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martedì 1 aprile 2014

FRANCO CAMPEGIANI: "LA POESIA E LA FUNZIONE DEL CRITICO"

LA POESIA E LA FUNZIONE DEL CRITICO

L'azione congiunta della Fenomenologia e dello Strutturalismo ha fatto sì che nella cultura contemporanea si formasse una sorta di attenzione maniacale intorno alle valenze oggettive del linguaggio e, più in generale, del mondo oggettivo. Ciò, se da un lato è stato salutare per contrastare il soggettivismo straripante e concomitante delle filosofie idealistiche, storicistiche ed umanistiche, ha creato tuttavia una psicosi di segno opposto, dominata dalla dipendenza asfissiante nei confronti dell'oggettivo. Mi limito a formulare una domanda: Oggettivismo e Soggettivismo si contrappongono realmente tra di loro, come si vorrebbe far credere, o sono soltanto termini diversi per significare la stessa cosa? Io penso che si sia fatto un gran rumore per nulla, visto che Oggettivo e Soggettivo s'influenzano reciprocamente e la sfera psicofisica è unitaria. La vera interiorità è ben più profonda dell'Io, così come viene tradizionalmente inteso. Non solo e non tanto perché essa comprende anche la sfera emotiva e turbolenta dell'Es, ignorata dal buonismo spiritualista e dall'idealismo hegeliano, quanto e soprattutto per il fatto che essa è radicata nel piano delle essenze, o degli archetipi: questo si, realmente svincolato dal piano esteriore dei fenomeni sensoriali. Affidarsi a tale sovra-psichicità, a tale sfera universale di se stessi, se da un lato significa prendere distanza dal mondo oggettivo, dall'altro significa svolgere quel lavoro propedeutico di pulizia mentale, del quale i teorici della Fenomenologia non hanno parlato, ma che è fondamentale per raggiungere la contemplazione disinteressata del mondo oggettivo, affinché esso - esattamente come vuole Husserl - possa a noi presentarsi "in carne ed ossa" e mostrarsi per quello che realmente è, non per quello che a noi fa comodo che sia. Chi pensa che un tale lavoro di scavo su se stessi sia una chimera, mostra di ignorare l'esistenza della facoltà autocritica di cui l'uomo è indubbiamente dotato, della sua capacità di porre in discussione i propri comportamenti per migliorarsi e correggersi in continuazione, affidandosi alle proprie voci interiori, al mistero di se stesso; al proprio daimon, si diceva un tempo. O - per venire ai poeti e agli artisti - alla propria Musa. A quella sfera rigenerante, in ogni caso, di cui sarebbe opportuno avvalersi sempre, ma soprattutto in tempi di crisi e smarrimento, come quelli attuali. La facoltà creativa meriterebbe attenzioni maggiori di quelle che le dedichiamo. Le filosofie hanno sempre costruito estetiche piegando l'attitudine creativa a proprio uso e consumo, ma è giunto il momento di affermare che la creatività è una particolare visione del mondo, e come tale è essa stessa una filosofia. Una filosofia alternativa (la filosofia del Mito), che proviene dagli archetipi anziché dall'intelletto razionale, e che ragguaglia sui sensi segreti della vita, confidenzialmente e senza spocchia alcuna. Come ho avuto già modo di scrivere, ciò capovolge l’antico pregiudizio greco, di cui è permeato l’intero tessuto della civiltà occidentale, secondo cui la poìesis, il mythos, sarebbe il campo per eccellenza del soggettivismo umano, mentre l’epistéme, la verità, si manifesterebbe nel logos, peraltro confuso con l’intelletto razionale. Il mio punto di vista si trova agli antipodi di questo assioma, le cui formule non credo fossero nelle corde del substrato più arcaico della grecità, che fu profondamente misterico prima dell’insorgere del pensiero metafisico. Io ritengo che le cose si diano così come sono al nostro intelletto, senza manipolazione alcuna, soltanto nell’attività mitopoietica, ovvero nel mito allo stato sorgivo. Purtroppo tale balenamento del vero viene immediatamente oscurato, giacché il mito si fa ripetitivo, viene sbandierato ai quattro venti, entra nel campo della storia e della mitologia, perde smalto e diviene luogo comune. Il poeta autentico non si scompone per questo. Sa che domani potrà di nuovo affidarsi alle muse, sa che potrà di nuovo sfiorare le essenze, e di ciò è pago. Nell'arco della sua vita, egli tornerà sempre a creare per se stesso, per la propria festa spirituale, senza lasciarsi prendere dalla smania di primeggiare, di salire sul piedistallo, come accade a chi espressamente dichiara di scrivere o di dipingere per gli altri (in realtà solo perché pretende la loro venerazione). L'artista autentico crea per risorgere dal proprio oblio e dona agli altri solo il riflesso di questa sua alta tensione interiore, di questo suo vivere in simbiosi con il proprio alter ego, di questo suo respiro universale. Il fruitore - così come il critico, che è solo un fruitore più esperto e smaliziato - dovrebbe avvicinarsi all'opera con altrettanta potenza spirituale, leggendola tra le righe e risalendo dal prodotto (testo, quadro, scultura o altro) alle fonti archetipe da cui è generata. Sta qui la valenza simbolica dell'arte, in questo balzo che torna dalle forme espressive alle scaturigini universali. Se ciò non accade, il fruitore fallisce nel suo compito, così come fallisce il critico che resta intrappolato nel feticcio, anziché approfittare del simbolo per risorgere dal proprio torpore mentale. Per questo io ritengo che il critico debba possedere qualità di poeta, o comunque di uomo non solo interessato, ma direttamente coinvolto nei fenomeni e nei processi creativi. Ha scritto giustamente il filosofo Bruno Fabi ne “Il Tutto e il Nulla”, opera fondamentale dell’Irrazionalismo sistematico ("Fratelli Bocca", 1952; poi "Anemone Purpurea", 2006): “E conclusi con ciò che poteva sembrare un paradosso, e non lo era: che il critico, per essere veramente tale, doveva essere egli stesso artista; che la pretesa obiettività del critico non artista, di cui si faceva forte la schiera dei più, era obiettività razionale, e cioè superficiale e relativa valutazione di quanto si sottraeva ad ogni giudizio, ad ogni confronto, ad ogni obiettivazione, mentre la rara qualità di artista nei critici d’arte, in quanto sensibilità al tutto, era universalità, e dunque obiettività in senso totale, vera obiettività, come possibilità per il bello di risorgere costante, oltre che dall’opera dell’artista, dall’opera del critico come artista”.

