Racconto
veloce, incalzante, saggiamente aggressivo, dove si alternano figure di un lato
simbolismo umano ed ultra, dove con sagacia e con spirito di autoptica venatura
ironica, anche struggente, o drammatica, se si vuole, si snocciola un
significante che ti tiene avvinto fino alla fine. Sì, perché l’autore ti porta
a questa conclusione con un crescendo di suspense di effetto
emotivo-esistenziale. Un gioachimismo di tale realtà storico-sociale che
presuppone il supporto di una vis creativa e immaginifica ex abundantia cordis.
Mi vengono in mente alcuni miei versi
tratti da “Si aggirava nei boschi una fanciulla”: “Se il Paradiso fosse in
terra/ senza la guerra, l’odio, e il patimento,/ qui tra le povere cose,/ tra i
papaveri, le spighe e le ginestre/ ov’io conobbi amore/…./ Ti basterebbe poco:/
Tu tieni ogni potere,/ mio Signore!/ Basterebbe tu fossi il creatore/ di solo
bene./ Sparirebbero dannati e qui tra noi/ dominerebbe aperto il Paradiso/ col
viso blu profondo ed il suo altare/ di giada verde come il nostro mare” (Gioachimiti). Il paradosso e l’iperbole rendono
la realtà dei fatti ancora più vera. Un brano tirato innanzi con la maestria di
una penna dedita alla frequentazione di una interiorità qui esperita con
vistosa resa narrativa. Veramente contaminante per linguismo e novità
strutturale. Nuovo nel dire e nel trattare l’escatologismo sfumato nel terreno,
in questo nostro tanto problematico terreno. E il tutto è fatto con eleganza e
grazia, senza cadere mai nella becera urticante aggressione; è così che i
risultati sono più concreti sia a livello artistico che umano. Ed è alla fine,
nella conclusione, che si attua gran parte del pensiero sociofilosoficoescatologico di
Fiorentini. Sta proprio nella rinuncia all’incontro, dal momento che: “…Al diavolo Dio, gli Angeli e quella
stupida trafila. Io ero vivo, avevo tante di quelle cose insignificanti da
fare… mi restavano da vivere tanti giorni prima di parlargli, meglio viverli
senza far storie.
Guardai quelle guardie alate, guardai
la sala d’attesa, guardai la porta socchiusa da dove sarei entrato e, con una
giravolta elegante, senza perder tempo, senza riflettere, feci marameo e me ne
tornai a casa, dove Dio è solo
un’opinione”. A voi la lettura: perché “saper leggere” vale di più che “saper
giudicare”.
Nazario Pardini
11/04/2014
L’Appuntamento
Finalmente
mi avevano confermato l’Appuntamento. Le pratiche burocratiche e il nepotismo
vigenti impedivano, a chi non avesse le giuste conoscenze, di ottenerlo in
tempi ragionevoli. Nella maggioranza dei casi si parlava di sei o sette decenni
di attesa, ma io avevo fatto intervenire un amico di uno zio di mia cognata,
che di queste cose si intendeva, e foraggiando un po’ di burocrati,
naturalmente a fondo perduto, mi sono bastate due settimane.
Mi
avevano telefonato quella mattina “Venga subito, si è liberato un posto alle
12,30. E comunque si prepari, che forse ci sarà da aspettare”. Giusto il tempo
di farmi la barba, lavarmi e vestirmi per l’occasione (non si sa mai chi ti
trovi davanti), e mi sono piantato lì alle 10,30, con due ore d’anticipo in
modo da guardarmi un po’ in giro e vedere la faccia di quelli che entravano e
uscivano prima di me.
“E’ in
anticipo, lo sa?” disse l’usciere, rigorosamente vestito di bianco e con due
ali bianche dietro la schiena (non so se erano di cartone o di plastica).
“Si che
lo so, ma non ho tempo da perdere e preferisco aspettare qui” risposi.
