana, è molto severo,
non si incanta,
achtung
kaputt kameraden, pretende massima
flessibilità
in modo da rimettere l’Europa intera a quota
Novanta,
bombarda le borse di Milano assolutamente gratis,
meglio di quanto fecero Radetzky o Bava Beccaris.
Potremmo tentare ancora con uno sciopero del
tabacco,
mischiando hashish a marijuana con distacco,
anche se non credo che funzionerebbe lo sciopero
del lotto,
siamo troppo lontani dai moti del 1848,
ora l’intera nazione tira a arrivare alla mattina,
sognando di incassare un ambo o una cinquina.
Sperando in un ritorno della dinastia Borbone
i milanesi non sono avvezzi alla rivoluzione,
scalpitano, reclamano, ti mandano a cagare,
tornando il giorno dopo in ufficio a lavorare,
non avendo l’energia dei siciliani buontemponi,
l’unica regione a statuto speciale a protestare coi
forconi.
Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni,
la Merkel tuona da Bruxelles minacciando
risoluzioni
del Consiglio Europeo, in cui siedono retribuiti in
modo sovrannazionale
i vari prestanome dell’una o dell’altra
multinazionale,
indecisi, con rigorosità scientifica tutta
teutonica,
se far fallir la Grecia o un’azienda agricola della
Valcamonica.
SCACCO
ALLA SCACCHIERA
L’intellettuale moderno non è un intelleattuale,
non acquista i volumi a cui collabora,
disprezza ogni forma di auto-finanziamento,
maneggia denaro scontento (se non sia un
versamento);
tra il dire e il fare c’è di mezzo un finanziatore,
tutti intellettuali del dire, niente da fare,
nessun intellettuale del fare, niente da dire,
tutti intellettuali a giocare ai ricchioni
col buco del culo di accaniti anfitrioni.
La casa editrice non è casa di proprietà,
è casa in affitto, in cui all’inquietante inquilino
conviene rubar le finestre e bucare il soffitto
in base al diritto d’autore, che si crede umanista
integrale,
mantenuto come un cane, sotto il tavolo, a tentar
di arraffare,
come se due testi del cazzo scritti in cinque
minuti
fossero onesto cambio a ogni rischio editoriale.
Presto avverrà il saldo di fine stagione,
l’importante è non fare saldi nel burrone,
in un Italia stramazzata dalla T.a.r.e.s,
finta repubblica, senz’ombra di res,
col pubblico attaccato alla canna del gas,
autori imbecilli, che vi sentite Dumas,
fallita ogni forma di microeditoria sotto i colpi
dell’Imu,
inquilini di case fallite, come co-intestatari,
vi divertirete a subire la T.a.r.i,
e saran cazzi amari.
IL
BARBARO E LA PRINCIPESSA
A te che osservi con i tuoi occhi di bistro i miei
malumori
mi disinneschi con un sorriso, mi neutralizzi con
un amore
duraturo come una Compact Fluorescent Lamp,
diventando aeriforme,
neon, argon, kripton,
forse è il kripton a
disattivare le mie smanie da Superman,
e ti arrampichi sulla
mia colonna vertebrale con zampine da gatta,
dissuadendomi
dall’ingurgitare, dal bere, dal rissare, dallo smettere di scrivere.
Princeza romana, eu sou seu bárbaro,
continuo a mettermi
canottiere bianche nelle mutande nere
a non lavare i piatti, a
battere sui tasti,
meglio che lavare i
tasti e battere sui piatti,
ti ho rapita in una
scorreria sulle coste di Gaeta,
facendomi incantare da
te, Circe tardomoderna,
capace di trasformare
maiali in uomini,
il cuore del maiale è
uguale al cuore umano,
tu sola l’hai capito, in
vent’anni, con la tua spensieratezza insulinosa,
con le tue insicurezze,
con i tuoi crolli antemestruali, col tuo viso interrogativo,
sempre in grado di
spiazzarmi, mimo da piazza destinato a andare in piazza,
senza rimpiazzarmi.
Princeza romana, eu sou seu bárbaro,
senza tuttavia riuscire
a dedicarti Odi barbare,
non sono attrezzato a
odiare nessuno, o a mischiare metri,
- che facciamo, mezzo
metro?- meglio la mia attitudine a duellare,
a rocambolare, mezzo
Cyrano de Bergerac e mezzo Socrate,
sono convinto che mi
preferisci intero, e a lunga conservazione,
non avendo la velleità
della donna moderna
di trasformare il
proprio uomo in un coglione.