                                    Franco Campegiani




14 commenti:

  1. Carissimo Franco,
    con questo intervento 'rivoluzionario' e di efficacia straordinaria, metti in luce l'importanza del nostro porgerci di fronte all'arte non in qualità di semplici fruitori, ma di attori della stessa. L'opera del critico, che effettivamente sembra spesso appartenere a un'entità super partes, che filtra attraverso la sfera razionale del super - io l'oggetto della creazione, diviene di colpo parte viva, integrante del mito nel suo sorgere, nel suo rivelarsi. E la 'Teoria autocentrica', che ho assimilato con convinzione, con la la certezza che rappresenti la più grande fonte di conoscenza filosofica del terzo millennio, qui compie ulteriori passi avanti lasciandoci basiti.
    Si può operare nel campo artistico solo se il soggettivismo si coniuga con la capacità del critico di calarsi con il proprio personale, incandescente, purissimo afflato artistico, facendo sì che la cosiddetta interpretazione divenga forma di osmosi.
    Ho letto in stato di trance questa ennesima rivelazione, che peraltro assume valore didattico. Mio carissimo amico, il tuo guidarci lungo il percorso di una nuova forma di Umanesimo, meno artificioso, meno arrogante, più legato alle potenzialità istintuali, mi ha convinta e commossa e te sono infinitamente grata!
    Ti abbraccio forte e approfitto della sede per stringere il grande Nazario, che ci ospita e ci legge. Maria Rizzi