L’usciere trovò logica la mia spiegazione e disse un laconico “faccia lei”, poi
annotò l’ora d’ingresso in un registro gigantesco, e mi porse il badge
dicendomi “In fondo al corridoio c’è la sala di attesa, si metta comodo, la
chiameranno per nome quando sarà il suo turno”. Mi azzardai a chiedere se Lui
sarebbe stato puntuale, e quello fece spallucce scuotendo le ali, disse solo di
avere pazienza, a volte le priorità operative obbligano a ritardi non voluti,
ma comunque non più di qualche ora.
E meno
male che mi ero munito di giornale, libri, riviste, computer e telefonino, così
almeno avrei avuto qualcosa da fare, oltre a guardare le facce di chi, come me,
aspettava il proprio turno.
La sala
d’attesa era grande e confortevole, le poltrone avevano la forma di oche con le
ali aperte, le ali erano gli schienali. Era tutto bianco, a parte le persone
che già occupavano la sala. Ce n’erano una decina, quasi tutti anziani. Mi
sedetti vicino ad uno che indossava una camicia di flanella a quadri dai colori
sbiaditi, probabilmente un contadino, che attaccò subito discorso.
“Buongiorno,
anche lei ha paura?”
“Beh, io
veramente…”
“Io vorrei non essere qui. Sa che prima
c’erano altre venti persone in questa sala?”
“Ma
davvero?”
“ Sono
andati tutti via. Per paura. Ma è inutile, tanto prima o poi ce li riportano
con la forza…”
Mi venne
da chiedere se era tanto che aspettava, dopo quanto tempo aveva ottenuto
l’appuntamento, se credeva che fosse utile e via dicendo, deformazione
professionale, del resto faccio il giornalista, ma fummo distratti
dall’impianto di diffusione sonora che chiamava Carlo Marx. Si alzò un uomo
robusto con una barba bianca invidiabile, aveva sottobraccio una copia di
quello che sembrava un manoscritto.
“Sì, a
volte l’attesa è molto lunga…”
Non feci
caso al commento del vecchio e mi immersi nella lettura dei titoli del
giornale. Ci provai, almeno. Già, perché in realtà ero distratto, non riuscivo
a concentrarmi, pensavo a Chi stavo per incontrare, non Lo avevo mai visto,
anzi… non Lo aveva mai visto nessuno, che io sappia. Guardavo le facce di
quelli che occupavano la sala e mi chiedevo cosa passasse per le loro teste: un
uomo di mezza età si mordeva le unghie, una signora distinta fresca di
permanente pregava, una coppia di anziani, forse marito e moglie, piangeva… a
pensarci bene, solo quello che era appena entrato, e il vecchio che mi sedeva
vicino, avevano una faccia tranquilla. Strano, pensai, e tentai di concentrarmi
nella lettura di un articolo in prima pagina. Mi accorsi di leggere a fatica,
gli anni passano, e avevo dimenticato gli occhiali, per cui dovetti accantonare
il quotidiano. Pensai di ricorrere al computer. Mentre lo tiravo fuori dalla
borsa sentii un rumore venire da lì. Era la porta che si apriva e quell’uomo
barbuto usciva, più tranquillo di prima, ma non aveva sottobraccio quel
manoscritto. Uno degli assistenti con quelle ali carnevalesche lo accompagnò in
un altro locale, non mi è dato sapere dove andassero, notai solo che la
cortesia che usava nei riguardi del barbuto era estrema.
“Gli è
andata bene… sicuramente è un raccomandato” disse il vecchietto che mi era
vicino.