[Mi commento da solo]. I miei due lettori diranno: «Questa non è poesia»! E, infatti, è «non»-poesia, o impoesia. A cosa serve? A buttare all’aria la scacchiera; ad attendere, nella chore, tra polis e oi barbaroi, l’arrivo di una nuova Orda d’Oro. È arte? Boh! È una rocambolata chorastica. Mah!
RispondiEliminaPerché "non poesia" è poesia autentica, ribelle, intelligente e colta. Ivan Pozzoni prende dal quotidiano, e si ribella "Scacco alla scacchiera", però lavora e lo fa bene con coscienza, è sottile nella sua irriverenza, ce ne fossero di poeti autentici pronti a sottolineare questa Italia piena di furbetti e parolai. Mi piacciono tutte, l'ultima è stupenda
Eliminabenvenuta allora la “non-poesia” di Ivan Pozzoni, se finalmente sembra mettere in dubbio le convenzioni e le regole stilistiche della poesia moderna; questa non-poesia apre alla rottura, una rottura non certo fine a se stessa, ma che vuole costruire, smantellando, un certo tipo di poesia che scrive non dicendo, parla non parlando (realmente al lettore), perché chiusa su se stessa e prigioniera di una “sacralità” che non permette comunicazione, né comunione con l’altro, ma racconta di nuvole nel cielo, prati verdi, laghi con leggiadra foschia e mari piatti nella stagnazione. ci chiediamo leggendo le poesie di Ivan Pozzoni se siano degli scherzi ben riusciti o piuttosto dei manifesti ironici di una cultura, la nostra, ormai in crisi come l’euro, ci chiediamo se alcune regole stilistiche della poesia moderna, che vigono ormai da troppo tempo in Italia, non permettano di far crescere, sperimentare e osare nella letteratura del paese, un paese come anche una letteratura, stazionari come cadaveri o manichini in coma!
RispondiEliminami piace il barbaro e la principessa! <3
RispondiEliminaDa questi versi emerge uno spirito ribelle e risentito, un'intelligenza lucida e sarcastica, una visione della vita delusa ma non arresa. Ivan Pozzoni attinge argomenti dal quotidiano, denuncia gli inganni e le trappole dell'esistenza, irride il conformismo. E fa queste cose costruendo un dettato creativo basato su un parlato che procede per analogie e recuperi, per ironie e paronomasie ( che spesso si risolvono in allusioni e bisticci), per assonanze e rime ammiccanti.
RispondiEliminaE, sì, anche per me la composizione preferita è “Il barbaro e la principessa”, dove colgo -ma potrei sbagliarmi- decise notazioni autobiografiche e tutti gli elementi di un vero canto d’amore.
Pasquale Balestriere
I lettori sono tre [e io non sono un robot 456546 195]
RispondiEliminaPoesie massimamente libere quanto allo stile, ma vincolate quanto ai contenuti sia principali che secondari. Una poesia che affronta la realtà plurilinguistica dell'oggi con una dinamica che mima il collasso tipico della nostra epoca. Un basso inferno esistenziale pieno di ritmo che crudelmente giudica e si ribella all'essere delle cose. Un caldo augurio all'autore da Stelvio Di Spigno.
RispondiEliminavorrei lasciare una mia testimonianza di simpatia e di stima ad Ivan Pozzoni, un poeta, anzi, un anti-poeta che scrive anti-poesia, e la scrive molto bene, con grande dovizia di argomenti e di sberleffi irriverenti contro tutti e tutto... credo che ogni generazione ha bisogno di intellettuali come ivan Pozzoni, una persona libera, libera dai conformismi, che non appartiene a nessuna consorteria che non ama le affiliazioni e le cordate. Ivan ha una energia esplosiva, i suoi testi sono ordigni ad alto potenziale di esplosivo, sono ordigni incendiari, sono cose che mi restituiscono il buon umore quando le leggo, sono testi ilari i suoi di irrefrenabile ilarità, una ilarità che deriva da un bellicoso miscuglio di anticonformismo e di disformismo di cui questo paese ha assolutamente bisogno.
RispondiEliminaCaro Giorgio, insomma, un ilare Marziale? Ti ringrazio della stima, come ringrazio della stima i miei 4 lettori [e io non sono un robot 472546 125]
EliminaPerò: un appunto. Nel descrivere la quasi-poesia della splendida Ambra Simeone mi scomodi Czesław Miłosz; a me, registri come una sorta di pagliaccio diogeneo. No, no, no: non ci siamo. Dovrò stroncare, con una recensione velenosissima, il tuo splendido Blumenbilder. Chiederò a Temporelli di accoglierla in Atelier: sei spacciato! Io sono l'Andreotti del tardomoderno poetico. :-) [ma non sono un robot 422536 425]
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