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  2. Errata corrige: mi si perdoni la ripetizione dell'articolo 'la' e la dimenticanza del complemento: 'la capacità del critico di calarsi nel prodotto artistico'...
    Maria Rizzi

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    1. Eviterei di ringraziarti a mia volta, Maria, per non dare l'impressione di un gioco di squadra studiato e ben architettato, ma se non lo facessi sarei estremamente scortese con te. Che dirti? che sono imbarazzato ... Io non cerco la storia, non voglio cambiare il mondo. Niente di tutto questo, per carità! Vorrei solo essere me stesso. Chissà se ci riuscirò!
      Franco Campegiani

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  3. Anche Benedetto Croce, nella su Estetica, sottolineava la possibilità del "poeta poetae additus": il critico si inserisce nel processo creativo e con la sua visione ne diviene parte. Ecco il perché Campegiani può sostenere la facoltà, "per il bello, di risorgere costante, oltre che dall'opera dell'artista, dall'opera del critico come artista". Mi sembra il centro, il fulcro del suo bellissimo articolo. Marina Caracciolo

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    1. Ringrazio Marina Caracciolo per essere intervenuta, con la sua competenza e con il suo noto acume critico, a sostegno delle mie tesi. Le quali del resto - come lei stessa evidenzia, e ciò mi esalta - sono asserite da pensatori immensamente più profondi e significativi di me.
      Franco Campegiani

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  4. Caro Franco,
    leggo il tuo, ritrovandomi coinvolta e concorde.
    Siamo nell'epoca degli specialismi, nella quale si perde di vista l'insieme delle cose. Quella piccola parte di cui vogliamo interessarci quanto realmente a fondo la si attraversa?
    Arte è cosa unica, sinolo di tangibile ed intangibile, composizione dei contrari, sicché stenderla criticamente non può essere affare di chi ha tra le mani una sola specialità, o visione. In questo modo l'arte viene chiusa, non rivela più nulla "dell'oltre", della scaturigine, che il fruitore dovrebbe (voler) ricevere.
    Applaudo a questo breve saggio, brevità proficua e che direttamente giunge al concetto profondo.

    Aurora De Luca

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  5. Dici bene, Aurora: gli specialismi fanno perdere di vista l'unità, quella visione d'assieme che la boriosa ragione infrange perché non si fida del mistero. Né del mito che sorge nella dimensione dell'ascolto e dell'umiltà. Grazie per le tue parole semplici e profonde.
    Franco Campegiani

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  6. Ho letto con vivo interesse lo scritto di Franco Campegiani, di cui ho apprezzato il raro equilibrio nel suo essere a un tempo divulgativo (nel senso più nobile del termine) e aereo, rarefatto come non mai. Un testo da meditare, soprattutto da parte dei troppi cultori odierni del "successo" anteposto a quel sincero e severo spirito di ricerca inerente alla poesia autentica. Troppa cartaccia in giro, oggi, e pochi lettori, nel circo multimediale che ci avvolge... un testo come questo di Campegiani ha davvero il potere di riportarci alla dimensione misteriosa della Bellezza giustamente intesa da Keats, credo, come Verità (e viceversa).