Ignorai
il commento, e intanto dall’altoparlante si sentì chiamare Remigio. Si alzò la
coppia di anziani, ma uno degli assistenti si avvicinò ed indicò alla donna di
rimanere lì, la chiamata era solo per l’uomo. Lei scoppiò in lacrime mentre lui
la rassicurava. Ipotizzai che i due non erano sposati e che dovevano fare i
conti con qualche marachella da non dire. Bah, nulla di interessante. Piuttosto
sarebbe il caso che io mi preparassi per l’incontro. Accesi il computer…
Vediamo, cosa dire a Quello lì? È chiaro
che un’occasione così non va sprecata, un po’ di studio ci vuole… digitai la
parola chiave… ma quali temi sono veramente importanti? Supponendo di avere tre
minuti a disposizione, avrei ben poco da dire. Per avere più tempo a
disposizione dovevo essere convincente dal primo istante, del resto la prima
impressione si fa solo una volta. Il computer
era pronto. Ma dicono che Lui queste cose le sa, è Onnipresente… bah, a
crederci… potrei cominciare da qui… Mi collegai in rete e digitai Onnipresente.
Onnipresente un cavolo. Come permetteva certe stramberie del mondo? Se fosse
stato Onnipresente, come dicono, forse qualche guerra ce la saremmo
risparmiata.
Si aprì
la porta e uscì quel vecchietto tenuto da due energumeni alati. Questa
pagliacciata era ridicola. Altro argomento da trattare. La vecchietta si era
alzata ed era andata di corsa verso il suo uomo che intanto era trattenuto a
forza da quei due. Intervenne un terzo alato che prese la vecchietta da parte e
la riportò di forza al suo posto, mentre il suo vecchio veniva trascinato verso
un’area protetta, contrassegnata da simboli e segnali di inquietante fattura.
“Quello
è fottuto” disse il vecchio che mi era vicino. L’altoparlante chiamò Beata
Anatolia Giordana da Guillet et Damor, la signora che pregava, fresca di
permanente, si alzò.
“Vedrà,
la rimanderanno indietro perché manca qualche documento, quella è qui da
seicento anni e non ne viene fuori” disse il vecchio.
“Seicento
anni?” dissi sorpreso.
“Bazzecole
per l’eternità. Cosa vuole che sia qualche secolo per chi è lì da sempre?”
Non
risposi, il computer mi dava oltre 590.000 risultati per Onnipresente. Allora è
vero, pensai. Dovetti ricredermi quando, selezionando uno dei primi risultati,
trovai un aforisma di uno scrittore celebre. Non parlava di Lui. Allora
onnipresente è un aggettivo, non un sostantivo. Bene, già questo mi permette di
delineare un po’ meglio la mia strategia. Cosa gli devo dire? Forse che deve
essere un po’ più democratico, perché questa storia della razza eletta, della
distruzione di Sodoma e Gomorra e del diluvio universale proprio non mi va giù…
quando penso che a Sodoma e Gomorra c’erano anche bambini, anziani, innocenti…
quando penso che la razza eletta è coccolata mentre gli altri possono anche
essere distrutti e non ce ne importa niente… Rumore. La porta si aprì, uscì la
beata e tornò al suo posto. Il vecchio mi disse:
“Visto?
Per certe persone le pratiche non finiscono mai”
“Mai?”
chiesi.
“Beh, a
dire il vero non glielo so dire, ma per la Beata si prospetta ancora qualche
secolo di attesa, sa com’è, in certi casi, ci vanno con i piedi di piombo.”
Digitai
sul navigatore il nome completo della Beata. Ottenni 452.043 risultati. Mi
limitai all’enciclopedia che riportava la storia controversa di una donna che
nel 1403, a sedici anni, fu violentata da una banda di delinquenti, poi
processata per adulterio e condannata al rogo per stregoneria. Secondo alcune
fonti riuscì a fuggire dal carcere per intervento Divino e visse nei boschi
predicando l’Amore per il Signore fino alla morte, che arrivò improvvisa e
inaspettata quando la donna aveva 103 anni. Secondo altre fonti, invece, riuscì
a scappare solo dopo aver offerto le sue grazie femminili ad un cardinale che
la amò fino alla fine. Insomma, una bella confusione. Difficile sapere dove si
trovava la verità, anche perché a volte queste
enciclopedie on-line le storie le inventano di sana pianta.
“Forse
cercano un documento che confermi la storia del bosco?” dissi al vecchio.
“Può
darsi. Sa com’è, la storia del cardinale innamorato è forse vera, ma non si può
ammettere, per cui da seicento anni la Beata lotta con la sua coscienza: essere
fedeli all’amore o accettare un compromesso che certifichi il suo ascetismo?
Capisce anche lei che questa storia è di difficile soluzione.” Sospirò, e
concluse “Certe volte il Limbo è un’inferno…”
“Già”
dissi, e mi rimisi a navigare.
L’altoparlante
chiamò Ricolti. Si alzò l’uomo che si mangiava le unghie, tra tutti era il più
giovane, oltre me, che comunque i miei sessanta li contavo agevolmente. Uno di
quegli energumeni mascherati gli scansò le mani dalla bocca, dicendo che Lui
non gradiva certe manie. Ricolti sputò un’unghia umidiccia e si mise in posizione
eretta, diventando d’improvviso un uomo alto e possente, come forse era da
giovane. Nel suo sguardo colsi tutta la dignità di uno che accetta trionfi e
sconfitte con la stessa eleganza. Un ammiraglio, un capitano di vascello, o più
semplicemente un giornalista non allineato, come io pretendevo di essere. Feci
un cenno di saluto che lui colse forse come un augurio, solidarietà tra
presunti colleghi, e poi scomparve dalla mia vista. Ripresi a navigare e
riflettere. Allora, perché non fare una nuova costituzione, dove per prima cosa
si dice che tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di razze o di credo
religioso, perché mai questa storia della razza eletta, perché creare l’umanità
per poi dividerla in bianchi e neri, in buoni e cattivi, in ricchi e poveri… e
soprattutto, perché dare questa sensazione di giustizia ambigua? Caro Dio, se,
a giudicare da certe scritture, davanti a Te siamo figli e figliastri, perché
dici che Tu sei bontà infinita? Sbaglio approccio, è l’uomo che lo dice, certo
non Te… Cercai sul mio computer bontà infinita, quasi 400.000 risultati,
selezionai il quinto e mi trovai su una recensione di una pizzeria. Il vecchio
mi interruppe.
“È da
dieci minuti che quello è lì dentro, gatta ci cova”
“Eh?”
stentai a dire, infatti erano passati dieci minuti, navigando non me ne ero
accorto. “che vuol dire?”
“Forse
Ricolti l’ha sfangata?”
“Boh”
dissi “mi lasci lavorare, per favore.”
“Lavorare
per cosa? Lei è qui, ormai… a cosa serve?”
“A
prepararmi per l’Incontro. Voglio intervistarlo. Sono un giornalista, io. Come
quello che è appena entrato.”
“Ah…
lei… bah…” e tacque.
Allora,
cerchiamo onnisciente. Un po’ meno usato questo termine, abbiamo poco più di
centomila risposte, molte sono dei richiami a reti sociali, ne sapranno
qualcosa quelli che le popolano? E comunque mi chiedevo perché uno come Lui,
che si dice Onnisciente, lascia correre. Che se ne fa delle carestie, della
violenza, della corruzione? Onnisciente forse sì, ma evidentemente non ha
grande interesse in quello che le Sue creature combinano, perché, ahimè, di
pasticci se ne vedono anche troppi.
La porta
si aprì, uscì Ricolti saltellando di gioia, anche quei giganti mascherati
saltellavano con lui… fece in tempo a guardarmi, mi fece l’occhiolino prima che
uno dei suoi guardiani lo coprisse con l’ala destra.
“Gli è
andata bene” disse il vecchio.
“Lo
vedo” dissi io.
“Ma mi
dica, la vedo molto attento alle sue ricerche, lei non è qui per lo stesso
motivo degli altri, vero?”