    Andrea Mariotti

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  7. L'apprezzamento di Andrea Mariotti, uomo rigoroso, scrittore e poeta raffinato, nonché intellettuale di rara professionalità, è a dir poco esaltante. Sono d'accordo con lui nel pensare che la serietà della ricerca raramente si concilia con il successo, almeno così come viene oggi inteso. L'artista che troppo dà, poco vale: di questo siamo convinti entrambi. I sentieri della bellezza non sono quelli della vanità, ma quelli del vero.
    Franco Campegiani

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  8. Concordo in molti punti su questa profonda e in qualche modo eccelsa riflessione sull' Arte , sulla sua importanza sociale, sull' influenza che esercita sullo spirito dell'uomo e sui suoi comportamenti( bella la definizione che la Creatività sia di per sè una filosofia, poichè è una visione a se stante del mondo) ma, mi sia concesso, caro Franco, di dire che sarebbe il caso di porre maggiore attenzione sul fatto che per quel che riguarda la poesia e l'arte in genere si tratti, a MIO AVVISO, di una predisposizione, e che si pensi che molti di coloro che l'hanno , non sono stati nemmeno contenti, poichè trattasi di cosa troppo impegnativa... Ora, che si creda che questa provenga da Dio, oppure che si creda che venga direttamente dai geni naturali, non fa alcuna differenza, il fatto è che, in quanto tale, coloro che la posseggono, hanno l'onere di ricercarla in se stessi e vedere bene di cosa si tratta ( per alcuni ci sono voluti anni di sofferenze per sviscerarne il suo stato più puro) ma poi, devono necessariamente passare ad altri quello che hanno insito nel DNA. E' vero anche che tutto questo possiede di per sè innumerevoli aspetti.... Molti, ad esempio, non la posseggono, non posseggono il dono di comunicare, eppure scrivono romanzi, poesie e racconti. Perchè lo fanno? Oggi, ad esempio, a differenza dei secoli passati, data l'alfabetizzazione e la cultura di massa, molti pensano di avere la Scrittura a portata di mano per il semplice fatto di conoscere l'alfabeto e quel minimo di sintassi che permette loro di creare frasi o periodi... Magari molti pensano soprattutto al successo. Il vero artista, al contrario, non si muove per questo e, se si accinge a creare, è perchè per lui, in primis, si tratta di un'esigenza ( come tu stesso hai ben spiegato nella prima parte di questo valido articolo). Ma lo scrittore, o l'artista in genere, secondo me, non è altro che un mediatore, e coloro che fruiscono della sua opera non devono sforzarsi più di tanto per poterla percepire, ma devono semplicemente goderne il frutto. La vera Arte insomma è per tutti, ma è pur vero che esistono diversi stadi. Il semplice fruitore, cioè colui che ammira, o il semplice lettore, può rimanere abbagliato senza saper discernere, ma è pur sempre abbagliato! Come dire che l'arte accende una scintilla... Compito diverso è quello del critico, del cultore di arte, il quale, sia per lavoro o anche lui per semplice necessità, deve andare ad indagare quali sono i campi in cui l'artista si è mosso e chiarificare di conseguenza la sua azione artistica, ed è importante l'azione del critico in quanto egli pone l'artista in un determinato contesto sociale, disinnescando così quella sua caratteristica di purezza primordiale, legata anche al Mito in fase sorgiva, che potrebbe renderlo (anche se l'animo del fruitore quando c'è, ne percepisce il valore) troppo lontano, senza comunicazione con l'esterno e col mondo di cui è frutto. Importante quindi , in tal senso, è l'occhio critico di chi se ne intende, ma non bisogna mai dimenticare, e penso che tu convenga con me, il fatto che l'arte sia uno straordinario mezzo di comunicazione che il vero artista ha a disposizione per mettersi in contatto col mondo e con gli altri. Roberto De Luca