“Ehm…”
non sapevo se fidarmi, ma sembrava in buona fede, per cui osai “Veramente, io…
“
“Ho
capito, lei è ancora in attività, ha corrotto qualche funzionario, ed ha
bruciato tutte le tappe per parlare con Lui”
“Già”
“Allora
le consiglio di prepararsi bene, e di aspettarsi puntualità. In questi casi
sono molto rigorosi”
“Ah…”
dissi, poi aggiunsi “ma lei chi è? Uno del sistema?”
“Oh, che
domande… certo che sono del sistema, e chi non lo è, anche lei, del resto… solo
che è una questione di ruoli, lei ha il suo, io ho il mio, mi capisce?”
“Francamente…”
“E
allora consulti il suo computer, l’informazione è il suo dio, lo stia a
sentire, ne dice tante di cose, vere o false, comunque anche se false sono
vere… Lei sa che nell’universo si contano più di cento miliardi di galassie? E
in ogni galassia ci sono più di cento miliardi di stelle? Anche se solo una
stella su un milione fosse un sole di un sistema simile al suo, lo sa quanto
mondi possibili ci sarebbero? Faccia i suoi calcoli. Poi mi dirà se un
onnisciente, un onnipotente o una bontà infinita ce la fa a trattare tutti allo
stesso modo. Essere qui, lì, altrove, quanta fatica! E forse anche la terra è
un esperimento mal riuscito, siete così litigiosi, così polemici… come vuole
che Lui stia appresso a tutte le vostre beghe?”
“Ma cosa
dice?” dissi. “Non sarà mica un giustificazionista anche lei?”
“Giustificazionista?
Certo, mio caro, io sono il fondatore dei giustificazionisti”
“Ah… e
allora mi faccia la cortesia, parliamo d’altro, io non credo nelle vostre
fandonie. Il giustificazionismo è un movimento da irresponsabili.” E mi immersi
di nuovo nella mia navigazione.
Dall’altoparlante
si sentì chiamare Pitracchioni. Il mio vicino si alzò, toccava a lui. Aveva
un’espressione di sfida, quasi vincente. Gli feci un cenno di saluto. Pur non
condividendo le sue idee, la cortesia faceva parte del mio patrimonio
intellettuale, e gli dissi “Buona fortuna”. Tornai alla mia preparazione erano
ormai le dieci e venti, mancavano dieci minuti al mio appuntamento e, se era
vero quanto diceva il vecchio, che nel mio caso sarebbero stati puntuali,
dovevo prepararmi, ormai ero lì lì… diamine, che nervi, mi sudavano le mani,
non riuscivo a maneggiare la tastiera. Spensi il computer, optai per il più
semplice uso della mia testa, ragionare non mi era estraneo, e mi concentrai
sui miei pensieri. Allora, innanzi tutto, perché ha messo un albero al centro
dell’Eden per poi proibirne lo sfruttamento? Poi, perché c’era anche l’albero
della vita in un angolino, e non ha tentato le Sue creature a mangiarne i
frutti, mentre ha permesso al serpente, pur sempre una Sua creatura, di tentare
quei due sprovveduti? Onnipresente un cacchio! Dov’era Lei quando il serpente
ha pungolato Eva? E Onnisciente un cacchio! Perché si sorprende quando trova
che i suoi figli si coprono con foglie di fico? Mi dirà che parliamo per
simboli, ma allora, cosa vogliono dire le scritture? Perché distrugge i popoli,
se sono pur sempre frutto della Sua creazione? Vediamo… ancora… perché nelle
scritture lei è così vendicativo? Interruppi i miei pensieri, la porta si era
aperta, usciva il vecchio, incatenato e accompagnato da due sbirri bianchi con
le ali d’oca. Il suo sguardo ora non era tanto saccente, e voltandosi verso di
me urlò “Brutto farabutto, uccello del malaugurio, me l’hai tirata… non si dice
“buona fortuna”, porca puttana!” e quei due semipennuti gli diedero una
manganellata perché il turpiloquio era punito severamente.