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    1. Caro Roberto, il tuo intervento mi consente di chiarire una premessa indispensabile per la comprensione del mio pensiero. Te ne sono pertanto grato. Io ritengo che non si possa vivere con equilibrio nel mondo se si rinuncia ad essere se stessi, e dunque a conoscersi, per quel poco o tanto che si può. Se ci si lascia vivere dal mondo, non si vive realmente nel mondo. Occorre approfondire la cognizione della propria indipendenza morale dal mondo (non materiale, ovviamente), per poter vivere in unione con i propri simili. Bisogna, in altri termini, sapersi estraniare dal mondo per potervi partecipare con pienezza, padronanza, equilibrio, misura. Ascoltare le proprie voci interne non significa pertanto allontanarsi dalla società o dalla storia, come può forse sembrare, ma al contrario significa creare le uniche condizioni possibili per potersi concretamente calare nell'esistenza con amore. Ogni vero artista sa che le cose stanno in questi termini, essendo costituzionalmente dedito all'ascolto delle proprie voci interiori. I pericoli provengono dall'attività del critico razionalista, quando tenta di rubare l'artista a se stesso (alla propria Musa, come si diceva un tempo), offrendone un'interpretazione tutta schiacciata sul piano orizzontale. E non limitandosi a contestualizzarla nel quadro storico-sociale (come, entro certi limiti, sarebbe pur giusto fare), ma lasciando subdolamente intendere che l'opera è il frutto esclusivo del tempo, anziché dello spirito che vive nel tempo.
      Franco Campegiani

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    2. Caro Franco,
      ho letto con piacere i tuoi approfondimenti inerenti la creatività, altrettanto cerco di capire la “criticità”, il lavoro del critico che si muove su confini precari, come suggerisce la parola, se non è avvezzo alla creatività.
      Per me c’è dell’altro, gli occhi del critico non possono vedere se non si sporca le mani con la materia che compone l’oggetto, senza questa conoscenza l’oggettivo diventa immediatamente soggettivo.
      Perciò hai perfettamente ragione nel dire che non ci può essere un critico d’arte obbiettivo se non è a sua volta un artista creativo.
      Il creatore, uso le tue parole, non fa che nominare per la prima volta il mondo, ecco dove risiede l’errore della mente duale, pensare a un Dio creatore quando invece è stato Adamo che ha nominato per primo tutte le cose, chi è il Creatore? Perché senza creatura-opera da criticare non esisterebbe il Creatore-critico.
      L’essere artista, come tu sai, mi ha fatto comprendere l’opera di Michelangelo così in profondità che, mio malgrado, sono diventato un critico e comprendo perfettamente cosa vuoi dire quando dichiari la possibilità per il bello di risorgere costantemente dall’opera del critico come artista. Puoi trovare conferma di quello che dico nel mio lavoro visibile nel sito www.litofino.it.
      Un caro saluto
      Giancarlo Litofino

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    3. Caro Giancarlo, grazie per essere intervenuto con parole così chiare, profonde, esplicative. Anch'io ritengo che non può capire la creatività chi non mette le mani in pasta nei fenomeni creativi. Prendere contatto con la materia è l'unico vero modo, oltretutto, per essere oggettivi, mentre spesso accade al critico di ragionare per astratto, con l'assurda pretesa di essere oggettivo. Tu però vai molto oltre, sostenendo l'idea, per me condivisibile, che la separazione del critico dall'artista derivi - come ogni altra separazione, in fondo - dalla scissione dell'umano dal divino. Di Adamo da Dio, tu per l'esattezza dici, ma io preferisco lasciare fuori giuoco il Sommo, dal momento che lui stesso ha preferito eclissarsi dietro l'opera creata. Il divino è un'altra cosa, ed è una facoltà accessibile alla mente dell'uomo. I tuoi studi michelangioleschi sono formidabili e meriterebbero di essere maggiormente conosciuti. Andrò volentieri sul tuo sito e consiglio vivamente di farlo ai nostri lettori.
      Franco Campegiani

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  9. Ho visto l’anima negli occhi di un bambino
    Il mare nei suoi occhi blu
    Un campo di grano nei suoi biondi capelli
    Nel suo sorriso l’alba di un nuovo giorno
    Nelle sue lacrime la redenzione
    Nella sua gioia la speranza di un domani migliore.
    Nel tocco della sua mano
    l’estasi de l’anima dinanzi a tanta purezza. (VITTORIO.A)

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