Erano le
10,29, ancora un minuto. Mi rassettai come potei, chiesi alla vecchia che
ancora piangeva uno specchio, mi pettinai con le dita, misi il computer nella
borsa, restituii lo specchietto, mi sistemai la camicia, misi il telefonino in
modalità vibrazione, ero nervosissimo, respirai profondamente e… era vero,
furono puntuali, l’altoparlante chiamò me. Ero pronto, forse no, forse sì… mi
batteva forte il cuore, tutto quello che avrei voluto dire era lì, in testa,
pronto ad uscire in una predica rapida, tre minuti per ottenerne altri dieci
omaggio… parlare e dire quello che mi crucciava da sempre, chiedere perché,
come, quando, se e forse… dire che non è giusto, per chi? Per me, solo per me,
dal mio punto di vista. Diamine, ero lì, stavo per entrare, uno di quegli
agenti alati si stava avvicinando. Chiedere perché quei profeti decapitati,
uccisi… perché non mandava un suo emissario sulla terra quando più ce n’era
bisogno, perché delegare presidenti e predicatori che creavano solo confusione,
perché non impegnarsi direttamente e sentitamente, perché non fare del mondo un
mondo migliore… non aveva tempo, come diceva il giustificazionista? Non ci
credo, onnipotente e onnisciente, cavolo, che significa, che già sa tutto e se
ne frega? I suoi figli, cacchio, perché li lasciava morire nel nulla?
Esitavo, quella guardia alata mi prese per un braccio e mi spinse dolcemente avanti.
Esitavo, quella guardia alata mi prese per un braccio e mi spinse dolcemente avanti.
L’avrei
visto, non c’era modo di rinunciare ora che ero lì, davanti a quella porta.
Gliele avrei cantate, gliene avrei dette di tutti i colori, lo avrei stanato,
tirato fuori dal buco… ma allora, perché mi tremavano le gambe? Perché non
riuscivo a muovermi? Diamine, proprio ora, con tutto quello che mi era costato.
No, cacchio, no…
Al
diavolo Dio, gli Angeli e quella stupida trafila. Io ero vivo, avevo tante di
quelle cose insignificanti da fare… mi restavano da vivere tanti giorni prima
di parlargli, meglio viverli senza far storie.
Guardai
quelle guardie alate, guardai la sala d’attesa, guardai la porta socchiusa da
dove sarei entrato e, con una giravolta elegante, senza perder tempo, senza
riflettere, feci marameo e me ne tornai a casa, dove Dio è solo un’opinione.
Claudio Fiorentini
Miei cari,
RispondiEliminapermettetemi innanzitutto di fare i miei più vivi complimenti al Professor Nazario, che nel valutare ogni scritto legge tra le righe, oltre le righe, esamina le caratteristiche stilistiche e arriva alla nemesi di ogni testo con illuminata e rara capacità. Io ho avuto occasione di leggere questo racconto in qualità di giurata al Premio Letterario "Città di Grottammare" e l'ho trovato brillante, originale, permeato di quel surrealismo che, ahimé , è di moda, ma viene maltrattato, in quanto asservito a componimenti assurdi e senza senso. Il surrealismo di Claudio ha il merito straordinario di essere
utilizzato con tatto, fantasia e senso dell'umorismo velato di quella saudade, che lo rende dannatamente umano e nuovo.
Il racconto "L'appuntamento" si è classificato al terzo posto. I Concorsi, si sa sono organizzati da uomini, fallibili e tesi a misurare le opere con il metro della loro soggettività.
Forse un testo simile meritava di più. Ma di fatto è sul blog del nostro Nazario, commentato con Arte pura da un vero esperto.
E Claudio riscuote il consenso a trentosessantagradi che merita!
Un abbraccio a entrambi.
Maria Rizzi